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Il codice è in pergamena e non in carta; la prima carta è molto
rovinata, l’illustrazione è quasi illeggibile, si intuisce che il ms.
è stato slegato (se fosse stato legato fin da subito non si
sarebbe rovinato così tanto).
Impaginazione senza nessuna colonna: ms. di tipo
universitario; la scelta della scrittura è indicativa, in questo
caso abbiamo una semigotica libraria (viene dalla famiglia che
discende dalla lectera testualis, scrittura usata dai
professionisti della scrittura).
È presente un’iniziale miniata > indizio che ci fa comprendere
il fatto che si tratta di un prodotto di lusso.
3r (inizio I canto) > presente apparato decorativo; presente
iniziale miniata molto grande (B. non è il decoratore).
Presenti le rubriche in rosso; sistema molto articolato di
maiuscole e minuscole; si nota una glossa in prosa: il modulo di
scrittura è più piccolo, ma la tipologia della scrittura è identica
(semigotica libraria).
Boccaccio è una sintesi di molti mondi culturali: domina 3
alfabeti (latino, greco e volgare) > cosa eccezionale per il tempo
(Petrarca no).
Oltre agli alfabeti usa varie scritture (corsiva > mercantesca,
lectera testualis > semigotiche, scrittura sottile corsiva
intermedia) > nel Teseida convivono.
Molto frequenti gli spazi bianchi > doveva essere inserita una figura che poi
non è stata realizzata. La scrittura nel 99% dei casi precede le figure > non
sappiamo perché non sono state realizzate, non presente nemmeno il
commento. 43
18v > maiuscola che introduce il canto che ha una decorazione più
rudimentale (no pittura, ma solo inchiostro); presente in basso a dx un tondo
con dei raggi: la scrittura si piega (B. già sapeva che doveva essere inserito) >
il cerchio è realizzato da B., ma non è finito.
B. disegna delle manicule che servivano a indicare dei punti notevoli, nel ‘500 un lettore ne ha disegnata una
sproporzionata: Manicula Boccaccio, 33v
Manicula lettore cinquecentesco, 2v
In alcune zone l’inchiostro ha cominciato a svanire > qualcuno ha ripassato la scrittura di B.:
Quando chi ripassa non è l’autore, e quindi non sa esattamente quale parola sia, può ripassare male
producendo un errore (nell’Hamilton qualcuno ha ripassato il nome Marato trasformandolo in marito >
problema nella trama e ha generato tutta una serie di errori (non è l’unico caso). 44
Giovanni Boccaccio, Teseida delle nozze d'Emilia (IX, 30-35) (testo da Giovanni Boccaccio, Teseida delle nozze
d'Emilia, critical edition by E. Agostinelli and W. Coleman, Firenze, Galluzzo, 2015, pp. 282-83):
I 2 studiosi hanno dedicato al Teseida 28 anni di ricerca: sono riusciti a sottoporre il ms. a un esame che fino
a quel momento non era stato possibile fare: passare il testo ai raggi x per vedere le scriptio inferior (scritture
nascoste).
Vari tipi di scritture convivono nel ms., il commento in prosa si adatta allo spazio residuo; ogni spazio è
calcolato con estrema precisione, B. fa il conto delle lettere e calcola quanto spazio occupano.
Lo spazio d’interlinea ha più funzioni: spazio tra interlinee usato per correggere, glossare, scrivere una
variante (cancellare e scrivere sopra), scrivere una variante attiva (non è una glossa, ma serve a precisare il
contenuto della forma d’impianto).
Le glosse interlineari sono più brevi e specifiche (disturbano la lettura) > si inseriscono solo se strettamente
necessarie; B. glossa termini semplici (glossata parola bruno: scuro).
Glossa marginale > glosse semidistese usate per dare un commento conciso.
La scrittura corsiva, a differenza delle librarie, è legata e più semplice. 45
Marco Cursi isola 4 tipi di scritture boccacciane: maiuscola distintiva di cui non abbiamo esempi nel T., la
posata (semigotica libraria > scrittura d’impianto delle ottave), la corsiva (rarissima nel laurenziano, una sola
carta) e la sottile (a punta rovesciata: chi scrive ha un pennino tagliato che se usato dalla parte della sezione
crea una scrittura che presenta chiaro/scuro > perfetta per l’interlinea).
