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SOGGETTE ALLA DISCIPLINA EX ART 2113 CC.
(nei casi d'esame dunque non dare troppa importanza alle generiche quietanze a saldo e non
considerarle come atti di rinuncia da impugnare entro 6 mesi-->non sono mai valide)
Può l'ORGANIZZAZIONE SINDACALE sostituirsi al lavoratore e RINUNCIARE AI SUOI
DIRITTI SOGGETTIVI?
es.un' azienda vuole procedere a una notevole quantità di licenziamenti: siamo dunque in
un' ipotesi di licenziamento collettivo, perciò si inizia una trattattiva a riguardo con le
organizzazioni sindacali, le quali riescono a strappare l'esito per cui i licenziamenti verranno
dimezzati e ai lavoratori che invece verranno licenziati saranno comunque corrisposte delle somme
a titolo di INCENTIVO ALL'ESODO.
Nell' ACCORDO SINDACALE si scrive che "con la conclusione di questo accordo si intende che
i lavoratori, i cui rapporti di lavoro cesseranno in seguito all'accordo stesso, RINUNCIANO A
QUALSIASI SPETTANZA INTERCORSA NEI LORO RAPPORTI DI LAVORO".
E' valida questa parte dell'accordo sindacale (quando si fa una trattativa del genere la si fa su tutto a
360°, sicchè al massimo se ne invaliderebbe solo una parte) ?
L'ACCORDO COLLETTIVO, in questa sua parte, SARA' VALIDO SOLO NELLA MISURA IN
CUI L'ORGANIZZAZIONE SINDACALE CHE LO HA CONCLUSO SI SIA PRIMA FATTA
RILASCIARE DAI LAVORATORI IN QUESTIONE UN MANDATO AD HOC PER COMPIERE
QUESTO SPECIFICO ATTO DI RINUNCIA (di solito glielo rilasciano durante le riunioni che le
organizzazioni sindacali organizzano insieme ai lavoratori, prima di andare a stipulare l'accordo,
per decidere insieme le principali questioni da porre durante la trattativa con il datore di lavoro) in
quanto si tratta di UN ATTO PERSONALE DEL LAVORATORE (titolare dei diritti soggettivi che
sono oggetto di rinuncia nell'accordo collettivo) CHE FUORIESCE DAL NORMALE AMBITO DI
RAPPRESENTANZA DELLE ORGANIZZAZIONI SINDACALI (in questo caso invece non
rileva invece il fatto di aver usato una formula generica trattandosi di molti lavoratori).
Quindi, se l'organizzazioni sindacale ha effettivamente ricevuto il mandato ad hoc dai lavoratori
PRIMA DI CONCLUDERLO, allora questo accordo prenderà il nome di TRANSAZIONE
COLLETTIVA (dunque nei casi d'esame verificare sempre se l'organizzazione ha effettivamente
ricevuto da parte dei lavoratori che rappresenta il mandato ad hoc per concludere accordi che
includano atti di rinuncia riguardo i loro diritti soggettivi: se manca, quella pate dell'accordo
sindacale non è valida).
Diversa è invece l'ipotesi nell' ultimo comma dell'art 2113 cc, il quale prevede TRE IPOTESI nelle
quali LA RINUNCIA, in ragione della SEDE PARTICOLARE NELLA QUALE VIENE
EFFETTUATA, E' VALIDA-->infatti si tratta di situazioni tali per cui non è possibile affermare che
il singolo lavoratore che si trova a contrattare con il datore di lavoro si trovi in uno stato di disparità
e debolezza contrattuale nei confronti del datore di lavoro stesso.
La prima ipotesi è LA CONCILIAZIONE INNANZI AL GIUDICE: la prima udienza è sempre
dedicata al tentativo di conciliazione, la quale può includere anche atti di rinuncia-->in questo caso
L'A TTO DI RINUNCIA E' VALIDO PERCHE' E' COMPITO DEL GIUDICE RENDERE
EDOTTO IL LAVORATORE RIGUARDO A CIO' CHE STA FACENDO E A CIO' A CUI STA
RINUNCIANDO.
