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Estratto del documento

ACETU(M)

PACE(M)

PECE (M)

La C dolce si è palatalizzata e si è confusa con la sibilare palatale proviente da SJ , nel trecento

abbiamo pasce, asceto, camiscia e bascio. Nell'etimo latino basium.

verso 75

Dal → il senso di distacco diventa auto-ironica;

però ha valore di perciò; per hoc;

Verso 78 ma disse: «Parla, e sie breve e arguto

→ → somiglianza con l'episodio di Farinata

degli Uberti;

Verso 80 de la cornice onde cader si puote

→ → potest → potet;

Verso 81 →perché da nulla sponda s’inghirlanda → neologismo dantesco

Verso 83 →ombre, che per l’orribile costura→ cucitura;

Il pianto è difficoltoso a causa delle palpebre chiuse e cucite; emergono molti elementi prolettici;

per li occhi → moto attraverso luogo partecipato già da Dante, esso indica il coinvolgimento nella

narrazione;

Versi 85- 93 → Emerge l'ennesima variazione dell'incontro tra Dante vivo e le anime del

purgatorio, emerge il tema dei suffragi.

Verso 85 → Volsimi a loro e «O gente sicura» → legge di Tobler e Mussafia;

Verso 88 →se tosto grazia resolva le schiume → se + congiuntivo ha valore ottativo;

sciogliere le impurità dell'acqua ma qui della coscienza;

Verso 89 → di vostra coscienza sì che chiaro → è predicativo e si riferisce a fiume;la

pronuncia è latineggiante, Dante fa sentire ciò che prima era J come intervocalica. Abbiamo la

dieresi → prosodia latineggiante di questa parola, è di cinque sillabe.

Il riferimento strutturale è all'acqua del fiume Lete: ogni anima del purgatorio quando sarà il

momento berrà quest'acqua e dimenticherà il male, purificandosi.

s’anima è qui tra voi che sia latina;

Verso 91 →s’anima è qui tra voi che sia latina; →

italiana;

Verso 92 →e forse lei sarà buon s’i’ l’apparo» lei esempio ditativo di complemento di termine

non proposizionale, come "dissi lui" "io dissi a lui".

(IL)LUI

(IL)LAEI forme analogiche sulla forma del dativo del pronome relativo CUI

Esse si sono distinte per genere, da cui le forme italiane Lui e Lei che sono utilizzate solo in

congiunzione di obliquo (complemento). versi 93-96 →

Sapia si presenta con un terzina un po' pedante:

O frate mio, ciascuna è cittadina

«

d’una vera città; ma tu vuo’ dire

che vivesse in Italia peregrina». → Tale terzina serve a mettere in rilievo il senso cristiano del

pentimento e della conversione. Ciascuno è cittadino di una sola (la medesima) vera città, essa è

la civitas dei di Sant'Agostino. E' la città in cui solo cristo è l'abate del collegio.

Verso 98 →più innanzi alquanto che là dov’io stava → ha una sfumatura semantica opposta

ad "alquanto" dell'avverbio moderno, in italiano antico significa "un poco";

Verso 99 →ond’io mi feci ancor più là sentire → sta per oltre;

Versi 100-102 → Tra l’altre vidi un’ombra ch’aspettava

in vista; e se volesse alcun dir ‘Come?’,

lo mento a guisa d’orbo in sù levava. → capolavoro icastico di evidenza rappresentativa. Nel

suo aspetto l'anima sembrava aspettare qualcuno. Elegante costruzione ellittica: viene espulsa

una parte del discorso normale. I ciechi tirano in su il mento per vedere.

Lo mento → legge di Groebel;

Verso 103 →«Spirto», diss’io, «che per salir ti dome→ si tratta di domare la propensione

all'invidia;

Verso 104 → se tu se’ quelli che mi rispondesti,

fammiti conto o per luogo o per nome». → Enclisi risponde alla terza condizione di Tobler

enclisi alla sua principale posposta alla secondaria (cioè se tu se').

Versi 109-111 →Savia non fui, avvegna che Sapìa

fossi chiamata, e fui de li altrui danni

più lieta assai che di ventura mia. →

Sapia è la zia di Provenzan Salvati, essa invidiosa del nipote e del suo successo militare e

politico. Eccola fissata da Dante per l'eternità col solito sistema figurale che concentra in un

episodio della vita tutto il senso di un'anima. E' raffigurata nel momento in cui gode per la rovina

dei ghibellini e del nipote: essa prova piacere per la sconfitta montale dei ghibellini. Ricorda la

Battaglia di Colle val D'elsa del 1269 è la grande sconfitta dei ghibellini di Siena.

Verso 117 →e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle. → Io pregavo che Dio portasse i miei

concittadini alla sconfitta; quella però fu la volontà anche divina.

Verso 118-120 → Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari

passi di fuga; e veggendo la caccia,

letizia presi a tutte altre dispari, → emerge la nuova Sapìa, una figura ancora abbastanza

infernale. Però tra le righe emerge anche il suo pentimento.

Li amari passi di fuga → →

sono i passi di fuga dopo l'amara sconfitta cambia la prospettiva;

dìspari → →

avanzamento dell'accento dato che si tratta di ri-composizione; vuol dire

eccessivamente superiore. →

Il verso è costruito a cornice due elementi che dovrebbero essere congiunti o vicini sono posti

uno all'inizio e uno alla fine.

