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Michelangelo esprime all’interno dei suoi sonetti e in particolare nel sonetto 39 in cui dice di come i suoi

occhi erano infermi ma che poi da un angelo furono rivolti alla beltà che dalla terra al cielo conduce.

Dichiara con grande sincerità e coraggiosa apertura come i suoi inizi siano stati piuttosto attratti dalla

bellezza legata ai sensi, al piacere e quindi a un amore così concepito. Questo lo si vede in due opere che

sono all’inizio dell’attività di Michelangelo e che si trovano nella casa Buonarroti e che denotato dal lato

formale l’adesione alla situazione tipica della fine del ‘400 di questa ripresa di

Donatello evidentissima in questa Madonna della scala e in questo nodo di

figure nude della battaglia dei centauri e dei lapiti.

Vediamo anche come nella prima opera Del Bravo ha notato come nel mezzo di

questa battaglia di centauri e di lapiti Michelangelo ha inserito delle figure virili

che sono disposte o a piangere come la figura del centauro abbattuto, o a

frapporsi tra il centauro e il lapite o a combattere a favore del centauro. Li rappresenta quindi come se

fossero affettuosamente legati a questi centauri e quindi legati a creature mezze uomo e mezzo animali

indicando in questo positive figure di amore ferino. Questo aspetto ha fatto pensare a Del Bravo che gli inizi

di Michelangelo fossero legati a una filosofia che appartiene al ramo delle filosofie antiche della sensibilità

che è quella di Aristippo cirenaico, da cui viene fuori il termine di cirenaismo per indicare questa

disposizione filosofica di comprensione della bellezza dell’amore e del piacere. Infatti Aristippo, come ci

racconta Diogene Laerzio, ha come base della sua conoscenza il senso, dice che col tatto distingueva il vero

e il falso, e in questo è simile agli epicurei, stoici e scettici, ma esalta anche come questa conoscenza

sensibile sia tesa all’ottenimento dei piaceri sensibili che chiama piacere dei beni presenti, anzi in questo

caso Diogene Laerzio è attento a distinguere questo dagli epicurei che pure hanno come fine il piacere ma

non quello dei beni presenti bensì quello interiore. I beni presenti sono quelli della carne, del piacere del

sesso, della ricchezza, alimentare. Quindi vediamo come in questa battaglia Michelangelo mostra di aderire

a questa positivamente esaltando loro che difendono i loro amanti ferini.

Questo aspetto è ribadito anche nella Madonna della scala che appare da un punto di

vista iconografico come un’immagine di precise indicazioni teologiche, dove la Madonna

della scala indica l’essere di lei una scala verso il raggiungimento di Gesù o del paradiso,

ma qui vediamo come il giovane scultore in questa madonna così donatellianamente

monumentale (come la Madonna Pazzi), inserisce delle figure e soprattutto degli

atteggiamenti da parte di questi bambini che non appartengono all’immaginazione della

Madonna della scala e neanche dei testi sacri, perché sia sul fondo che in primo piano,

come dice Del Bravo, Michelangelo mette in evidenza delle figure, che sul fondo si

stanno abbracciando e carezzando, un altro che sta alzando il lenzuolo del letto per sbirciare sotto quella

figura di altro bambino la cui testa è mostrata nell’insieme, e in primo piano mostra la figura di Gesù che sta

affondando con grande impegno la sua testa nella poppata della madre. Anche qui quindi viene esaltato

come elemento della scala gradiente verso il massimo piacere non tanto la scala di Maria quanto la scala

dei piaceri legati ai sensi, il gusto la vista e il tatto. È interessante come lui al pari di Aristippo Cirenaico

scelga proprio i bambini per esprimere questi piaceri, perché Aristippo, in 2:88, dice che i bambini sono

istintivamente attratti dal piacere e ottenutolo non cercano di più e nulla evitano quanto il dolore. Quindi

Aristippo dice che la positività per i piaceri dei sensi è dettata dai bambini, che non viziati da sovrastrutture

mentali cercano istintivamente questi piaceri e rifiutano i dolori.

Questo inizio di Michelangelo è però circoscritto a un breve giro di anni, come ci dice nel

sonetto 39. Questo passaggio è da Del Bravo visto quando Michelangelo va a Bologna per

concludere quanto Niccolò dell’Arca aveva lasciato incompiuto nell’arca di San

Domenico, ovvero un paio di santi della parte superiori, tra cui san Petronio e l’altro

angelo nella parte bassa e conclusiva del discorso. L’angelo reggicandelabro ci mostra un

Michelangelo molto cambiato rispetto a quello che poneva la sua attenzione sui sensi e i

piaceri conseguenti, ed invece ci mostra una specie di messo d’amore, una creatura

celeste, che indica e si mostra di una bellezza che poi Michelangelo seguirà per tutta la

vita, una bellezza tutta piena del disegno che la modella e la forma e che forma occhi contemplativi diretti

all’alto e quindi non ai sensi, queste soffici ali fatte per il volo leggero e soprattutto quell’essere tutto legato

a quella candelabra che con il cero e la fiamma che va in alto indica il suo appartenere con questa bellezza

alla trascendenza. Questo cambiamento è quello di chi dagli occhi infermi viene improvvisamente rivolto a

una bellezza che dalla terra al cielo vivo conduce.