Rinuncia valida se:
-scritta dal lavoratore in persona
-scritta dall'avvocato con mandato ad hoc
-scritta dall'organizzazione sindacale con mandato ad hoc
-fatta in sede di conciliazione davanti al giudice
-fatta in sede di conciliazione in un ufficio del lavoro
-fatta in sede di conciliazione in sede sindacale
-fatta in sede di conciliazione davanti ad una commissione di certificazione
4 Ottobre 2016
Differenza tra INDEROGABILITA' e INDISPONIBILITA'-->attengono a due questioni pratiche
totalmente differenti.
Nel caso dell' INDEROGABILITA' la questione è stabilire QUANDO UNA DELLE DUE PARTI
DEL RAPPORTO DI LAVORO E' TITOLARE DI CERTI DIRITTI SOGGETTIVI-->per farlo si
usano delle REGOLE DI GIUDIZIO che derivano dalle norme e dalla loro interpretazione;
nel decidere quale è il regolamento normativo, e in particolare contrattuale, che rileva uno dei criteri
che si devono utilizzare è quello dell'INDEROGABILITA' IN PEIUS-IN PEGGIO.
(sicchè certe questioni non potranno mai essere regolate in modo peggiore degli standard prefissati).
Invece nel caso dell'INDISPONIBILITA' si parte già dal presupposto che il lavoratore abbia
maturato dei diritti soggettivi (questo non è più in discussione come invece era per l'inderogabilità),
e ci si domanda piuttosto SE IL LAVORATORE POSSA, COME TUTTI GLI ALTRI TITOLARI
DI DIRITTI SOGGETTIVI, DISPORRE DEI PROPRI DIRITTI SOGGETTIVI COLLEGATI AL
SUO RAPPORTO DI LAVORO (es.può rinunciare a questi diritti? Può concludere delle transazioni
in cui, oltre a ricevere vantaggi, rinuncia fare atti di rinuncia o di transazione?)
Per quanto siano dunque questioni frontalmente diverse, sono entrambe importantissime in funzione
della tutela del lavoratore: se esistesse solo l'inderogabilità e non un regime di parziale
indisponibilità, il diritto del lavoro risulterebbe essere un diritto poco effettivo.
D'altra parte, è molto importante anche che, nell'attribuire a monte i diritti soggettivi,
sopra all' accordo contrattuale individuale delle due parti, ci siano fonti che abbiano la caratteristica
dell'inderogabilità in quanto i due soggetti del rapporto di lavoro, lavoratore e datore di lavoro,
sono in una situazione di assimetria contrattuale.
Abbiamo visto come è configurato questo regime di PARZIALE INDISPONIBILITA':
-è un regime di annullabilità
-c'è un termine di decadenza per fare l'impugnazione dell'atto di rinuncia o di transazione che
decorre o dalla fine del rapporto di lavoro o dalla data dell'atto se questo è stato fatto dopo la fine
del rapporto di lavoro
-è importante distinguere il termine di decadenza per l'impugnazione di 6 mesi da quello di
prescrizione dell'azione di annullamento di 5 anni
Tuttavia il comma 4 dell'art 2113 cc illustra TRE IPOTESI ECCEZIONALI in cui l'atto unilaterale
di RINUNCIA o bilaterale di TRANSAZIONE sono PIENAMENTE VALIDI (quindi non c'è
nemmeno tutta la questione di un' eventuale possibilità di impugnazione): si tratta di ipotesi nelle
quali gli atti di rinuncia unilaterale firmata del lavoratore o di transazione conclusa con suo il datore
di lavoro, vengono conclusi in particolari sedi di conciliazione per le quali possiamo sicuramente
affermare che in questi pochi casi il lavoratore non è in una situazione di disparità contrattuale e che
quindi gli atti che conclude sono pienamente validi.
