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DIRITTO E REGOLAZIONE AMMINISTRATIVA DEI FENOMENI
MIGRATORI
IL DIRITTO AMMINISTRATIVO DELLE MIGRAZIONI
1. Il diritto amministrativo dell’ingresso per i cittadini non-
UE
1.1 L’ingresso di cittadini non-UE nel territorio dello Stato
Le condizioni di ingresso legale in Italia di cittadini non-UE è
(d.lgs. 286/1998)
regolato dall’art.4 c.1 TUI e dall’art.6 Codice
(reg. UE 2016/399),
frontiere Schengen che si integrano. Ogni
ingresso al di fuori delle condizioni previste in queste disposizioni
è considerato illegale, ad eccezione di eventuale sussistenza di
condizioni di inespellibilità.
Per entrare legalmente in Italia il cittadino non-UE necessita di:
Passaporto in corso di validità;
Visto d’ingresso rilasciato dalle autorità diplomatiche e consolari
italiane nel paese d’origine;
Entrata attraverso valichi di frontiera appositi, salvo i casi di forza
maggiore;
Non essere segnalato nel Sistema di Informazione Schengen
(SIS), una banca dati a disposizione delle polizie di frontiera in cui
sono registrati i nominativi delle persone espulse, pericolose o
indesiderate ex art.96 Convenzione di applicazione degli accordi di
Schengen;
Non essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la
sicurezza interna, la saluta pubblica o le relazioni internazionali di uno
degli Stati membri.
In caso contrario lo straniero è espellibile ex art.10 c.1 TUI.
1.2 La previsione interdittiva per persone ritenute una minaccia
La previsione interdittiva all’ingresso per persone ritenute una
minaccia alla sicurezza e all’ordine pubblico ex art.4 c.3 TUI
riguarda il divieto di ingresso per gli stranieri che sono stati
condannati, anche in via non definitiva, per uno o più dei
seguenti reati:
Reati per cui è previsto arresto in flagranza ex art.380 CPP;
Reati inerenti stupefacenti;
Reati concernenti libertà sessuale;
Reati di favoreggiamento delle migrazioni clandestine;
Reati riguardanti il reclutamento o sfruttamento di persone per
la prostituzione o lo sfruttamento di minori.
A questi si aggiunge il reato di violazione del diritto d’autore (es.
contraffazione), ma solo in caso di condanna definitiva.
condanna per
Una situazione ricorrente nella prassi riguarda la
detenzione illecita di stupefacenti di lieve entità , che esula
teoricamente dai casi in cui è obbligatorio l’arresto in flagranza. A
questo scopo il Tribunale regionale di giustizia amministrativa di
Trento ha sollevato una questione di legittimità
costituzionale laddove si fa derivare automaticamente il rigetto
del rinnovo del permesso per chi è condannato per questo tipo di
reati.
La Consulta ha impostato la sua risposta basandosi sulla
distinzione compiuta dal legislatore fra un criterio quantitativo,
quello della pena edittale, e uno qualitativo, riguardante specifici
reati. In questa prospettiva, secondo la Consulta, limitarsi al solo
criterio quantitativo andrebbe contro la legittima volontà del
legislatore e quindi viene negata l’incostituzionalità.
La preclusione all’ingresso o al rinnovo del permesso che
deriva da questo tipo di condanne penali si configura come un
effetto extra-penale e cessa con la riabilitazione o
l’estinzione del reato, ma non con l’estinzione della pena.
L’ordinamento italiano prevede quindi un rigido automatismo
per cui alla condanna per determinati reati consegue per legge il
divieto di ingresso, senza alcuna discrezionalità amministrativa.
Ciò fa sì che l’ingresso in Italia per lo straniero sia possibile a
seguito dell’accertamento di condizioni positive (i requisiti
d’ingresso) e di condizioni negative (non essere segnalato al SIS,
non essere stato condannato per uno dei reati ostativi). Se non
sussistono queste condizioni lo straniero può essere respinto alla
frontiera o espulso se si trova già sul territorio.
1.3 Temperamento del divieto d’ingresso da condanna per
ricongiungimento familiare
L’automatismo fra condanna penale e divieto di ingresso subisce
una mitigazione di fronte all’esercizio del diritto di unità familiare.
L’art.4 c.3 TUI prevede infatti che lo straniero che richieda
ricongiungimento familiare ex art.29 TUI non è soggetto allo
stesso automatismo in caso di condanna penale, ma che possa
essere non ammesso solo se rappresenta una minaccia
concreta e attuale. Non tutte le condanne rientranti nell’art.380
CPP sono quindi automaticamente ostative per lo straniero che
richieda ricongiungimento familiare.
Questo margine di discrezionalità è garantito in attuazione
della direttiva 2003/86 CE, relativa al diritto all’unità familiare, a
sua volta derivata da quanto previsto nell’art.8 CEDU riguardo il
rispetto della vita privata e familiare. La Corte Costituzionale ha
inoltre esteso la portata della disposizione, stabilendo che
non riguardi soltanto le ipotesi di ricongiungimento familiare, ma
anche casi di coesione familiare fra straniero regolarmente
soggiornante e parente irregolare.
1.4 I visti d’ingresso
Il visto d’ingresso è una autorizzazione amministrativa
rilasciata da consolati e ambasciate italiane all’estero, che
consente di fare ingresso in Italia. I visti d’ingresso hanno limiti
variabili a seconda delle diverse tipologie e non sono obbligatori
per tutti i paesi terzi: ex art.4 c.5 TUI infatti il Ministero degli Esteri
adotta e aggiorna l’elenco dei paesi dai quali non vengono
richiesti i visti.
