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Can. 23 - Ha forza di legge soltanto quella consuetudine, introdotta dalla comunità dei fedeli, che sia stata approvata
dal legislatore, a norma dei canoni che seguono.
Can. 24 - §1. Nessuna consuetudine, che sia contraria al diritto divino, può ottenere forza di legge.
§2. Né può ottenere forza di legge la consuetudine contro o fuori del diritto canonico, che non sia razionale; ora la
consuetudine che è espressamente riprovata nel diritto, non è razionale.
Can. 25 - Nessuna consuetudine ottiene forza di legge, se non sarà stata osservata da una comunità capace almeno di
ricevere una legge, con l'intenzione di introdurre un diritto.
Can. 26 - A meno che non sia stata approvata in modo speciale dal legislatore competente, una consuetudine contraria
al diritto canonico vigente o che è al di fuori della legge canonica, ottiene forza di legge soltanto se sarà stata osservata
legittimamente per trenta anni continui e completi; ma contro una legge canonica che contenga la clausola che proibisce
le consuetudini future, può prevalere la sola consuetudine centenaria o immemorabile.
Can. 27 - La consuetudine è ottima interprete delle leggi.
Can. 28 - Fermo restando il disposto del can. 5, la consuetudine, sia contro sia al di fuori della legge, è revocata per
mezzo di una consuetudine o di una legge contraria; ma, se non se ne fa espressa menzione, la legge non revoca le
consuetudini centenarie o immemorabili, né la legge universale revoca le consuetudini particolari.
Innanzitutto possono porre in essere una consuetudine nel senso canonico del termine solo le persone
fisiche (i fedeli), e riunite in una cosiddetta “societas perfecta”.
È così chiamata la comunità sufficientemente ampia da essere capace di ricevere una legge (non
semplicemente una dispensa o un privilegio).
Esempio pratico: un singolo monastero non è capace di porre in essere una consuetudine, tutti i monasteri
di una ragione ragionevolmente stesa sì.
Per quanto riguarda invece il fattore psicologico, il termine usato dal legislatore è “animus iuris inducendi”,
rendibile in italiano come l’intenzione di produrre diritto.
Poiché tuttavia è arduo distinguere i vari gradi di tale consapevolezza, che è anche la consapevolezza di
violare la legge in certi casi, si assume tale criterio al ribasso. In altre parole siccome dimostrare che
l'intenzione è eccessivamente oneroso, si accetta come elemento psicologico la semplice opinio iuris, la
convinzione di agire secondo diritto.
L’opinio iuris seu necessitatis implica infatti solo uno stato di ignoranza e di buona fede soggettiva mentre
all'opposto vi è la piena consapevolezza di produrre diritto, ovvero l'animus iuris inducendi.
Non appartenendo al popolo la sovranità deve essere il legislatore ad approvare la consuetudine.
Se ciò accade successivamente si verifica per dirla con Suarez, mutamento del titolo da consuetudine a lex.
Il codice, coi suddetti canoni, regola l'approvazione preventiva: se sono soddisfatti i requisiti ivi enunciati si
la consuetudine ottiene la vim legis (forza di legge) senza bisogno di un atto di riconoscimento.
Resta da dire di un aspetto che riguarda la consuetudine in quanto lex non scripta: la ragionevolezza.
Secondo una elencazione pre-codiciale sono irragionevoli le consuetudini che:
Sono contrarie al diritto Divino positivo e naturale (anche can 24.1)
Sono causa di occasione e incitamento a peccare
Sono contrarie al bene comune (vedi richiamo alla massima tomista)
Rendono possibile la rottura del nervo della disciplina ecclesiastica. In altri termini mettono in
discussione le linee essenziali e tradizionali dell'ordinamento canonico di derivazione umana. Esempio
sarebbe irragionevole la consuetudine che violasse la lex residentiae in quanto elemento essenziale
della cura d’anime
Sono contrarie alla libertas ecclesiastica. Ad esempio la consuetudine di ricevere il placet regio per la
validità in un territorio di alcuni atti
Se stabiliscono pratiche febbroniane, come la necessità di adattamento da parte del Vescovo diocesano
delle disposizioni pontificie
Sono oggetto di riprovazione da parte del legislatore
Per intervenire contro la consuetudine già formata, in ordine di forza:
Abrogazione della consuetudine, se vi è una nuova legge o consuetudine di senso opposto
Proibizione esplicita ora e in futuro, salvo sia una consuetudine centenaria o immemorabile
Riprovazione da parte del legislatore, facendola così diventare irragionevole
Per quanto riguarda la durata delle consuetudini vi è, sulla scorta dell'esperienza romana, una categoria
duplice di consuetudine di peculiare forza:
Centenarie se durano almeno da 100 anni
Immemorabili se non vi è memoria dell'inizio del comportamento, poiché sono venute meno le
generazioni in grado di ricordarlo. È un richiamo alla presunzione: si fa così perché si è sempre fatto
così
#################################parte mancante 15/11
Le leggi particolari
Sono il privilegio (da lex privata) e la dispensa, istituti peculiari dell'ordinamento canonico, irrinunciabili al
fine di garantire la salvezza della singola anima.
A riprova della loro importanza anteriormente alla prima codificazione si ritenevano inconciliabili la
necessità di astrattezza di un codice con l'ampio uso di leggi ad personam nell’esperienza canonica.
