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UN:

1. Autorizzazione da parte del SC ad alcuni stati membri affinché siano essi a

usare la forza. Attraverso le risoluzioni, autorizza l’uso della forza a singoli stati

o anche a organizzazioni regionali. Nel 1950 in occasione della guerra di Corea,

il SC autorizzò gli stati disponibili a soccorrere la Corea del Sud per respingere

l’aggressione della Corea del Nord. Unico esempio di autorizzazione dell’uso

della forza durante la Guerra Fredda che fu possibile in quanto l’Urss non era

presente in SC. I veti incrociati di USA e Urss hanno sempre impedito

39 l’adempimento delle decisioni. Lo strumento dell’autorizzazione si sviluppo dopo

la fine della guerra fredda. Ad esempio il SC diede l’autorizzazione dell’uso della

forza nel 1991 in occasione della prima guerra del Golfo nei confronti dell’Iraq di

Saddam Hussein che aveva invaso il Kuwait. In assenza dell’autorizzazione del

SC si sarebbe potuta far vale la legittima difesa ma questo ha solo carattere

provvisorio. La differenza tra autorizzazione all’uso della forza da parte del SC e

la legittima difesa collettiva sta nel fatto che il SC definisce gli obiettivi per l’uso

della forza è consentito e in linea di principio ha il controllo della situazione.

Questo sviluppo della prassi differisce dall’art. 42 in quanto implica un uso della

forza decentralizzato. Questo modello non è del tutto sconosciuto alla carta, in

quanto l’art. 53 prevede l’ipotesi di azioni coercitive da parte di organizzazioni

regionali, ma non singoli stati o gruppi di Stati, sotto la sua direzione. Vi è però

un problema giuridico-teorico in quando le organizzazioni internazionali devono

rispettare il principio di attribuzioni, per cui possono esercitare solo quei poteri

che i trattati istitutivi gli abbiano attribuito. Ci si chiede allora se è lecita

l’autorizzazione dell’uso della forza a singoli stati non essendo prevista dalla

Carta, se esiste un fondamento giuridico. Quasi tutti gli autori concordano nel

dire che la prassi è lecita in riferimento all’art. 42, il SC può utilizzare la forza

quindi può anche delegarla, mentre altri fanno riferimento all’art. 24, secondo

cui il fine del SC è il mantenimento della pace. L’ipotesi più convincente è che la

prassi deve essere riconosciuta come consuetudine particolare formatasi nel

contesto della UN.

2. Operazioni di peace keeping. Possiamo distinguere almeno 3 diversi modelli di

operazioni. Nella loro concezione originaria sono operazioni decise tramite

risoluzioni deliberate dal SC che prevedono l’interposizione della forza armata

tra le parti in conflitto, i caschi blu che agiscono sotto decisione dell’Onu ma

non sono l’esercito permanete delle UN che non è stato mai costituito ma sono

gli Stati membri che mettono a disposizione le loro forze armate. La risoluzione

stabilisce l’esatto mandato dell’azione di peace keeping e le modalità di

ingaggio dei contingenti armati.

Nel modello originario tale tipo di operazione serviva a favorire una situazione di

tregua o impedire la ripresa di un’ostilità. Normalmente vengono poste con il

consenso delle parti che si sono precedentemente scontrate. In queste

operazioni l’uso della forza è loro ammesso solo per propria difesa. Non

abbiamo un uso della forza coercitivo ma solo in legittima difesa in un contesto

in cui i peace keepers devono favorire la distensione tra le parti. Con il tempo

questo modello conosce delle evoluzioni: più che operazioni di peace keeping si

pongo in essere delle operazioni di peace enforcement (imposizione della pace),

o peace building (costruzione della pace).

In caso di operazioni di peace enforcement l’uso della forza è legittimo non solo

per la legittima difesa ma anche per imporre la pace (ex Jugoslavia e Ruanda).

I maggiori successi provengono da operazioni di peace building o di state

building, ovvero casi in cui ai caschi blu sono state attribuite funzioni non solo

militari, ma anche civili, come l’assistenza umanitaria, monitoraggio dello

svolgimento di elezioni; compiti di amministrazione territoriale. Due esempi di

questo tipo di operazioni sono Timor est e in Kosovo, missione che ha

comportato una vera e propria amministrazione del territorio in una certa fase.

Fondamento giuridico delle operazioni sta in una consuetudine particolare che si

è formata a integrazione delle previsioni scritte nella Carta.

Nel caso in cui nel corso di queste operazioni autorizzate o di peace keeping

siano commesse delle violazioni di diritti fondamentali a chi si imputano sul

piano internazionale queste violazioni? Si imputano all’Onu o agli Stati che

hanno fornito alle operazioni i contingenti? Questione importante anche dal

punto di vista pratico (vedi obblighi di risarcimento nei confronti delle vittime o

dei loro famigliari).

40 a. Corte Europea dei diritti dell’uomo 2007 caso Berami e Saramati. La

convenzione europea vincola 46 stati dell’Ue che devono rispettare i

diritti sanciti nella convenzione, nel caso in cui quest’ultimi vengano

violati dai membri le vittime possono far ricorso alla corte di Strasburgo. Il

caso Berami e Saramati fa riferimento a ipotetiche violazioni dei diritti

fondamentali commessi in Kosovo (detenzione illegale di alcune persone

e ipotesi che le forze Onu non avessero proceduto come dovuto allo

sminamento di alcuni terreni, provocando la morte di alcuni bambini).