-Prima ipotesi-->CONCILIAZIONE INNANZI AD UN GIUDICE O AD UN UFFICIO
PROVINCIALE DEL LAVORO: la prima udienza è sempre dedicata al tentativo di conciliazione,
la quale può includere anche atti di rinuncia-->in questo caso l'atto di rinuncia è valido perchè è
compito del giudice rendere edotto il lavoratore riguardo a ciò che sta facendo e a ciò a cui sta
rinunciando.Tuttavia, prima di cominciare la conciliazione giudiziale, la parte che intende
promuovere il giudizio, può promuovere un TENTATIVO DI CONCILIAZIONE innanzi ad un
ufficio proviciale del lavoro (fino a poco tempo fa questo tentativo era obbligatorio, tanto che se le
parti prima di adire il giudice non lo avevano esperito, il giudice non cominciava il giudizio e li
rimandava all'ufficio provinciale; tuttavia ora l'obbligo è stato rimosso in quanto in alcune parti d'
Italia non aveva fatto altro che allungare i tempi per cominciare il processo del lavoro, mentre solo
in poche città aveva raggiunto il suo scopo deflattivo)-->è un ulteriore strumento di cui le parti sono
libere di avvalersi o meno, anche se il risultato finale dipende sempre dal grado di competenza ed
efficienza dell'organo conciliatore, da quanto questo sia capace di proporre soluzioni accettabili per
entrambe le parti).
-Seconda ipotesi-->CONCILIAZIONE IN SEDE SINDACALE: ogni contratto collettivo disciplina
IL PROCEDIMENTO DI CONCILIAZIONE ARBITRATO-->di fatto avviene che il datore di
lavoro riceve una lettera di rivendicazione con una serie di pretese dall'addetto all' ufficio legale
dell'organizzazione sindacale; allora l'avvocato del datore di lavoro prende appuntamento con il
sindacalista per discutere la questione-->se questi trovano un accordo, ATTIVANO IL TIPO DI
CONCILIAZIONE PREVISTO DAL CONTRATTO COLLETTIVO, ma a questo punto questo è
solo UNA PURA FORMALITA' in quanto serve semplicemente A DARE IL VIA AD UN
ACCORDO GIA' TROVATO; però la forma è importantissima poichè SOLO IL TIPO DI
CONCILIAZIONE PREVISTO DAL CONTRATTO COLLETTIVO FORMALE (e non l'accordo)
HA LA FORZA DI DEROGARE AL PRINCIPIO DELL'ART 2113 CC E QUINDI DI
CONFERIRE PIENA VALIDITA' ALLA TRANSAZIONE (poichè anche in questo caso entrambe
le parti hanno fatto delle rinunce a propri diritti soggettivi, pienamente valide solo in ragione della
sede in cui sono state concluse).
-Terza ipotesi: CONCILIAZIONE INNANZI AD UNA COMMISSIONE DI CERTIFICAZIONE:
se innanzi ad una commissione di certificazione, presso la quale si può andare sia prima di
instaurare il rapporto di lavoro sia dopo averlo instaurato, si dovesse trovare qualche conciliazione
attraverso atti di rinuncia o transizioni, anche questa è una sede in cui quegli ATTI SONO
PIENAMENTE VALIDI.
Tuttavia è bene sottolineare che queste conciliazioni NON POSSONO AVERE AD OGGETTO
QUELLI CHE SONO GLI EFFETTI PREVIDENZIALI LEGATI AL RAPPORTO DI LAVORO
poichè GLI EFFETTI PREVIDENZIALI SONO EFFETTI DI DIRITTO PUBBLICO CHE NON
SONO DISPONIBILI ALLE PARTI.
es.un lavoratore rivendica il fatto che era stato assunto con un contratto di collaborazione coordinata
e continuativa ma poi, in sede di conciliazione, si accorda con il datore di lavoro che
il primo anno del rapporto di lavoro si trattava effettivamente di un contratto cococo, mentre gli altri
due di un contratto di lavoro subordinato. Ma questo accordo delle parti NON E'
ASSOLUTAMENTE VINCOLANTE PER L'INPS, il quale potrebbe invece sostenere la tesi che
anche nel primo anno il contratto era un contratto di lavoro subordinato-->in tale caso allora l'INPS
farà la propria ispezione, racccoglierà le prove e farà il suo decreto ingiuntivo per rivendicare i
maggiori contributi anche per il primo anno.Tuttavia, anche se l' INPS vincesse la causa
eventualmente istaurata dall'impugnazione del decreto ingiuntivo per cui si è st