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E F
G= = , @H = , @H IJ
;
;, ; 3
Quindi alla base del serbatoio, le barre spingono contro il calcestruzzo fino ad
quando il serbatoio è pieno,
arrivare all’intradosso della parete con una pressione pari a q = 0,049 MPa.
Dall’altra parte l’acqua a 8 metri di profondità esercita una pressione idrostatica pari a 0,8 atm, quindi:
G, K;L = , IJ
Dopo tutto questo ragionamento è possibile affermare che il problema della spinta a vuoto non si presenta,
perché l’acqua spinge più di quanto reagisce spingendo sul calcestruzzo la barra di acciaio, 0,08 > 0,049.
Se il serbatoio è vuoto la tensione nella barra va a 0 e se l’acqua è a metà serbatoio la tensione nella barra va
a metà. Fintanto che la pressione idrostatica risulterà maggiore della pressione esercitata dalla barra sul
copriferro, il copriferro non si distaccherà; quando però la pressione esercitata dalla barra contro la superficie
risulterà maggiore di quella idrostatica il copriferro potrebbe staccarsi.
In tal caso sarà la resistenza a trazione lungo le superfici coinvolte del copriferro stesso a
impedire che si distacchi, ma a questo punto il rischio che avvenga la rottura del copriferro con
il conseguente riallineamento della barre, è piuttosto alto.
Per questa ragione normalmente le barre verticali nella sezione si vanno a mettere
esternamente, in modo che possano funzionare come un contenimento il fenomeno di
raddrizzamento delle barre curve poste lungo il parallelo. E per la stessa ragione spesso tra i
due strati di armatura, quello interno e quello esterno, si dispongono dei in modo che lo
ganci,
strato esterno trattenga lo strato interno, impedendo la perdita della geometria.
Il tema delle spinte a vuoto è un tema importante che non riguarda solo i serbatoi ma riguarda moltissime
strutture con cui si può avere a che fare molto frequentemente:
Ad esempio si può presentare nelle travi a ginocchio, che si usano nelle scale e che sono
vincolate ad entrambe le estremità; nella zona centrale si presenterà un momento
positivo che tenderà le fibre inferiori, per cui nella zona di intradosso si dispone
l’armatura, però la trave si vuole inflettere e in particolare quando si vuole inflettere il
ginocchio superiore si presenta lo stesso problema visto precedentemente perché la
barra tesa spinge verso il basso e tende a raddrizzarsi, spaccando il copriferro. 15
Nel ginocchio superiore occorre fare in modo che la spinta a vuoto non ci sia, cioè che le barre riescano ad
ancorarsi adeguatamente; solitamente la barra orizzontale invece che piegarla si fa proseguire e si ancora
dall’altra parte in modo che quando è tesa si ancora senza rompere nulla, così come anche l’altra barra, che
viene ancorata nella zona compressa, in modo da non sfondare il copriferro una volta tesa.
Finora è stato valutato un esempio dello stato di sollecitazione in regime membranale della parete di un
serbatoio, andando a studiare come disporre le armature, però c’è un tema di fondo che è piuttosto
preoccupante, ovvero la perché facilmente le tensioni di trazione nel calcestruzzo raggiungono
fessurazione,
valori importanti. In tutti gli elementi visti finora non ci si è mai preoccupati più di tanto della fessurazione
visto che è un evento che può accadere, ma nei serbatoi bisogna fare attenzione perché sono fatti apposta
per contenere dei liquidi o dei gas, allora se il sistema si fessura è un problema dal punto di vista funzionale.
Siccome il contenuto può essere potenzialmente inquinante, non ci si può permettere che il liquido attraversi
le pareti mediante le fessure fuoriuscendo. Per questo motivo spesso si mettono dei rivestimenti interni
(impermeabilizzazioni), che però nel tempo si degradano e quindi si possono presentare comunque dei
fenomeni di contaminazione verso l’esterno.
Per poter usare il cemento armato bisogna riuscire a far fronte al meccanismo della fessurazione, che è
inevitabile nel caso in cui la parete risulta tesa, come effettivamente è per via degli sforzi lungo i paralleli;
ny
allora l’unico modo possibile per evitare la fessurazione continuando a usare il cemento armato per realizzare
i serbatoi è la Concettualmente significa prendere un sistema e lo si precomprime, cioè gli
precompressione.
si genera uno stato coattivo di compressione attraverso dei cavi, dei trefoli o delle barre di precompressione.
Le fessure nel calcestruzzo nascono quando il materiale viene teso, ma se lo si precomprime l’effetto dei
carichi sarà poi una decompressione e non più una trazione, si ha comunque una deformazione negativa e
l’assenza di trazione nel calcestruzzo previene la nascita delle fessure.
Lo sforzo di precompressione da fornire deve essere dimensionato; la prima cosa da calcolare è l’intensità
della trazione che dovrà essere vinta facendo riferimento al metro più basso del serbatoio.