Sia il privilegio sia la dispensa sono “ius singularis”. Si usa dire che il privilegio accrescere il patrimonio
giuridico, mentre al contrario la dispensa lo impoverisce.
Il privilegio
Can. 76 - §1. Il privilegio, ossia una grazia in favore di determinate persone, sia fisiche sia giuridiche, accordata per
mezzo di un atto peculiare, può essere concesso dal legislatore come pure dall'autorità esecutiva cui il legislatore abbia
conferito tale potestà.
§2. Il possesso centenario o immemorabile induce la presunzione che il privilegio sia stato concesso.
Con grazia si intende che non sono ammessi i privilegi odiosi (quelli cioè che arrecano danno a chi li receve).
Con persone certe (determinate) si intende che la persona, sia essa fisica sia essa giuridica, deve essere
definita. Qualora vi fosse generalità e astrattezza si avrebbe legge propriamente detta.
Si dispone privilegio attraverso atto peculiare da parte del legislatore
Precedentemente si era lungo dibattuto sulla vera natura, amministrativa o legislativa, del privilegio.
Sembra che con la dichiarazione di cui il can. 76 si intende dare precedenza a chi può incidere
nell'ordinamento canonico. Chi ha la potestà esecutiva può concedere privilegio previa autorizzazione del
legislatore. Il RP può concedere ogni tipo di privilegio.
Can. 78 - §1. Il privilegio si presume perpetuo, se non si prova il contrario.
§2. Il privilegio personale, cioè quello che segue la persona, si estingue con essa.
§3. Il privilegio reale cessa con la distruzione totale della cosa o del luogo; il privilegio locale però rivive, se il luogo
viene ricostituito entro cinquanta anni.
I privilegi si distinguono in:
Personali: seguono la persona in quanto tale, non della sua funzione pubblica, e cessano con la morte
Reale: insistono sulle cose, non devono essere pienamente persone giuridiche ma realtà strutturate
(come potrebbe essere la Basilica del Santo). Cessa con la distruzione della cosa, ma rivive se questa è
ricostruita entro 50 anni
Can. 79 - Il privilegio cessa per revoca da parte dell'autorità competente a norma del can. 47, fermo restando il disposto
del can. 81.
Can. 80 - §1. Nessun privilegio cessa per rinuncia, a meno che questa non sia stata accettata dall'autorità competente.
§2. Qualsiasi persona fisica può rinunciare al privilegio concesso solamente in proprio favore.
§3. Le persone singole non possono rinunciare al privilegio concesso a una persona giuridica, o in ragione della dignità
del luogo o della cosa; né alla stessa persona giuridica è lecito rinunciare a un privilegio a lei concesso, se la rinuncia
torni a pregiudizio della Chiesa o di altri.
Can. 81 - Venuto meno il diritto del concedente, il privilegio non si estingue, a meno che non sia stato dato con la
clausola ad beneplacitum nostrum o con altra equipollente.
Can. 82 - Per non uso o per uso contrario un privilegio non oneroso ad altri non cessa; quello invece che ritorna a
gravame di altri, si perde, se si aggiunge la legittima prescrizione.
Can. 83 - §1. Il privilegio cessa passato il tempo o esaurito il numero dei casi per i quali fu concesso, fermo restando il
disposto del can. 142, §2.
§2. Cessa pure, se con il progredire del tempo le circostanze, a giudizio dell'autorità competente, sono talmente
cambiate, che sia risultato nocivo o il suo uso divenga illecito.
Can. 84 - Chi abusa della potestà datagli per privilegio, merita di essere privato del privilegio stesso; di conseguenza,
l'Ordinario, ammonito invano il privilegiato, privi chi gravemente ne abusa, del privilegio che egli stesso ha concesso;
che se il privilegio fu concesso dalla Sede Apostolica, l'Ordinario è tenuto a informarla.
Il privilegio può cessare:
Revoca, col principio dell’actus contrarius
Privazione, pena di carattere afflittivo
Rinuncia:
o Persona fisica: con l’accettazione dell’autorità competente, generalmente chi lo ha concesso
o Persona giuridica: può essere rinunciato dal legale rappresentante o se riguarda un collegio da
questo all’unanimità
La dispensa
La dispensa è definita con la massima “relaxatio legis in casu particolari”
Can. 85 - La dispensa, ossia l'esonero dall'osservanza di una legge puramente ecclesiastica in un caso particolare, può
essere concessa da quelli che godono di potestà esecutiva, entro i limiti della loro competenza, e altresì da quelli cui
compete la potestà di dispensare esplicitamente o implicitamente sia per lo stesso diritto sia in forza di una legittima
delega.
La dispensa può riguardare solo la legge meramente ecclesiastica. Ciò che discende dal diritto divino non
può essere dispensato neppure dal RP (anche se on è comunque possibile il ricorso).
La dispensa deve riguardare un caso concreto.
La potestà generale di emettere dispense spetta a chi è titolare della potestà esecutiva, sempre nei limiti
della propria competenza, e a chi altro è permesso dalla legge. La ratio di tale scelta è l'economicità, nel
senso di non sprecare il tempo del legislatore per il singolo caso concreto.
L'esempio più frequente di dispensa riguarda il matrimonio rato e non con