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LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA

La concorrenza perfetta è quel modello di mercato in cui sono presenti diversi concorrenti non in grado di

condizionare i prezzi, piena mobilità di fattori produttivi e di domanda, assenza di ostacoli all’ingresso e di

accordi che falsino la competizione. Questo modello è quello ideale perché la competizione abbassa i prezzi

e stimola il progresso tecnologico e l’efficienza. Nella realtà però vi sono situazioni, definite di oligopolio,

in cui le imprese sono sempre meno numerose e sempre più grandi, e dove spesso si preferiscono forme di

accordo e intese su prezzi e mercati di sbocco al posto della concorrenza. Vi sono infine anche situazioni,

definite di monopolio, in cui tutta l’offerta è in mano ad un’unica grande impresa. Come detto nell’articolo

41 della Costituzione lo Stato garantisce la libera iniziativa economica ma deve anche assicurare una

regolamentazione giuridica della concorrenza in modo tale da evitare il perpetuarsi di situazioni di

monopolio.

“La concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell'economia nazionale e nei limiti

stabiliti dalla legge [e dalle norme corporative].” ( art 2595 CC )

Per realizzare ciò il legislatore italiano: consente limitazioni legali della stessa e la creazioni di monopoli in

settori di interesse generale, consente in determinate situazioni divieti o limitazioni di concorrenza tra le

parti e ne assicura il corretto svolgimento attraverso la repressione di atti di concorrenza sleale. Le

legislazione italiana nell’assicurare queste condizioni però ha potere esclusivamente locale, non potendo

infatti incidere sulla concorrenza nel mercato comunitario. Tre sono i fenomeni rilevanti disciplinati dalla

normativa nazionale e comunitaria. Il primo riguarda le intese fra azienda, comportamenti volti a limitare la

propria libertà di azione sul mercato. Vi rientrano comportamenti paralleli consapevolmente adottati

mediante contatti diretti ed indiretti che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare

in maniera consistente il gioco della concorrenza, non solo quelle fra produttori ma anche gli accordi

commerciali tra produttori e distributori. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto. Il secondo fenomeno

riguarda l’abuso di posizione dominante. Vietato però non è in sé l’acquisizione di una posizione dominante

bensì la sfruttamento abusivo di essa con comportamenti lesivi dei concorrenti e dei consumatori. In

particolare ad un’impresa in posizione dominante è vietato: di imporre prezzi o altre condizioni contrattuali

ingiustificatamente gravose, impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato a danno

dei consumatori, applicare nei rapporti commerciali condizioni diverse per prestazioni equivalenti e

subordinare la conclusione dei contratti all’accettazione di prestazioni supplementari. Vietata è anche

l’abuso di dipendenza economica, ovvero la situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei

rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi. L’ultimo fenomeno

riguarda le concentrazioni, ovvero quando due o più imprese si fondono o si accordano per dare vita ad

un’impresa unica e più grande. Esse non sono di per sé vietate però diventano illecite quando danno vita a

gravi alterazioni del regime concorrenziale del mercato.

Per assicurare il regolare gioco della concorrenza sul mercato il legislatore ordinario può compiere alcuni

interventi quali controllare l’accesso al mercato di nuovi imprenditori, indirizzare e controllare le attività

delle imprese che operano in settori di rilievo economico e/o sociale ed il controllo pubblico dei prezzi di

vendita.

“A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e

salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o

categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di

monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.” ( art 43 Costituzione )

“Chi esercita un'impresa in condizione di monopolio legale ha l'obbligo di contrattare con chiunque

richieda le prestazioni che formano oggetto dell'impresa, osservando la parità di trattamento.” ( art 2597

CC )

Questo significa che il monopolista è tenuto a rendere note al pubblico le proprie condizioni contrattuali,

che in larga parte sono fissate in via legislativa. Questa disciplina però è subordinata al fatto che si tratti di

un monopolio legale, quindi garantito dalla legge: non si applica perciò alle situazioni di monopolio di fatto.

In alcune situazioni, come accennato prima, la legge può anche imporre un divieto di concorrenza legale

che impone verso determinati soggetti l’obbligo di astenersi dal fare concorrenza alla controparte. Rientrano

fra tale divieti: l’obbligo di fedeltà a carico dei prestatori di lavoro ( divieto di trattare affari in concorrenza

con l’imprenditore fin quando dura il rapporto di lavoro ), divieto di esercitare attività concorrenti con

quella della società a carico dei soci a responsabilità illimitata di società di persone ed agli admin di società

di capitali ed infine il diritto di esclusiva reciproca nel contratto di agenzia.

“Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una

determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni. Se la durata

del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la

durata di un quinquennio.” ( art 2596 CC )

Questi patti possono essere autonomi, stipulati quindi sotto forma di contratti, oppure reciproci ed in

quest’ultimo caso vengono definiti come cartelli. Essi possono essere di contingentamento, di zona o di

prezzo a seconda del tipo di intesa stipulata dalle aziende aderenti. Le restrizioni negoziali alla concorrenza

possono atteggiarsi anche come clausola accessoria di un altro contratto avente un diverso oggetto. In

questo caso possono essere restrizioni orizzontali tra soggetti in diretta concorrenza oppure verticali tra

soggetti operanti a livelli diversi.

“Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di

concorrenza sleale chiunque:

1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente

usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti

idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente;

2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinare il

discredito o si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente;

3) si avvale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza

professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.” ( art 2598 CC )

I mezzi di cui l’articolo precedente al comma 3 vanno repressi e sanzionati anche se compiuti senza dolo o

colpa e anche se non hanno ancora arrecato un danno ai concorrenti ( cd danno potenziale ). La repressione

di questi atti è attuata attraverso sanzioni tipiche ( inibitoria e rimozione ) che non si esauriscono nel

risarcimento dei danni. Questo perché la legislazione, oltre a tutelare gli interessi degli imprenditori, deve

tutelare il più generale interesse che non vengano falsati gli elementi di valutazione e di giudizio del

pubblico e non siano tratti in inganno i consumatori. Per applicare la legislazione vi deve essere un duplice

presupposto: la qualità di imprenditore sia del soggetto che pone in essere l’atto sia di quello che lo subisce

e l’esistenza di un rapporto di concorrenza economica tra i medesimi. Per il secondo requisito si deve tenere

conto anche della prevedibile espansione territoriale e del prevedibile sviluppo merceologico in prodotti

complementari o affini all’attività dell’imprenditore che subisce l’atto di concorrenza sleale. Per quanto

riguarda le fattispecie tipiche di concorrenza sleale l’art 2598 individua gli atti di confusione, gli atti di

denigrazione e l’appropriazione di pregi altrui. Gli atti di confusione possono riguardare i segni distintivi

tipici oppure l’imitazione servile di elementi caratterizzanti dell’offerta altrui. Gli atti di denigrazione

invece consistono nel diffondere notizie ed apprezzamenti sui prodotti e le attività di un concorrente idonei

a determinarne il discredito. Varie sono le pratiche comprese negli atti di denigrazione e di imitazione

servile: divulgazione di notizie screditorie oppure le pubblicità iperboliche o parassitarie, mentre non

costituisce un illecito la pubblicità comparativa. Il comma 3 dell’articolo 2598 chiude facendo espresso

divieto di utilizzo di qualsiasi altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale. Tra

questi possiamo ricordare: la pubblicità menzognera, volta ad attribuire ai propri prodotti qualità o pregi

non appartenenti ad alcun concorrente; la concorrenza parassitaria, consistente nella sistematica imitazione

delle altrui iniziative imprenditoriali; il boicottaggio economico, ovvero il rifiuto ingiustificato ed arbitrario

di un’impresa in posizione dominante di fornire i propri prodotti a determinati rivenditori, in modo da

escluderli dal mercato; il dumping, ovvero la sistematica vendita sotto costo dei propri prodotti ed infine la

sottrazione ad un concorrente di dipendenti o di collaboratori autonomi particolarmente qualificati quando

venga attuata con mezzi scorretti e col deliberato proposito di trarne vantaggio con danno dell’altrui

azienda. Compresa tra gli atti di concorrenza sleale è oggi anche la violazione di segreti aziendali.

“La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni

provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti.” ( art 2599 CC )

“Se gli atti di concorrenza, sleale sono compiuti con dolo o con colpa, l'autore è tenuto al risarcimento dei

danni. In tale ipotesi può essere ordinata la pubblicazione della sentenza. Accertati gli atti di concorrenza,

la colpa si presume.” ( art 2600 CC )

L’azione inibitoria e le relative sanzioni prescindono dall’esistenza di dolo o colpa e di un danno

patrimoniale , in quanto essi costituiscono prerogativa anche per il risarcimento del danno.

L’ultimo ambito di azione della legislazione in materia è quello riguardante le pratiche commerciali

scorr

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A.A. 2016-2017
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SSD Scienze giuridiche IUS/04 Diritto commerciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ildella94 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto commerciale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Munari Alessandro.