Se si considera una parete precompressa, questa risulterà più efficiente quindi il suo spessore può essere
ridotto da 30 a 25 cm e non saranno più necessarie le armature lungo i paralleli perché non ci sarà più
trazione. Alla base agisce una pressione di 0,8 atm, che sul metro di riferimento diventava uno sforzo di
trazione pari a: ny = 800 KN/m
Ma se non si vuole trazione si dovrà dare uno sforzo minimo di precompressione maggiore o uguale a ma
ny,
siccome si vuole un certo margine il valore di lo si amplifica del 20% con un coefficiente di sicurezza:
ny
= ∗ , ; = HE /
Ciò significa che si intende dare una precompressione lungo il parallelo pari a 960 KN nel primo metro.
Per fare questo si prenderanno 2 cavi da 450 KN l’uno, che verranno fatti passare all’interno della parete
stando nella parte esterna perché tali cavi subiranno la stessa sorte delle barre viste prima; i cavi per
precomprimere il calcestruzzo saranno tesi e lo saranno con una sollecitazione molto più grande (450 KN)
rispetto a quella applicata alla singola barra. Se i cavi dovessero essere messi vicino all’intradosso si avrebbe
una terribile, per questo motivo vengono spostati il più possibile all’estradosso.
spinta a vuoto
(Sono stati presi 2 cavi da 450 KN l’uno perché un cavo unico da 1000 KN sarebbe troppo grande quindi lo si
divide in cavi più piccoli, anche rubando un po’ al coefficiente di sicurezza come in questo caso, purché si riesca
a coprire lo sforzo di trazione da 800 KN/m più un certo margine).
In questo caso la precompressione si dice che è quindi anche se non si ha il liquido e il serbatoio è
attiva,
vuoto, i cavi sono tesi e di conseguenza il calcestruzzo è compresso; lo stato di sollecitazione non si attiva con
la presenza del carico (liquido). Si attiva la precompressione andando a mettere in tiro il cavo inizialmente.
Il cavo per essere teso deve avere un punto di ingresso e un punto di uscita, in modo che possa entrare e
girare intorno a tutta la parete del serbatoio lungo la tangente, finché ad un certo punto non esce. 16
Per metterlo in tensione basta tenere ferma un’estremità del cavo in un punto per
poi mettere in tiro l’altra estremità che fuoriesce dal serbatoio; la quale una volta
messa sufficientemente in tiro verrà bloccata anch’essa in modo da precomprimere
il calcestruzzo. A questo punto se i calcoli sono stati fatti correttamente la parete
risulterà sempre e comunque compressa.
Per ancorare i cavi di precompressione si devono ancorare delle forze decisamente importanti, per cui gli
ancoraggi devono essere fatti mediante delle nervature, in modo che i cavi possano entrare o uscire ed essere
bloccati contro la nervatura.
Più è lungo il cavo e più forza si perde per attrito, quindi piuttosto che avere un
solo punto di ingresso e di uscita è conveniente avere più punti di ingresso e più
punti di uscita e di conseguenza è meglio avere anche più cavi. Solitamente nel
punto diametralmente opposto si posizione un’altra nervatura per far entrare e
uscire i 2 cavi, che coprono metà circonferenza ciascuno.
Con raggi importanti si possono disporre anche molte nervature e di
conseguenza anche molti più cavi nell’intera circonferenza.
I calcoli visti finora valgono soltanto nel primo metro alla base, ma se si sale la pressione si riduce e quindi la
necessità di precompressione si riduce, per cui via via che ci si sposta verso l’alto si può precomprimere
sempre meno. O si usano gli stessi cavi ma si distanziano di più o si usano dei cavi più piccoli ma alla stessa
distanza, spesso nella pratica si segue la prima soluzione.
Calotta sferica Adesso, ragionando sempre sul regime membranale, si
vogliono vedere delle geometrie differenti dal cilindro (che è il
caso più semplice). L’esempio che si vuole guardare adesso è
quello di una porzione, individuata da un certo angolo θ, di
calotta sferica, in regime di membrana.
È una superficie tridimensionale con due raggi di curvatura
principali coincidenti in ogni punto, proprio perché è una
porzione di calotta sferica.
Tale porzione di calotta sferica è soggetta al peso proprio, che è un’azione uniformemente distribuita,
proporzionale al volume e che agisce in direzione verticale.
Si vuole determinare lo stato di sollecitazione in corrispondenza del carico dato dal ricordando
peso proprio;
le due equazioni del regime membranale, la prima forniva che è lo sforzo lungo il parallelo in funzione
nx
della risultante delle forze verticali, assegnato un certo angolo.
Quindi il primo passaggio consiste nell’individuare la risultante delle forze verticali relative alla porzione
Q
θ
di calotta individuata dall’angolo θ, siccome la forza è il peso proprio per calcolare la risultante si dovrebbe
“γ”.
valutare il volume della calotta interessato, moltiplicandolo per la densità del materiale
;
QR = S ∗ T, 3 U = S ∗ 6 ∗ ;VW X – 3Z6R[
Visto che lo spessore è piccolo rispetto ai raggi di curvatura il volume può essere pensato come la superficie
della calotta per lo spessore “s”. La superficie della calotta sferica si può calcolare come (1 – cosθ),
2πR
2
ovvero la circonferenza diametrale per la proiezione in verticale della calotta (l’area sezionata nel disegno).
Una volta ricavato il volume se viene moltiplicato per la densità si ricava la forza. 17
Ora è possibile calcolare nx: ; X
QR S ∗ 6 ∗ ;VW − 3Z6R[
=− = −
; ;