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Infatti ha fatto esperienza dell’amore di Dio e non può dunque assumerlo come colpevole.
Esperienza dell’Esodo sottrae Israele da due tentazioni: attribuire a Dio le lacerazioni che l’uomo
sperimenta e il mondo non è ostile, ma è anzi creato per l’uomo.
Israele ha letto la creazione sapendo che Dio è un Dio Salvatore, un Dio che libera e che
continuamente fa rinascere l’uomo. Ha creato tutto come realtà amica per l’uomo che può quindi
goderne. Le esperienze di lacerazione sono da attribuirsi alla storia, l’origine della lacerazione è
storica, non teologica. Israele pur conoscendo la forza del male e del peccato è sempre riuscito a
vedere la creazione con occhi stupiti. C’è una simpatia ostinata nei confronti della creazione,
considerata come atto di salvezza. L’uomo vuole che l’uomo esista, non perché ha bisogno di lui e
ciò viene espresso attraverso l’uso del verbo barà che significa creare; questo verbo si usa per
indicare l’azione di Dio. Questo verbo viene usato sia quando si parla della creazione, sia in Isaia,
sia nel Salmo 51, riferito al cuore dell’uomo. Solo Dio può rigenerare e trasformare il cuore
dell’uomo. Tutti i gesti salvifici della creazione sono gratuiti, universali. Dio ha voluto creare l’uomo
perché ama l’uomo, dunque non è possibile capire il perché.
Israele si è trovato percorrere una strada originale e di fronte alle lacerazioni della vita, difende la
bontà di Dio. L’esodo rappresenta l’esperienza della liberazione e Israele sperimenta che Dio è
signore di tutto ciò che esiste. Capisce che sofferenza, fatica e morte non vengono da Dio ma
hanno origine dalla storia, non teologica. Difendendo Dio, Israele ha difeso l’uomo stesso. Altri
popoli invece attribuiscono a Dio il male ma così facendo avrebbero tolto il fondamento della
speranza dell’uomo. Non c’è un preciso motivo nell’amare Dio, quest’amore è gratuito. Se Israele
avesse posto l’origine del male in Dio, le conseguenze per l’uomo sono: pazienza, rassegnazione,
si sottrae alle sue responsabilità, libertà e verrebbe imprigionato nella rassegnazione. Israele non
ha ceduto a ciò, lottò contro tutto ciò che opprime l’uomo grazie alla speranza di Dio che è sempre
presente e agisce per l’uomo. Gli altri popoli che tentano di sottrarsi da Dio non riescono a trovare
il senso della propria vita.
Gesù e la creazione. I Vangeli non si interessano del tema della creazione ma accennano al
comportamento di Gesù nei confronti della creazione. Ricordiamo alcuni episodi: Gesù calma la
tempesta, libera dalla malattia e dal demonio, mostra di sapere che la creazione è da ricondurre al
progetto originale di Dio, c’è qualcosa di diverso, sistema e guarisce. La creazione è bella ma è da
capire e Gesù guarda con occhi che sanno vedere: quando parla del miracolo del seme che
cresce esso rappresenta un segno attraverso il quale lui parla del regno di Dio. Per Gesù
l’atteggiamento deve essere contemplativo e attivo. L’uomo invece rischia di non guardare, deve
essere estetico, ammirare e cogliere la bellezza; se non lo fa non instaura un rapporto corretto. C’è
il pericolo dell’idolatria ovvero mettere le cose al posto di Dio in modo assoluto, diventare schiavi e
ricorre all’accumulo. Ogni uomo ha qualche riferimento a Cristo e grazie a ciò l’uomo trova la
propria umanità, lo stile di vita che deve esprimere in modo originale. Tutto l’uomo è creato ad
immagine e somiglianza di Gesù ma l’uomo comunque rimarrà sempre l’immagine di Dio,
inviolabile.
La struttura relazionale dell’uomo. Per aiutare la società ad umanizzarsi bisogna provare
l’incontro con lo straniero. L’emigrazione mette a fuoco le fatiche e le conquiste della nostra società
e la vicinanza di persone di diverse religioni. Aiuta ad evidenziare una crisi relazionale perché
nonostante tutti i mezzi di comunicazione di massa, la forma di povertà relazionale-affettiva è in
crescita. In realtà l’uomo è relazione, risposta: il dialogo è diverso se viene fatto con uno straniero.
Alcuni sostengono che l’uomo deve prima trovare la propria identità per poi aprirsi ma ciò non è
vero perché l’io si scopre proprio nella relazione con l’altro. La libertà dell’uomo è limitata e deve
quindi esserci l’altro che l’inferno. Grazie a Dio abbiamo dei contorni, siamo tutti diversi ma l’altro
può diventare un ostacolo o un mezzo. L’identità personale e culturale sono in divenire come lo è
l’uomo: le persone che vivono in culture diverse sono più facilitate ma nessuna cultura e lingua può
essere assolutizzata. L’identità che unisce le persone più profonda della comune umanità. L’essere
figli di Dio porta alla luce le relazioni dell’uomo.