Seguendo le indicazioni di Del Bravo vediamo come dal ritorno a Firenze nel ‘96 fino alla volta della sistina

che inizia nel ‘10, Michelangelo considera e riflette su questa bellezza contemplativa che da un messo del

cielo dice aver raggiunto. In un primo momento egli considera tutto ciò che nella bellezza può essere di

ostruzione alla contemplazione di essa, e poi con la volta della sistina stabilisce in un certo senso i gradi

della scala di bellezza che porta al momento più alto.

Venendo a considerare le prime opere di questi secondi anni ‘90, e quindi il Bacco, il David e

la battaglia di Cascina, Del Bravo osserva come queste immagini offrano bellezze che però

sono inficiate dell’essere bellezze che portano al cielo perché legate a qualcosa di

immanente, cioè legata ai sensi, e che sono i sensi del sesso, del gusto e della violenza. Tutto

ciò introduce una rottura di quella bellezza e quindi interrompe il canale che porta alla

contemplazione. Infatti in questo Bacco si avverte, e già il Vasari avvertiva nel descriverlo,

come la figura di questo Bacco è resa inficiata della sua bellezza perché è un misto di figura

maschile e femminile, maschile nel busto, femminile nelle cosce molto allungate, e

soprattutto questa confusione di sesso è unita a uno stato del dio di ebbrezza nell’essere

tutto attratto di quel liquore che ha già bevuto e che continua ad adorare per un’ulteriore bevuta. La sua

mano sinistra regge una pelle di leone che il satirello alle sue spalle sta schiacciando, la pelle di leone è

immagine di virtù e quindi lo schiacciarlo vuol dire rifiuto della virtù, un satirello che avidamente ingoia i

chicchi dell’uva e ha il sesso inturgidito dal piacere. Qui vediamo come Michelangelo ha mostrato una

bellezza che però non può essere gradino verso la salita perché richiama ai sensi a cui gli sfuggono la

contemplazione più profonda.

Anche la bellezza veramente straordinaria del gigante David che lui fece perché

occupasse uno dei contrafforti esterni nella zona absidale di Santa Maria del Fiore, viene

interrotta dalla testa del David, perché chi contempla quel corpo e ne contempla

l’armonia e la dilatazione e l’essere perno centrale per tutti, incontra in un certo

momento il volto che si distoglie dall’essere contemplato per la sua bellezza, perché è

richiamato alla sua sinistra dal nemico e quindi incupisce gli occhi per rispondere al

nemico e quindi anche il braccio si muoverà dallo stato contemplativo per tirare con la

fionda al nemico. Qui vediamo come sia il negozio militare a distruggere l’otium

contemplativo.

Questo ragionamento viene poi narrato nella copia della battaglia di

Cascina, che si narra che fu voluta per la repubblica nel salone dei 500

per ricordare la costruzione della repubblica fiorentina nella battaglia

contro Pisa. Questa immagine rappresenta il momento in cui i soldati

dell’esercito fiorentino si riposavano spogliandosi delle armi per

tuffarsi nell’Arno, e vennero aggrediti dai soldati pisani. Qui vediamo

quindi l’immagine del riposo del soldato, che è da questo momento in

poi uno dei grandi temi del platonismo, ovvero il ritorno dell’uomo impegnato nel negotium nello stato di

otium, del riposo contemplativo, che si stavano distendendo nella contemplazione naturale e nel loro

ritorno alla nudità di anima che vengono aggrediti dagli altri soldati. Interrompono la contemplazione dei

soldati fiorentini ma anche di chi si dispone a questa contemplazione.

Ci fa capire come per Michelangelo tutto ciò che è legato al negotium e all’azione legata ai sensi della

violenza o del piacere, siano elementi che devono essere tolti dalla contemplazione perché la riconducono

in basso.

Quando va a Roma ed esegue il sepolcro per il papa Giulio II, anche

se questo non verrà mai concluso, e dipinge la volta della Sistina,

Michelangelo sempre genialmente esprime in un certo senso una

scala di bellezza, legando questi gradini di bellezza alle arti che lui

praticava. Infatti vediamo come dal punto di vista artistico questa è

tutta una pittura, ma è una pittura che è di arti divere, sul fondo

nelle storie della genesi abbiamo una pittura di pittura, più in qua

rispetto al fondo abbiamo una pittura di architettura, più in qua

ancora rispetto ancora all’architettura abbiamo una pittura di

scultura, che però è divisa fra scultura dei bassorilievi e scultura dei rilievi marmorei dei bambini che sono

ancora più in qua rispetto all’architettura. Altro grado delle figure che reggono i festoni che sono figure di

giovani di grande bellezza, in cui la pittura non è più si scultura perché ha i colori e quindi è pittura di

natura, e a un grado ulteriormente superiore abbiamo i profeti dove quindi la pittura è pittura di profeti.

Tutto questo per Del Bravo esprime una graduatoria, perché Michelangelo riguardo alla pittura, quindi a ciò

che mette sul fondo, più lontano da chi guarda e da chi dipinge, era considerata una arte inferiore, perché

legata ai sensi. L’architettura la dice arte legata alla pratica e quindi al negotium e all’azione, mentre la

scultura, sia nel sonetto 237 che nella risposta che da al Varchi che aveva chiesto agli artisti quale fosse la

maggiore delle arti per lui, risponde che la prima arte è la scultura perché è faro della pittura. In questa

situazione lui ha messo in atto quella che è la scala immaginativa ficiniana ripresa da Plotino. Plotino dice

ch

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A.A. 2018-2019
213 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/02 Storia dell'arte moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher .Artemis. di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'arte moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Gnocchi Lorenzo.