Questo antico stato d'animo viene stigmatizzato e condannato dalla stessa parlante, con il sistema

dell'auto-ironia e caricatura.

Verso 122 →gridando a Dio: "Omai più non ti temo!" → ricorda un'anima come quella del

bestemmiatore Capaneo che sfida Giove sulle mura di Tebe dicendo: lancia pure le tue saette, io

non me ne preoccupo minimamente.

Sapia si ritrae propriamente come una stupida: l'indivia è un sentimento stupido.

Verso 123 →come fé ‘l merlo per poca bonaccia. → Come fece (ha valore vicario) il merlo

sperimentando un poco il bel tempo. Non ha a che fare con i giorni della merla.

Verso 126 →lo mio dover per penitenza scemo → diminuito, pagato, soddisfato; LO la forma

forte dell'articolo;

Pier Pettinaio bottegaio che commerciava i pettini, muore intorno al 1290, egli era innamorato di

Sapìa, l'ha ricordata nelle sue orazioni.

Versi 133-135 → «Li occhi», diss’io, «mi fieno ancor qui tolti,

ma picciol tempo, ché poca è l’offesa

fatta per esser con invidia vòlti. → Dopo la morte Dante dovrà purgarsi per superbia, ma per

poco tempo.

Mi fieno → fient → forma del futuro; queste forme di fieri sono continuatrici naturali nel fiorentino

qui

antico; ha valore di ausiliare del passivo: il verbo che serve, come venire ed essere, come

ausiliare del passivo, è fieri.

E' Dante personaggio che parla, per questo dice qui e non quivi. L'avrebbe detto se fosse stato

Dante autore.

Emerge una particolarità stilistica: è così estranea a Dante l'invidia che addirittura ricorre a questa

espressione del tutto impersonale che poca da parte mia è fatta l'indivia per essersi rivolti a

guardare. 4 maggio 2015

XIV Canto

E' un canto caratterizzato da versi icastici nei confronti di Firenze. Dante, sempre con il suo

atteggiamento virilmente duplice, accanto alla durissima condanna dell'allineamento con l'anarchia

e della violenza del presenze, c'è sempre la volontà di produrre attraverso una denuncia profetica.

Guido del Duca dice chiaramente di avere delle visioni allucinate di Firenze, esse sono rivelate

da uno spirito superiore.

Dante dice chiaramente che ciò che rivela è manifestato da Dio. Alla denuncia si associa la

speranza pur difficile che la denuncia possa smuovere gli animi; tale canto si presenta notevole

perché insieme alla raffigurazione della Valle dell'Arno, si associa nella seconda parte del canto,

sempre per bocca di Guido, una raffigurazione virata in senso nostalgico della Romagna.

Toscana e Romagna sono le due regioni che, anche per ragioni biografiche, sono più familiari a

Dante. Lo stesso tema è svolto in modo meravigliosamente diverso: Dante ha capacità di

modificarsi e di modificare il tono della propria poesia → si passa dalla denuncia dura e allucinata

(grandi immagini come la strage dei fiorentini di Fulceri da Calboli, ad uno sviluppo quasi elegiaco.

La Ballata delle dame antiche di un poeta francese del '400 ci servirà per analizzare una delle

caratteristiche stilistiche di tale canto.

Gli elementi di rilevo dal punto di vista espressivo sono:

l'attacco dialogico in medias res: esso è in qualche modo brusco, emergono le parole vive

 di due anime invidiose, sono due spiriti romagnoli. Dante però si nasconde, come spesso

succede in molti canti, per varie ragioni; il poeta non vuole comparire e le poche parole che

pronuncia gli sono quasi estorte. Le sue parole sono reticenti perché sta parlando dei

ciechi.

La capacità di rendere espressiva la retorica: caratteristica peculiare del poeta; emerge

 nella descrizione della Valle dell'Arno che è tutta giocata nella chiave della metonimia e

della prosopopea e dell'antonomasia. Essa è giocata in chiave animalesca → l'umanità si fa

bestiale. La Valle viene personificata, essa è un'enorme biscia che si svolge dall'Appennino

fino al mare, lambendo nel suo movimento, diverse città fiorentine → dall'Alto Casentino ad

Arezzo, Firenze e Pisa.

Tali luoghi non vengono indicati attraverso i nomi propri → essa è una varietà stilistica

 notevole.

Prima c'è reticenza: Dante non dice espressamente, ecco perché il poeta tace la sua parte.

Attraverso la circo-locuzione – modo espressivo che nasconde – i nomi non vengono detti

ma vengono tradotti in figure bestiali tratte dal serbatoio dei blasoni popolari. L'Italia è la

patria dei Campanili: le comuni cittadine vicine prendono in giro l'un l'altra spesso usando

immagini animalesche. La contea dei Guidi viene indicata come i porci, gli aretini sono

popoli ringhiosi, i fiorentini dei lupi, i pisani sono delle volpi che non temo gli ingegni. Il

bestiario anticipa la terribile profezia di Guido. Egli vende la propria anima e vende i suoi

nemici essendo vivi: come antica belva esce sanguinoso dalla selva (→ rimando al I canto).

La terra è trasformata in Inferno: dal punto di vista espressivo nel gioco delle rime questa è

una pagina infernale. L'Arno diventa una sorta di quinto fiume infernale.

La poesia dei nomi propri: la seconda parte è volta al passato, rievoca la Romagna del

 p

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
83 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/12 Linguistica italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Erichto di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della lingua italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Udine o del prof Formentin Vittorio.