La struttura relazionale dell’uomo riguarda l’uomo in quanto uomo. La Teologia è un dialogo con le
altre scienze. Bisogna fare un’analisi fenomenologica dell’incontro con l’altro: cosa succede
quando un uomo incontra un altro uomo. Stare di fronte ad una persona umana è diverso, ci sono
emozioni, relazioni, è bidirezionale; si guarda e si è guardati, si risveglia la libertà. Proprio
nell’incontro con l’altro si risveglia la coscienza, si è interpellati ad agire umanamente, a discernere
cosa è bene e cosa è male. La persona che ci è davanti è un essere indisponibile: anche se c’è
appartenenza (es. matrimonio) l’altro non ti appartiene mai come può appartenere una cosa. Molti
filosofi vedono nell’incontro con l’altro la presenza di Dio. Infatti Levinas, come altri filosofi, ha
vissuto sulla propria pelle la terribile esperienza della seconda guerra mondiale. Per questi filosofi
dialogici, l’io esiste proprio in relazione con il tu. Questa esperienza dell’incontro con l’altro è
insieme affascinante perché attira la diversità, ma anche realtà tremenda. Levinas dice che di
fronte all’altro, esso è esposto alla mia durezza ed al mio egoismo, che la nudità del volto dell’altro
è esposto al mio “io” nel bene e nel male. La relazione con l’altro non è programmabile. L’incontro
con l’altro risveglia dall’autocentrismo naturale in cui l’uomo è imprigionato. Se l’uomo rimane
chiuso nel proprio mondo, nel proprio ego si innesca il processo disumanizzante. Splett, un grande
filosofo tedesco contemporaneo, dice che “per noi è ovvio innanzitutto il nostro proprio io. In
questo senso esso si colloca indubbiamente al centro di una prospettiva vista dall’io (..) grande ciò
che è vicino, piccolo ciò che è lontano”. In realtà bisogna vedere che con un altro uomo è
importante la relativizzazione. Cioè sia porsi in relazione, sia non far restare più l’io il centro. La
persona davanti a questa esperienza può anche aver voglia di fuggire dalla relazione con l’altro
perché fa male ma ciò porta l’uomo a perdere la sua umanità. L’incontro con l’altro implica un
esodo, un uscire dal proprio mondo per mettersi in ascolto dell’altro, richiede un decentramento.
Proprio in questa uscita la persona umana può fare un’esperienza di senso. Proprio perché la
relazione con l’altro è tremenda e affascinante c’è la parola tedesca Auf-Bruch. Questa parola vuol
dire partire, uscire. In realtà questo ha sempre a che vedere con lo spezzare, per giungere poi ad
un inizio nuovo. Questo dolore non è fine a se stesso, ma è parte del processo che permette
all’uomo di maturare e crescere. Blondel dice che se uno ha sofferto poi sente più sua quella cosa
per cui ha sofferto. L’incontro con l’altro è contemporaneamente scoperta della libertà e
appartenenza, esperienza di confine e di libertà insieme. L’io che si imbatte nel tu viene limitato.
Infatti la parola confine indica sia il limite (fine) piuttosto che l’appartenenza (con). Una cosa esiste
proprio perché è diversa, e la diversità non è affatto negativa. Sartre, che ha un’idea di una libertà
sconfinata e assoluta, vede l’altro che lo limita con un inferno o come mezzo affinché io possa
realizzarmi. Splett dice che l’uomo incontra se stesso solo nell’incontro con l’altro se stesso. Inoltre
i confini non solo dividono, ma uniscono simultaneamente.
Analisi di alcuni testi biblici che trattano della rilevanza antropologica dei fenomeni
migratori di cui si parla nella bibbia: sono pagine fondamentali, che non riguardano solamente
le persone che hanno fatto questa esperienza, ma toccano l’esistenza dell’uomo in quanto uomo.
Alcuni medici sostengono che avendo imparato ad ascoltare pazienti stranieri, hanno imparato a
conoscere ogni persona. Nella Bibbia basta pensare all’esperienza dell’Esodo, che significa
migrare, uscire. Anche la Pasqua di Gesù è incastonata nel giorno dell’Esodo, l’Esodo definitivo
dalla morte alla vita. Alcuni brani raccontano la vicenda di Abramo, che è il padre della fede delle
tre religioni monoteiste che fondò l’Islam; egli rappresenta la vicenda dell’uomo in quanto uomo. La
storia di Abramo è raccontata nei capitoli 12-25, è ambientata nel 1825 e la prima cosa che la
Bibbia racconta di Abramo è la partenza da Carran all’età di 75 anni. Questa partenza resta
indimenticabile nella storia del credente perché la prima persona nominata è Abramo, ad indicare
che Gesù è figlio della umanità. Gesù appartiene a tutti, non si può limitarlo.
Cardellini dice che la partenza di Abramo non ha niente di particolare, ma è comunque un fatto
indimenticabile. Abramo non è la prima volta che parte tant’è che in Genesi 11 si dice che la sua
famiglia si era messa in viaggio dalla città di Ur. La partenza di Abramo è resa speciale dal fatto
che un comune fatto di migrazione è stato riconosciuto da generazione in generazione come il
fatto attraverso cui è iniziata la relazione fra Dio e il suo popolo. Questa partenza ha fatto spazio
all’azione di Dio, trasformandola in una via e in un percorso di liberazione: la partenza è raccontata
come relazione viva con il Signore. Il testo sottolinea che Abramo non si muove di sua iniziativa o
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
- E molto altro ancora...
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