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Tale analisi può essere condotta sia con un metodo cosiddetto indiretto, che prevederebbe di partire
dall'EBITDA, sia con un metodo cosiddetto diretto, che risulta essere effettivamente il più utilizzato
e che prevede di muovere dal saldo di cassa iniziale sommandovi algebricamente entrate ed uscite a
livello settimanale ed aggiungendo le linee di credito disponibili, il tutto in genere lungo un arco di
13 settimane (3 mesi).
L'apertura formale dello stato di crisi è un momento particolarmente importante poiché la Legge
Fallimentare è molto chiara nello specificare come a partire dal momento in cui un creditore viene a
conoscenza dello stato di crisi di un suo debitore, questi (creditore) debba attenersi ad un certo
comportamento per evitare (ed è un rischio cui sono esposti in particolare i creditori bancari,
professionali) di incorrere in due reati penali diametralmente opposti: da un lato la sospensione
abusiva del credito (es. la banca, una volta conosciuto lo stato di crisi dell'impresa, impone in
rientro da tutte le esposizioni, aggravando la crisi stessa), dall'altro l'erogazione abusiva del credito
(es. la banca, pur consapevole dello stato di crisi dell'impresa, le concede comunque credito,
dandole modo di continuare un'attività in realtà insolvente, aggravando così lo stato del passivo; in
tal caso la banca sarà responsabile in solido con l'impresa per tale maggior debito).
Quando lo stato di crisi viene palesato si apre dunque un momento estremamente formale e
delicato*, e la presenza di professionisti esperti** nella gestione di questi momenti è fondamentale.
Tale percorso, per quanto iper-strutturato e di complessa e costosa gestione, soprattutto
considerando come alternativa una negoziazione bilaterale con tutti i creditori singolarmente
considerati, risulta necessario poiché la gestione della crisi attraverso uno degli istituti previsti dalla
legge pone tanto gli amministratori dell'impresa in crisi quanto i creditori al riparo innanzitutto da
una serie di reati fallimentari (es. se all'apertura dello stato di crisi il PN è negativo, l'unico modo
lecito per continuare ad operare è rientrare nell'ambito di procedure protette previste dalla Legge
Fallimentare), ed in secondo luogo dall'azione revocatoria fallimentare.
*[Si tratta di un momento delicato poiché non sempre risulta facile convincere il ceto creditorio ad
aderire al tavolo. Se ad esempio una banca avesse una garanzia personale della moglie
dell'imprenditore, concessa magari in tempi molto remoti e dimenticata dall'imprenditore stesso,
qualora il conto corrente di tale signora fosse molto capiente, la banca non avrebbe alcun interesse a
sedersi al tavolo a trattare potendo benissimo soddisfarsi escutendo la propria garanzia].
**[Generalmente le imprese arrivano al tavolo avendo “già a bordo” un consulente finanziario, un
consulente legale, ed un consulente industriale. I creditori più importanti invece generalmente fanno
ricorso ad un consulente legale, e nei casi di ristrutturazioni molto complesse anche un consulente
finanziario].
Poichè come si è detto risulta fondamentale assicurare la continuità aziendale, al momento
dell'apertura del tavolo di crisi, che ufficializza in particolare al sistema bancario la crisi d'impresa,
risulta importante chiedere ai finanziatori istituzionali (banche) la cristalizzazione del debito, ossia
la sospensione del pagamento dei debiti a medio-lungo termine (dunque, ad esempio, delle rate dei
mutui), mantenendo invece attive le linee di breve termine (es. linee di working capital facilities,
ossia di anticipo fatture), in modo da poter dare la precedenza al pagamento dei creditori aventi
impatto diretto sulla continuità aziendale (going concern).
[N.B.: Uno dei principi guida della nostra Legge Fallimentare è la par condicio creditorum, ma
procedure quali quella in analisi permettono di superarla qualora lo spregio della stessa (par
condicio creditorum) sia necessario al mantenimento della continuità operativa dell'azienda,
attraverso la quale si ritiene di poter soddisfare più ampiamente tutti i creditori].
Un altro fattore importante per garantire la continuità aziendale è la creazione in fase di apertura del
tavolo di crisi di un cuscinetto di cassa: le aziende falliscono sostanzialmente perché manca la
cassa, per cui un advisor avveduto quando apre un tavolo di crisi può, in taluni casi e per nella
consapevolezza di commettere un reato (appropriazione indebita / ricorso abusivo al credito)
cercare di creare un cuscinetto di cassa nascosto al sistema bancario, al fine di mantenere l'azienda
in vita nell'arco temporale di contrattazione dell'accordo di ristrutturazione, per evitare che “mentre
i dottori parlano, il paziente muoia”.
Generalmente tale cuscinetto di cassa viene creato facendosi anticipare delle fatture presso una
banca (es. Unicredit), facendole però poi pagare dal cliente presso un'altra banca (es. Intesa San
Paolo): così facendo la linea di credito aperta presso la prima banca non si auto-liquida, a danno
della banca, ma va sostanzialmente ad alimentare un fondo attivo presso il secondo istituto.
[La contromisura che le banche possono prendere per contrastare tale fenomeno è la notifica di
cessione del credito, con la quale la banca rende noto al cliente dell'impresa in crisi che non può
estinguere l'obbligazione se non pagando presso il suo istituto].