Perciò è stato fatto ricorso contro alcuni stati europei partecipanti a

quell’operazione. La Corte afferma che quando si svolge un’operazione

autorizzata dalle UN oppure un’operazione di peace keeping, gli atti

compiuti dai contingenti militari sono sempre da imputare alle UN. La

Corte ha affermato che il ricorso non è recepibile essendo le UN non

vincolate alla convenzione europea dei diritti dell’uomo. È vero che la

catena di comando delle operazioni dei caschi blu risponde al segretario

genarle dell’ONU, ma non è corretto imputare alle Nazioni Unite le

operazioni condotte da eserciti nazionali meramente autorizzati dalle UN.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo nel 2011 ha rivisto questa linea

nella sentenza Al-Jedda contro Regno Unito, riguardo alle operazioni di

peace keeping in Iraq, in questo caso imputate al Regno unito.

b. Nel 2010 è scoppiata un’epidemia di colera ad Haiti che ha provocato

migliaia di morti e provocata dal contingente nepalese facente parte del

contingente delle UN. Le UN hanno ammesso la loro responsabilità più

morali che giuridiche, solo in un secondo momento per poi prendere delle

misure per aiutare il paese.

c. Responsabilità individuale dei peace keepers per abusi o crimini sessuali.

Le UN hanno rimpatriato interi contingenti anche a causa di singoli

militari del contingente in questione.

Risoluzione 1368 del 12 settembre del 2001

Le risoluzioni si dividono in due parti, la prima il preambolo, la seconda sono le

disposizioni. Sono presenti sia misure provvisorie ai sensi dell’art. 40 sia misure non

implicanti l’uso della forza che misure implicanti l’uso della forza (vedi autorizzazione

all’uso della forza; oppure anche pace keeping).

Non è una risoluzione semplice da incasellare nei poteri del Consiglio di sicurezza,

perché è una risoluzione adottata anche sulla spinta emotiva dell’11 settembre e a chi

fossero da imputare quegli attentati non era particolarmente chiaro. Ci sono delle forti

ambiguità dal punto di vista giuridico. Manca un esplicito riferimento al fatto che il SC

sta agendo ai sensi del cap. 7 della Carta; la fonte di legittimità va ricercata nell’art.

39 per cui il SC verifica se siamo in presenza di attività che minino la pace.

Al punto 3 troviamo un riferimento all’uso della forza che in questo caso si riferisce al

dovere degli Stati di attivarsi per contrastare gli atti terroristici. La punizione nei

confronti degli individui responsabili di crimini non è uso della forza nelle relazioni

internazionali ma sul piano interno.

C’è un elemento di grossa ambiguità in questa risoluzione in quanto nel terzo

capoverso del preambolo si fa riferimento al diritto naturale della legittima difesa

individuale e collettiva che in realtà può essere riconosciuta solo in seguito a un atto di

aggressione mentre qui si tratta di un atto terroristico che viene qualificato come una

minaccia alla pace, che di per sé non generano legittima difesa.

Fino all’11 settembre il SC aveva sempre affermato che gli atti terroristici consistevano

in una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale ma in questo caso sono

definiti come veri e propri atti di aggressione e quindi si può ricorrere alla legittima

difesa.

41

L’art. 51 della Carta afferma che il diritto di legittima difesa sussiste fino a che non

interviene il SC adottando esso stesso delle misure. In realtà nelle settimane

successive il SC non riuscirà a prendere delle misure di sicurezza nei confronti della

crisi Afghana. Comunque, il SC preferisce non intervenire per permettere agli Usa di

agire ai sensi della legittima difesa: l’operazione in Afghanistan, partita l’8 ottobre del

2001, condotta dagli Usa e dai loro alleati fa valere il diritto di legittima difesa,

evocando la risoluzione 1368, ma in questo modo il SC tradisce il proprio ruolo,

impedendo che le operazioni militari si svolgano sotto il suo controllo. Su questa

operazione militare entreranno in gioco altri aspetti: presumibilmente si poteva far

riferimento alla legittima difesa, ma quello che non si è rispettato è stato il principio di

proporzionalità in quanto si è dimostrata un’operazione per rovesciare il governo dei

talebani.

Risoluzione 1373 del 28 settembre 2001

Questa risoluzione inquadra chiaramente la sua azione nel capitolo 7. Con questa

risoluzione il SC agisce ai sensi del capitolo VII e dell’art. 41. Esso obbliga gli stati

membri delle UN ad adottare delle misure di prevenzione e soppressione del

finanziamento di gruppi terroristici, smart sanctions.

Si tratta di una risoluzione legislativa con la quale il SC svolge un’attività legislativa

che però non rientrerebbe nei suoi poteri, perciò adotta atti e misure particolari in

relazione a situazioni specifiche.

Il SC pone all’interno della risoluzione il contenuto di una convenzione, volta a vietare

il finanziamento dei gruppi terroristici entrata in vigore nel 1999 e che quindi vincola

solo gli stati che l’hanno ratificata, obbligando tutti gli stati membri a tale divieto. Ciò

è in contrasto rispetto ai compiti del SC in riferimento alla sovranità degli stati e al

diritto internazionale.

Troviamo anch

Dettagli
A.A. 2017-2018
64 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/13 Diritto internazionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher sara.tresoldi01 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto internazionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Santini Andrea.