La materia è in gran parte attuata con regolamenti dell’UE e per
questo è importante distinguere fra: 1) Visti Schengen Uniformi
(VSU), validi di norma per 90 giorni su tutta l’area Schengen; e 2)
Visti Nazionali (VN), che autorizzano l’ingresso solo nel paese
che li ha rilasciati e possono avere una durata variabile anche
maggiore. In Italia i requisiti per l’ottenimento del visto sono
stabiliti nel decreto interministeriale n.850 dell’11 maggio
2011.
Nel caso in cui i requisiti non sussistano il diniego deve essere
comunicato al richiedente tramite la rappresentanza in una
lingua comprensibile e con un’allegata motivazione, che può
essere derogata solo in caso sussistano motivi di sicurezza o di
ordine pubblico. L’obbligo di motivazione è inderogabile nel caso
di visto per lavoro (subordinato, stagionale, autonomo o altri casi
particolari) o per ricongiungimento familiare.
Spesso il diniego per ragioni di ordine pubblico viene giustificato
rischio migratorio,
con il c.d. per cui si teme che una volta giunto
in Italia con regolare visto lo straniero non si allontani poi allo
scadere di quest’ultimo. Tuttavia questa possibilità di negare il
visto senza motivazione consente alla p.a. di comprimere
illegittimamente il diritto dello straniero, motivo per cui la
giurisprudenza ha proceduto a delineare una serie di profili che
giustificano il diniego senza motivazioni per ragioni di sicurezza o
ordine pubblico.
Contro il diniego il richiedente può inoltre fare ricorso al T.A.R.
Lazio entro sessanta giorni dall’avvenuta comunicazione. Nella
prassi questo ricorso è tuttavia abbastanza rara per visti come ad
esempio quello per “turismo”, soprattutto per le difficoltà di
proporre un’impugnazione dall’estero, mentre è più frequente ad
esempio nei casi di visto per ricongiungimento familiare, perché
può essere proposto anche dal familiare presente in Italia.
2. Il soggiorno di cittadini non-UE
2.1 Il permesso di soggiorno
Il permesso di soggiorno è l’autorizzazione amministrativa
che autorizza il soggiorno sul territorio nazionale ed è
rilasciato dalla Questura della provincia in cui lo straniero si
trova. La norma generale di riferimento è l’art.5 TUI, a cui si
aggiungono le disposizioni relative alle varie tipologie di permesso
di soggiorno. Tutti gli stranieri sono obbligati a richiedere il
p.d.s. entro 8 giorni lavorativi dal loro ingresso, pena
l’espulsione.
A seguito di una convenzione fra Interni e Poste Italiane le
istanze di rilascio e rinnovo di alcuni p.d.s. possono essere
inoltrate presso gli uffici postali. Il soggiorno è strettamente
legato all’ingresso, dal momento che il soggiorno regolare
presuppone un ingresso regolare, salvo che nei casi di protezione
sociale, asilo, protezione sussidiaria e motivi umanitari. Anche la
durata e i motivi del permesso di soggiorno dipendono
strettamente da quanto stabilito nel visto d’ingresso, con
l’eccezione del permesso per lavoro che è rinnovabile.
È la legge a stabilire la durata massima dei vari permessi di
soggiorno:
3 mesi per titolo di soggiorno per visite, affari e turismo;
1 anno per titolo di soggiorno per frequenza a corsi di studio o
formazione, salva la possibilità di rinnovo in caso di corsi pluriennali;
9 mesi per p.d.s. per lavoro stagionale;
1 anno per p.d.s. per lavoro subordinato autonomo, rinnovabile in
ragione del perdurare dei rapporti di lavoro;
2 anni per lavoro subordinato a tempo indeterminato,
rinnovabile in ragione del perdurare dei rapporti di lavoro;
2 anni per p.d.s. motivi umanitari, rinnovabile una sola volta e poi
convertibile in lavoro;
5 anni per p.d.s. protezione internazionale e sussidiaria;
A tempo indeterminato per permesso UE per soggiornanti di
lungo periodo, fatto salvo un controllo quinquennale.
Ex art.5 c.4 TUI il rinnovo del p.d.s. deve essere richiesto dallo
straniero al questore della provincia di residenza almeno 60
giorni prima della scadenza (termine ordinatorio) così da
verificare la sussistenza delle condizioni. Il termine dei 60 giorni
non è in realtà tassativo e non sono previste conseguenze per
rinnovi richiesti oltre i 60 giorni anteriori alla scadenza.
Per quanto riguarda invece il rinnovo dei titoli di soggiorno
(visite, affari, turismo, studio) il termine dei 60 giorni anteriori
è tassativo e se la domanda non è presentata in tempo la
conseguenza è l’espulsione. La domanda tardiva può comunque
essere ricevuta se anteriore al provvedimento di espulsione. In
occasione del rinnovo tanto quanto del rilascio il richiedente è
sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.
Non è richiesto il p.d.s. per i soggiorni di breve durata
(visita, affari, turismo, studio) di durata non superiore a 3 mesi.
Lo straniero però, pena l’espulsione, ha l’obbligo di effettuare la
dichiarazione di presenza alla Polizia di frontiera o alla
Questura della provincia in cui si t