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GLI ÉLITISTI
Alla fine dell’800/inizio ‘900, nasce una nuova corrente di pensiero, gli ÉLITISTI.
Il pensiero Élitista nasce in Italia con MOSCA e PARETO e, quindi, si diffonde in Europa.
Secondo gli Élitisti, in qualunque sintesi politica, a prescindere dal regime, ci sarà sempre
solo una piccola frazione che detenga effettivamente il potere.
L’Élitismo è una corrente di pensiero che spiega cos’è la Politica con l’ottica di riorganizzarla
e ridefinirla.
La Politica è utile al popolo solo se basata su Leggi Scientifiche.
Ogni evento politico, deve essere catalogato. L’obiettivo degli Élitisti è quello di raggiungere
una libertà parlamentale che sappia leggere le esigenze dei cittadini per venire incontro al
loro benessere.
Per gli Élitisti esistono solo due Classi: i GOVERNANTI (minoranza) ed i GOVERNATI
(maggioranza).
MOSCA (1858-1941)
Mosca concepisce la Società come un AGGREGATO POLITICO che deve essere governato
da una Classe Politica – che deve apparire omogenea, compatta e corretta – ELETTA dai
Cittadini.
La Classe Politica (Élite) deve essere formata da persone moralmente integre che dimostrino
di meritare di governare.
I Politici devono pubblicizzare gli atti parlamentari e di governo, in modo che la Società civile
abbia contezza di ciò che sta facendo chi governa.
Cadono così le classificazioni aristoteliche di democrazia, monarchia e aristocrazia. Queste
altro non sono che la facciata legale dei regimi, quando tutti in realtà sono retti allo stesso
modo. Tutti i governi – dice – altro non sono che una minoranza “omogenea” e solidale che si
impone su una maggioranza “disomogenea” divisa e frammentata.
Mosca evidenzia una regolarità storica: la storia dell’umanità è uno scontro tra due opposte
tendenze, quella democratica e quella aristocratica; in quella democratica la classe politica
esistente viene innovata sulla base di una cooptazione di individui collocati originariamente ai
gradi inferiori, in quella aristocratica diventa uno scontro vero e proprio tra chi detiene il
potere e chi ne viene escluso. E’ sempre necessario che i governanti giustifichino il proprio
potere attraverso una dimensione del consenso, in modo tale che, con una formula del
consenso, le convinzioni presenti nella società, preservino il potere ai vertici.
PARETO (1848-1923)
Anch’egli elitista, Pareto dopo aver notato le disuguaglianze vuole studiarle in modo
scientifico.
Esordisce nel 1916 con un TRATTATO di SOCIOLOGIA GENERALE, la base della
Sociologia moderna.
Pareto crede nell’eterogeneità sociale e nelle disuguaglianze sociali e studia scientificamente
il fenomeno delle diversità sociali.
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Per PARETO, non è vero che tutti gli uomini sono uguali, bensì nascono avvantaggiati o svantaggiati
a seconda dell’appartenenza ad una determinata Classe Sociale. Egli crede nell’avanzamento sociale
e dice che il Governo deve aiutare le Classi Svantaggiate, sebbene i governanti eletti debbono
provenire dalle Classi più avvantaggiate.
Vi sono due tipi di “spostamento sociale”, quello ORIZZONTALE e quello VERTICALE;
ORIZZONTALI sono i movimenti di posizione all’interno di una stessa Classe; VERTICALI sono i
movimenti di posizione sociale che vedono il passaggio di una persona di una Classe svantaggiata
che viene “promossa” ad una Classe superiore o viceversa.
Pareto è famoso per aver creato la “TEORIA DEI RESIDUI”, intesi come parti costanti
dell’azione politica, suddividendoli in classi:
- classe I (quelli indicativi della propensione al cambiamento)
- classe II (indicativi della propensione alla conservazione).
Le classi più votate ai residui (classe I) saranno aperte, le altre (classe II), saranno autoritarie
e tradizionalistiche.
E’ importante che Classe al Governo sia MISTA, formata, cioè da personaggi della Classe I e
della Classe II.
La stabilità è assicurata quando una società riesce a garantire continuo rinnovamento della
sua classe eletta, se c’è cristallizzazione, il sistema crolla.
MICHELS (1876-1936)
Michels aggiunge un ulteriore elemento alla teoria, ossia la dimostrazione che anche nei
partiti di massa, ossia su organizzazioni umane a base volontaria fondate sull’uguaglianza
formale degli associati, come i partiti socialisti, esiste una élite di potere.
Infatti, le esigenze tecnico organizzative, le competenze di un piccolo gruppo di individui
finiscono con il sottomettere i membri un partito, anche quelli di ispirazione democratica,
poiché la leadership organizzata assume il comando.
La legge dell’oligarchia finisce per sottomettere non solo i partiti, ma vale anche per lo stato,
e tutta la sua organizzazione.
SHUMPETER (1883–1950)
La definizione di Shumpeter di democrazia, modellata sulle base di una stretta analogia con i
fenomeni di concorrenza nella sfera economica, è “La democrazia è quell’accorgimento
istituzionale per arrivare a decisioni politiche nel quale alcune persone acquistano il potere di
decidere medainte una lotta competitiva per il voto popolare”. Per Shumpeter non
esisterebbe alcuna volontà generale e, quindi, nemmeno la possibilità di pensare al popolo
come “depositario” della suprema volontà politica. Una Leadership che si presenta sul
“mercato” politico, per essere eletta, sconfiggendo la concorrenza… in analogia con quanto
avviene nei mercati. IL MARXISMO (1900-1920)
Crolla in questo periodo il concetto secondo cui la rivoluzione si realizza automaticamente
dopo un processo di saturazione del sistema capitalistico, essa assume piuttosto il significato
di un’azione politica volontaria intrapresa coscientemente dalla classe operaia.
