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regolate da diverse leggi, ma è una decisione possibile solo ad opera delle parti e non
ad opera del giudice. Nella convenzione del 1980, anche il giudice se riteneva che una
parte del contratto era strettamente legata ad un altro ordinamento, poteva frazionarlo.
Ulteriore elemento di minore flessibilità: le norme di applicazione necessaria. Sotto il
vigore della convenzione di Roma, si diceva che il giudice del foro dava applicazione alle
norme di applicazione necessaria del foro e poteva dare applicazione alle norme di
applicazione necessaria di un terzo stato che avesse un legame stretto con il contratto.
Oggi non è più possibile. Si possono applicare le norme di applicazione necessaria di
uno Stato diverso, ma in un'ipotesi ben determinata che non lascia flessibilità al giudice.
REGOLAMENTO ROMA I
ART 1 “Campo di applicazione materiale”: “Il presente regolamento si applica, in circostanze che
comportino un conflitto di leggi, alle obbligazioni contrattuali in materia civile e commerciale”.
Il regolamento si applica alle obbligazioni contrattuali, ma non contiene una definizione di
obbligazione contrattuale. È la giurisprudenza della Corte di giustizia che ha cercato di delimitare
l'ambito di applicazione del regolamento. In particolare, per verificare cosa sia un'obbligazione
contrattuale e quali siano le caratteristiche, si può far riferimento alla giurisprudenza della Corte di
Giustizia sul regolamento 44/2001 (oggi il regolamento 1215/2012).
Come scritto nel considerandum n'7 (parte iniziale del regolamento nella quale si spiegano le
disposizioni del regolamento), il regolamento Roma I nei limiti del possibile va interpretato
conformemente al regolamento Bruxelles II bis. La Corte ha detto che s'intende “obbligazione
contrattuale” qualsiasi obbligo che una parte abbia liberamente assunto nei confronti di un'altra.
Quello che rileva per definire se si è in presenza di un'obbligazione contrattuale è l'origine
convenzionale e non legale dell'obbligo.
È stata molto ampia in questa definizione perché nella SENTENZA HENGLER la Corte ha ritenuto
che una promessa unilaterale, in particolare l'invio da parte di un professionista al domicilio di una
persona di una lettera che lo designava come vincitore di un premio, fosse l'assunzione di obbligo
contrattuale.
In realtà, quest'idea che il regolamento Roma I e Bruxelles II bis possano essere interpretati in
modo parallelo va guardata con cautela. La definizione di obbligazione contrattuale, può essere più
ampia nel regolamento Roma I di quanto non lo sia nell'altro perché ha come unico oggetto la
disciplina applicabile alle obbligazioni contrattuali, non c'è problema di delimitare le obbligazioni
contrattuali rispetto a qualche altra fattispecie.
invece, il regolamento Bruxelles II bis riguarda la competenza giurisdizionale in materia civile e
commerciale, quindi è importante definire l'obbligazione contrattuale rispetto alle altre ipotesi
disciplinate dal regolamento. Il foro contrattuale è uno dei fori speciali del regolamento.
Regolamento 593/2008: Roma I 7
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Regolamento sulla giurisdizione 44/2001, sostituito dal 1215/2012 → Bruxelles II bis
Quando si ha a che fare con delle norme UE (in questo caso con un regolamento), il criterio che la
Corte utilizza è quello dell'interpretazione autonoma.
Quando la Corte di Giustizia interpreta una norma dell'Unione europea, non fa riferimento alle
nozioni contenute negli ordinamenti nazionali, ma interpreta autonomamente, il che significa
conformemente alle finalità dell'ordinamento dell'Unione Europea. Può essere infatti che vi siano
degli istituti che hanno la stessa denominazione nel diritto interno e dell'UE, ma in realtà indicano
fattispecie diverse. È un discorso non proprio soltanto dell'UE, ma anche del diritto internazionale.
Tuttavia è più accentuato nell'UE, data la presenza della Corte di Giustizia a cui è affidato il compito
dell'interpretazione. Inoltre, l'ordinamento dell'Ue è molto complesso e strutturato e quindi è più
facile dare un'interpretazione teleologica proprio perché vi sono principi a cui far riferimento per
capire a cosa sono orientate le norme.
Tradizionalmente, la materia contrattuale ha sempre visto, sin dalle preleggi, come criterio
principale la volontà delle parti. Questo principio è confermato dal regolamento Roma I, non solo
dall'articolato, ma anche dai suoi “consideranda”. Al considerandum n'11, tra i principi su cui il
regolamento si fonda, vi è quello della libertà delle parti di scegliere la legge applicabile.
ART 3 “LIBERTÀ DI SCELTA”
L'importanza della volontà delle parti nella tradizione del DIP è perfettamente in accordo con
l'impostazione di tutto l'ordinamento dell'UE e anche con gli orientamenti della Corte di Giustizia.
