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PARTE SECONDA: IL RAPPORTO DI LAVORO
Capitolo 5:Lavoro subordinato e altri tipi di lavoro
35.Il lavoro subordinato
1. L’art. 2094 cc definisce lavoratore subordinato “chi si obbliga mediante
retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o
manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. L’art. 2104 cc
ribadisce che il lavoratore subordinato deve “osservare le disposizioni per
l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai
collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”. La caratteristica
essenziale del lavoratore subordinato è l’eterodirezione dell’attività, nel senso che la
prestazione lavorativa deve essere svolta nel modo imposto dal datore di lavoro,
mediante ordini che il lavoratore è obbligato a rispettare. L’ordinamento
vigente riconosce l’utilità dell’organizzazione della produzione in forma di
impresa e la conseguente supremazia gerarchica dell’imprenditore: i lavoratori
subordinati hanno però una tutela assai evoluta, poiché si ritiene che ci sia
coincidenza tra lavoratore subordinato e soggetto debole del mercato e del contratto.
Pertanto la chiave per accedere alla tutele è la qualificazione di
lavoratore subordinato. È esclusa la presunzione di subordinazione, perché spetta al
soggetto interessato provare la propria posizione debole. Il metodo da utilizzare per la
qualificazione è quello del sillogismo giuridico, con sussunzione per identità della
fattispecie concreta in quella astratta, conseguendone il controllo della Cassazione non
sull’accertamento degli elementi di fatto, bensi’ sull’individuazione dello schema
normativo al quale ricondurre le circostanze accertate. Non è condivisibile il
metodo tipologico (coincidenza parziale fra fattispecie concreta e astratta). Si
può ritenere ancora decisivo il requisito dell’eterodeterminazione della prestazione
lavorativa mediante specifiche direttive e controlli sulla modalità di esecuzione.È
parzialmente utile la distinzione fra locatio operis e locatio operarum: si esclude la
natura subordinata del rapporto se l’obbligazione è di risultato (locatio operis), mentre
l’obbligazione di mezzi (locatio operarum) può inerire sia al lavoratore autonomo che a
quello subordinato.
36. Il lavoro autonomo
1. Si differenzia dal lavoro dipendente in quanto è svolto “senza vincolo di
subordinazione nei confronti del committente“(art. 2222 cc). Non c’è l’eterodirezione
dell’attività lavorativa. Il lavoro autonomo, al pari del lavoro subordinato,
inerisce ad un contratto di scambio a prestazione corrispettive ed è svolto a
titolo oneroso. Il requisito del lavoro “prevalentemente proprio” distingue i lavoratori
autonomi e i piccoli imprenditori dall’imprenditore tout court, che invece organizza il
lavoro altrui. Il lavoro autonomo trova la sua disciplina essenziale nel codice civile e
per la prestazione d’opera intellettuale sono previste disposizioni specifiche. La legge
ha istituito appositi albi ed elenchi nei quali è necessaria l’iscrizione per l’esercizio
delle
relative professioni. L’esercizio abusivo costituisce reato. Il lavoro autonomo
è privo di protezione nei confronti del committente, che anzi gode di alcune
garanzie. Solo sul piano previdenziale i lavoratori autonomi hanno ottenuto protezione,
tramite l’iscrizione all’INPS. La legge n. 92 del 2012 introduce una presunzione relativa
per ricondurre il lavoratore autonomo non coordinato e continuativo a collaboratore
parasubordinato, ma questa presunzione è stata abrogata nel 2015.
37.Il lavoro parasubordinato
1. Il lavoro autonomo parasubordinato trova la sua definizione in varie leggi, non nel
codice civile: tale fattispecie è caratterizzata dalla collaborazione continuativa e
coordinata senza vincolo di subordinazione, con prevalenza dell’attività personale. La
sussistenza in concreto degli elementi costitutivi della fattispecie non deve risultare
necessariamente dal contratto, potendo emergere anche dalle concrete modalità di
svolgimento della collaborazione. La prevalenza dell’attività personale sussiste anche
se vengono utilizzati mezzi tecnici e collaboratori,purché l’opera diretta
dell’interessato resti decisiva e non limitata alla mera organizzazione. L’elemento della
continuatività prevede un contratto unico di apprezzabile durata. Il requisito di più
difficile interpretazione è il coordinamento dell’attività, che va distinto dalla
eterodirezione del lavoro subordinato. Il coordinamento può estrinsecarsi nei modi più
svariati, anche in relazione al luogo e al tempo dell’attività, al fine del miglior
inserimento nell’organizzazione ma non può debordare nell’eterodeterminazione
della prestazione mediante controlli sulle modalità di esecuzione che se non
sono consensuali devono restare nell’autonomia del lavoratore. Sono lavoratori
parasubordinati tipici gli agenti e rappresentanti di commercio, in considerazione del
coordinamento, della continuatività da non confondersi con gli ordini del lavoro
subordinato. La disciplina protettiva è ancora modesta (sono previsti, ad esempio, il
processo del lavoro, tutela previdenziale pensionistica, libertà sindacale e di sciopero,
etc.). Tutte le tutele del lavoro subordinato non espressamente previste anche per
quello parasubordinato, restano inapplicabili per quest’ultimo. Il d.lgs. n. 276
del 2003 ha ricondotto nel settore privato il lavoro parasubordinato
nell’ambito del lavoro a progetto munito di alcune tutele specifiche. Ma ora il lavoro
parasubordinato a progetto è stato abrogato dall ‘art. 52 del d.lgs. del 2015.