La lettura del Marxismo che ne ha dato LENIN, ha fatto vedere alla storia gli aspetti negativi
(Distopici) del Marxismo; al contrario, il Comunismo di MARX era volto all’uguaglianza
sociale.
Le ideologie Marxiste vedono la RIVOLUZIONE come sola soluzione contro lo Stato
Capitalista.
Per MARX, la Rivoluzione è del Proletariato , per LENIN, la rivoluzione è del Partito .
Rosa LUXEMBURG (1870-1919)
Rosa Luxemburg analizza il perché vi sia bisogno della Rivoluzione del Proletariato.
Per la LUXEMBURG è importante che il Proletariato diventi “Politicamente attivo”.
In questo la LUXEMBURG è più vicina a MARX di quanto non lo siano LENIN e SOREL.
Il Comunismo della LUXEMBURG è vicina al SOCIALISMO UTOPICO e non al
COMUNISMO DISTOPICO.
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Essa vede il Proletariato come protagonista del proprio destino.
Essa ribadisce che le contraddizioni del capitalismo sono inevitabili e non riformabili.
Dall’analisi dell’imperialismo ricava sostanziali punti di contatto con Lenin, difatti entrambi
ritengono che la nuova fase dello sviluppo capitalistico, l’imperialismo, tenda ad
incrementare, piuttosto che diminuire il carattere intimamente contraddittorio del capitalismo
e quindi a richiedere l’intervento attivo della soggettività politica proletaria.
SOREL (1847-1922)
SOREL crede nel Comunismo “mediato”, crede, cioè nella mediazione del SINDACATO.
Pure Sorel prende atto che la rivoluzione deve essere condotta volontariamente, tuttavia la
sua riflessione si rivolge al sindacato, non al partito.
Per Sorel le contraddizioni presenti nella società rilevate da Marx non sono superabili
dialetticamente, ma possono soltanto essere spezzate.
All’ideologia giuridica dello Stato borghese e al socialismo inteso nel suo senso pedagogico,
Sorel oppone la moralità della violenza, che si esprime nel “mito” dello sciopero generale. Il
mito è per Sorel, l’insieme delle immagini capaci di evocare in blocco e attraverso la sola
intuizione i sentimenti necessari all’azione.
Secondo lui i sentimenti di solidarietà sociale possono convertirsi nell’immediatezza nello
sciopero generale, atto rivoluzionario dedito a produrre una società libera.
LENIN (Vladimir Ilic Uljanov, 1870-1924)
La corrente Marxista russa era divisa in due blocchi: i menscevichi, che credendo che la
Russia non fosse ancora al livello di paese capitalisticamente avanzato, supponevano che
bisognasse attendere il suo sviluppo prima della rivoluzione, e i bolscevichi, i quali
credevano che invece il potere andasse preso nell’immediatezza, attraverso un potere
dittatoriale.
Lenin è di quest’ultima corrente, e ritiene che la politica proletaria debba far scomparire le
istituzioni, sostituendola con la partecipazione delle masse.
A differenza della teoria ortodossa di Marx ed Engels, la quale sosteneva che il proletariato
fosse il motore della rivoluzione, mentre i comunisti avrebbero svolto funzione di
complemento avanzato, Lenin riteneva invece centrale il partito comunista, il quale era a
suo avviso l’unico motore rivoluzionario possibile, poiché le masse vanno pedagogicamente
educate al comunismo, dunque nella fase iniziale (ma poi diventerà sempre), varrà la
concezione del primato della decisione su quello della mediazione.
Quindi, il Partito è visto, non solo come mediatore tra cittadini e Stato, ma il Partito è TUTTO .
All’interno del Partito vi è una gerarchia che diventa una élite Oligarchica (1900-1920).
Lenin, dopo la Rivoluzione d’Ottobre (in realtà era il 7 novembre 1917; la differente data è
dovuta al differente calendario – Giuliano – adottato allora in Russia), di fatto sostituì la
vecchia Aristocrazia e la Borghesia con il Proletariato, tuttavia, questo non portò ad una
democrazia ma ad una DITTATURA del PROLETARIATO, perché quando Lenin parla di
Partito, egli Parla del Partito dei Lavoratori in quanto gli altri Partiti non erano rappresentati.
Lenin intendeva il Proletariato solo come Base di consenso per il Partito; quindi una dottrina
POPULISTA, che, ancora una volta, sfrutta il malcontento sociale del Proletariato per
“gestire” il potere in modo oligarchico.
Nel 1919, Lenin crea i SOVIET (consigli dei lavoratori) che dovevano governare le varie
componenti dello Stato (la Scuola, le Fabbriche, ecc…); quindi i Soviet governavano anche
l’economia russa.
Il Partito era al di sopra di tutto, al di sopra dei singoli individui, al di sopra di ogni attività
sociale.
Mentre con Marx la Borghesia aveva ancora un suo ruolo preciso, con Lenin, la Borghesia
doveva scomparire.
L’economia doveva essere controllata dallo Stato, le importazioni e le esportazioni erano
vietate e le banche e la finanza erano un’unica cosa ed erano controllate dallo Stato.
Lenin utilizzer