Verifica della fattibilità del piano industriale
Alla chiusura del tavolo, ci si lascia con una timeline dei passi successivi, con cui si propongono ai
creditori determinate condizioni (es. come già detto, si chiede alle banche di sospendere il
pagamento dei debiti a medio-lungo termine, mantenendo invece il pagamento delle linee di breve),
a fronte della presentazione di un piano di risanamento, che dovrà essere attestato in termini di
veridicità dei dati di partenza, di realizzabilità del piano stesso entro (generalmente, al di là di
particolarità del business model) 3/5 anni da un professionista asseveratore: con il piano industriale
si determina l'EBITDA prospettico dei 3/5 anni futuri, ed in particolare i flussi di cassa a servizio
del debito; ne risulta un piano cosiddetto pre-financing sulla base del quale impostare una manovra
finanziaria che riequilibri il debito in essere con il debito effettivamente servibile dai flussi di cassa
(per la parte restante si parla infatti di debito out-of-the-money).
Il piano industriale deve essere predisposto per essere comunicato non ai soli creditori, ma a tutti gli
stakeholders, ossia di tutti i portatori di interessi, quali dipendenti, Stato (erario), comunità nella
quale l’azienda opera, ecc..
Attraverso questo piano bisogna dare evidenza di come lo stato di crisi in cui versa l’impresa sia
risolvibile attraverso l’implementazione di una serie di azioni descritte appunto in un piano
industriale che avrà come output essenzialmente tre elementi:
• SP previsionale
• CE previsionale
• Rendiconto finanziario previsionale
Dalla lettura di questi tre aspetti bilancistici (in quanto si ha un vero e proprio bilancio previsionale)
deve emergere che nell’ambito del piano l’azienda può ritrovare innanzitutto il proprio equilibrio
economico.
Come visto in precedenza, in molti casi la crisi è prevalentemente “finaanziaria” per effetto del solo
indebitamento (es. LBO con fusione inversa che sposta il debito sulla target), ma possono esserci
anche casi di problemi prettamente “patrimoniali”, ossia di disequilibrio tra fonti e impieghi (es.
forte eccedenza di impieghi a breve termine rispetto a investimenti a m/l), o casi più complessi dove
manca l’equilibrio “economico”.
Nella realtà spesso si ritrovano tutti i tre disequilibri con gravità più o meno evidenti.
Il piano industriale risulta essere particolarmente importante nel caso in cui si ha un disequilibrio
economico, poiché permette di individuare le azioni strategiche che andranno a determinare
quantificazioni numeriche rispetto ai ricavi-costi-gestione finanziaria che determinerà appunto i
prospetti previsionali.
In questa fase di piano industriale e quindi ancora prima di aver predisposto la manovra finanziaria,
si parla di fase pre-financing o pre-money: come già accennato in apertura di questo sotto-
paragrafo, la determinazione del piano industriale si ferma alla determinazione dell’EBITDA (dal
punto di vista del conto economico) in quanto ancora non si è messo mano alla cosiddetta capital
instruction dell’azienda.
I piani industriali sono regolamentati dalla Legge Fallimentare agli Art. 67 e 182, ma tali dati
normativi non indicano il contenuto che tali piani deve avere, limitandosi ad indicate come gli
stessi, per essere messi a riparo dall’azione revocatoria (così come prevista dallo stesso Art. 67),
devono essere atti a riequilibrare la situazione economica-finanziaria-patrimoniale dell’azienda ed
attestati da un soggetto terzo estraneo alla vicenda: il professionista attestatore, di cui, come già
detto, parleremo meglio in seguito.
Quali sono dunque i principali contenuti del piano industriale?
Elemento fondamentale per la predisposizione di qualunque business plan sono i ricavi, i quali
rappresentano la vera variabile indipendente di ogni tipologia di piano. Dietro la quantificazione dei
ricavi sta infatti l’analisi strategica del mercato, necessaria per capire cosa si vende, a chi lo si
vende, a quale prezzo, ecc.
A differenza di un business plan di una start-up, il piano industriale di una società in crisi può
avvantaggiarsi della conoscenza dei ricavi passati dell’impresa, per quanto non sempre significativi.
L’algoritmo di costruzione della voce “ricavi” cambia a seconda del settore di riferimento, ma
l’algoritmo generale è solitamente dato dalla semplice moltiplicazione “p*Q” (prezzo * quantità).
Le assunzioni alla base dei dati di prezzo (p) e quantità (Q) devono essere solide, ed indicate più
analiticamente possibile per segmento del mercato, categoria di prodotto, ecc. (es. il business plan
del 1° anno prevede di vendere 20 tavoli; 10 di questi ad oggi sono già stati venduti, e si ha già
quindi il 50% dei ricavi (cosiddetto backlog)), in modo che creditori, analisti, ed attestatore possano
valutare la credibilità delle assunzioni del piano (es. un piano che preveda che una società che non
vendeva sul mercato cinese allochi il 20% del suo fatturato in Cina è difficilmente credibile se non
si hanno un ufficio commerciale ed un magazzino in Cina, ed investimenti che consentano di
entrare in tale).
Va per altro tenuto presente che l’impresa s