2. Si è posto l’esigenza di accrescere la protezione dei lavoratori autonomi
parasubordinati in considerazione della loro debolezza contrattuale, particolarmente
accentuata nell’ipotesi del committente unico. Il lavoro parasubordinato si è scisso in
due diverse fattispecie: la prima prevista dall’art. 409 n.3 , cod. proc. Civ.
contraddistinta dal mero coordinamento del committente; la seconda che può
definirsi di lavoro “similsubordinato”, a cui si applica la disciplina del lavoro
subordinato, caratterizzata dal potere organizzativo del committente anche con
riferimento ai tempi e al luogo del lavoro.
3. Il lavoro accessorio può essere subordinato o autonomo e consiste in un attività
lavorativa caratterizzata da un compenso annuo non superiore a 7000 euro con
riferimento alla totalità dei committenti (se il committente è un imprenditore o un
professionista, 2000 euro). E’ stato soppresso l’inciso “di natura meramente
occasionale”, bastando la limitazione del compenso. E’ consentito il lavoro accessorio
nelle pubbliche amministrazioni, mentre è vietato negli appalti salvo eccezioni
specifiche individuate con decreto del Ministero del lavoro. Ha una disciplina
esaustiva: il lavoro viene compensato tramite buoni, che poi vanno presentati al
concessionario, che provvede al pagamento e la versamento dei contributi. I buoni
devono essere “ orari, numerati progressivamente e datati “.
38.I rapporti associativi
1. Il lavoro subordinato e quello autonomo, anche parasubordinato, pur nelle
loro diversità, realizzano sempre una causa di scambio tra prestazioni corrispettive,
costituite dal lavoro e dal relativo compenso. In questi rapporti dunque le parti si
trovano in posizioni contrapposte, ciascuna con il proprio tipico interesse
contrattuale ad ottenere la prestazione dell’altra. I rapporti associativi si
fondano sull’interesse comune al buon andamento dell’attività economica
pertanto il lavoro svolto non può essere definito subordinato, poiché pur
sussistendo in alcuni casi l’eterodirezione dell’attività, manca l’alienità dei mezzi di
produzione e/o del risultato produttivo proprio in conseguenza della causa associativa.
2. La figura più importante è quella del lavoro in cooperativa, svolto dai
soci di società cooperative caratterizzate dallo scopo mutualistico, che
consiste nel fornire direttamente occasioni di lavoro ai soci. L’imprenditore è la
stessa società cooperativa e il contrasto tipico del lavoro subordinato scompare. La
prestazione lavorativa del socio costituisce adempimento del contratto sociale. La
legge n.142 del 2001 (e la legge n. 30 del 2003), stabiliscono che il socio di
cooperativa di lavoro non può lavorare in esecuzione del rapporto associativo, ma
deve stipulare con la propria cooperativa un distinto contratto di lavoro subordinato o
autonomo. C’è quindi un sostanziale divieto di lavoro in cooperativa ed è palese
l’incostituzionalità della disposizione che afferma un omologazione coatta in contrasto
con il principio di tutela della cooperazione (art. 45 Cost.). E’ incostituzionale anche dal
punto di vista della retribuzione. La nuova legge impone una retribuzione del socio-
dipendente non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla
contrattazione collettiva nazionale del settore. Questo principio secondo cui il socio-
dipendente deve guadagnare con certezza per il lavoro svolto quanto un normale
lavoratore subordinato, accentua la rilevata incostituzionalità poiché contrasta con il
fenomeno cooperativo in cui il rischio di impresa grava sui lavoratori ai quali non può
essere impedito di accontentarsi di un reddito liberamente determinato dalle
condizioni della cooperativa in attuazione dello scopo mutualistico. E’ naturale
estendere alcune tutele del lavoratore subordinato al lavoratore socio, ma la legge del
2001 omologa la posizione dei due tipi di lavoratori. Prima della legge del 2001 i
lavoratori erano equiparati dal punto di vista previdenziale (le società cooperative
erano i “datori di lavoro” per i limitati fini previdenziali), ma ora ci sono diverse
tipologie previdenziali e assicurative per ogni tipologia di lavoratore. La legge del 2001
confermava che le controversie
tra socio e società cooperativa erano di competenza del giudice del lavoro, ma poi nel
2003 la competenza è stata trasferita al tribunale civile ordinario. Una disciplina
particolare è prevista per le società cooperative di solidarietà sociale, finalizzate
all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, quali invalidi, alcolisti.
3. Nei rapporti associativi rientra anche quello del socio d’opera, che conferisce,
invece di denaro o crediti, la propria attività nelle soci