Infatti, oggetto principale dell'UE è sempre stato quello di garantire nel massimo grado possibile la
libertà di circolazione. Da un lato la giurisprudenza sulle libertà di circolazione, ha teso ad
accentuare l'aspetto della volontà delle parti. Dall'altro, c'è accordo tra questi due piani, diritto
dell'Unione europea (libertà di circolazione) e DIP. In alcune ipotesi, la Corte ha ritenuto che la
volontà delle parti consentisse di evitare di considerare una norma nazionale incompatibile col
diritto dell'Unione Europea.
SENTENZA ALSHTOM ATLANTIQUE → si trattava di un problema relativo ad un orientamento della
giurisprudenza francese in materia di responsabilità de produttore, ci si è chiesti se fosse
compatibile o meno col diritto UE. (La Corte non può dichiarare una norma interna o orientamento
giurisprudenziale contrario al diritto UE. Può invece dire come si interpreta una norma UE e
indirettamente da ciò il giudice nazionale capirà se può applicare una norma interna o no).
L’art 1643 del codice civile francese dice che il venditore è responsabile per vizi occulti,
anche ove non ne fosse a conoscenza. La Corte di cassazione francese l'ha interpretata nel senso
che il fabbricante sia sottoposto ad una presunzione assoluta di conoscenza dei vizi della cosa
venduta e in particolare che si possa sottrarre a questa solo in rapporti contrattuali con un
professionista di uno stesso settore. Quest'orientamento ha posto dei problemi di compatibilità
con le norme UE in materia di concorrenza, in quanto quest'interpretazione svantaggia i produttori
francesi, sottoposti a questa presunzione assoluta, mentre i venditori di altri Stati membri possono
sottrarsi più facilmente a questa responsabilità. 8
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→ La Corte di Giustizia ha detto che in realtà le parti di un contratto di compravendita
internazionale sono libere di scegliere la legge applicabile al loro rapporto, quindi basta che non
scelgano la legge francese e non c'è problema di violazione delle norme in materia di concorrenza.
SENTENZA CENTROS → riguardava la materia di stabilimento delle società. È un caso molto famoso
di due cittadini danesi che avevano costituito nel Regno Unito una società perché là non esistevano
norme che imponevano un capitale minimo. Una volta costituita, hanno chiesto alle autorità
danesi di registrare in Danimarca una filiale, con lo scopo in realtà di non svolgere nessuna attività
nel Regno Unito, ma in Danimarca. La questione è stata sottoposta alla Corte di Giustizia per
verificare se vi è un caso di frode alla legge. Secondo la Corte, per garantire che la libertà di
circolazione e stabilimento, è perfettamente compatibile con l'ordinamento UE che due persone,
che vogliono costituire una società, lo facciano nello stato in cui è più conveniente costituirla,
indipendentemente dal fatto che vogliano poi esercitare tutta l'attività nel loro Stato. Delaware
clause.
Questo caso costituisce un esempio di come il diritto UE espande la volontà delle parti, in questo
caso in senso generale, non di DIP.
La legge che viene scelta può anche non avere nessun contatto con il contratto. Non vi è
necessità di un legame con il contratto. Si risponde così all'esigenza che le parti scelgano la legge
che meglio risponde ai loro interessi, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione.
Quest'autonomia della volontà è rafforzata anche dal fatto che le parti possono frazionare il
contratto. Nella convenzione di Roma, il frazionamento del contratto poteva essere operato sia
dalle parti sia dal giudice. Oggi può essere operato solo dalle parti.
Ciò alla condizione che le parti del contratto siano economicamente e giuridicamente separabili e
che il frazionamento non nuoccia alla coerenza della disciplina contrattuale. In realtà, di questi
limiti non c'è traccia all'art 3. Rispetto al primo aspetto, non vi è menzione nel regolamento. È
probabile comunque che sia così altrimenti risulterebbe difficile il frazionamento.
Un limite alla volontà delle parti è costituito dal fatto che le parti possono scegliere per
l'applicazione del contratto solo una legge statale. Se sottoposto ad un arbitro, questo potrà
anche applicare norme non statali.
La possibilità di richiamare leggi non statali è discussa da molto tempo. Già prima della
convenzione di Roma del 1980 si era posto il problema. La dottrina in quel caso aveva dato risposta
negativa. Il fatto che le parti possano frazionare il contratto già sgancia il contratto dalla rigidità
tipica di una legge statale.
Il problema è stato sottoposto agli esperti all'occasione del libro verde al momento del progetto
del regolamento. I libri verdi servono ad ottenere i pareri degli interessati (dottrina, imprese,
dipende dal settore) sugli orientamenti rispetto ad una certa proposta. Sono quindi una breve
esposizione del progetto e pongono una serie di domande, per capire se l'orientamento della
Commissione sarebbe condivisibile. Il riscontro era stato positivo, gli interessati avevano risposto
che era il caso di consentire il richiamo a norme non statali. Infatti, nella proposta iniziale della
Commissione si prevedeva la possibilità delle parti di scegliere principi generali riconosciuti a livello
internazionale o comunitario come legge applicabile. Dato che questi principi difficilmente
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riescono a fornire una disciplina integrale dal contratto, le lacune sar