Descrizione IX, 30-35: Arcìta e Palèmone sono i 2 protagonisti del T., entrambi innamorati di Emilia > si sfidano
per questo amore in duello: sospetteremmo che uno dei 2 vinca e sposi la donna ma, nel T. avviene che dopo
lo scontro in un bosco Arcita vince ma poi cade da cavallo e si ferisce a morte A. e P. sono rivali in amore,
ma si stimano a vicenda. Poi Teseo lo mette su un carro trionfale, lo fa entrare a Tebe e gli spetta il matrimonio
con Emilia, ma sa che sta per morire > sposa Emilia ma poi fa un testamento in cui dice che alla sua morte
Palemone dovrà sposare la donna. Teseida: Firenze, Laurenziano Acquisti e Doni 325, cc. 103 r e v
30, 6 > gisse: cong. Imperf. (andasse) di un verbo difettivo (gire) che è abbastanza presente nella lingau dei
versi; si trova anche in altre zona dell’area romanza. Non riesci a raggiungere un paradigma completo.
30, 7 > ostier: il palazzo; noia: sofferenza/fastidio (molto più accentuato rispetto a oggi).
Et viene riportato così come è presente nel ms.; preghare > pregare (tratto neutralizzato perché visto come
non caratteristico), presente h nella forma theseo, charro > carro; uguale il nesso ph (classicheggiante).
Nell’ed. di S. Battaglia (1938) abbiamo un grado di interpretazione critica maggiore rispetto ad Agostinelli-
Coleman: non trascrive et > e; neutralizza i nessi classicheggianti. 46
30, 4 > facto riportato uguale (-ct- portatore di informazioni, rimanda alla forma latina).
La lingua dei versi e quella della prosa presentano delle caratteristiche leggermente diverse.
I puntini sottoscritti ad alcune lettere sono segni editoriali che servono allo scrittore per intervenire sul testo
scritto: nei ms. preziosi barrare una parola/frase voleva dire rovinare il testo, per questo si usava il puntino
expuntivo; in B. non vuol dire solo espulsione di lettere, ma è anche un modo in cui B. segnala quelle vocali
che leggendo secondo la prosodia dell’endecasillabo non leggiamo con la voce.
10/04/2019
30, 8 > gli era: nel ms. abbiamo glera.
Le ottave di B. sono imperfette: fa delle inversioni > talvolta hanno un andamento ripetitivo: la I ottava ha le
rime costituite da uscite fisse, è una rima grammaticale (quelle dei verbi o avverbi) tranne gli ultimi 2 vv.
30, 7-8 > noia e gioia costituiscono una rima piena di storia: usate da poeti prima di B., che è consapevole del
fatto che usandole avrebbe attivato qualcosa nella memoria dei lettori: Giacomo da Lentini, Bonagiunta
Orbicciani, Renzo (figlio Fed. II), Guittone, Guido Cavalcanti, Boccaccio stesso nel Filostrato, Petrarca.
30, 1 e 30, 6 > pregare e pregò: sono forme che B. scrisse senza dittongo (non priegare né priegò); il dittongo
si riduce dopo cons. + r o fono palatale a partire dalla seconda metà del ‘300.
Nella parte in prosa abbiamo figliuolo (dittongo presente) > differenza tra poesia e prosa. Non è detto che
nella poesia tutte le forme siano monottongate e nella prosa dittongate.
Nel primo caso è figliulo, nel secondo è figliuolo > mette un segno sotto la prima forma e aggiunge una “o”;
correzione importante perché ci sono casi in cui B. scrive figliulo, riducendo quindi il dittongo al primo
elemento e non al secondo (Teseida, VII nei versi) > forse non si è accorto dell’errore e non ha corretto.
Venisse, vincesse e gisse: venisse e gisse fanno rima, vincesse no nel senso classico di rima si tratta di una
34
rima siciliana (nel T. sono 5) non è scontato che un editore ammetta una serie lirica non perfetta.
31, 8 > epitaphio: nel commento in prosa troviamo epitafio.
31, 5 > abbandonò: nel commento abandonò.
Tra ottave e commento troviamo spesso le stesse parole.
Cioè apre una glossa breve (epitafio cioè il titolo sopra la sepoltura.
32, 2 > destriere: nel ms. scrive destrerie (errore di scrittura): elimina con il punto sottoscritto la i e fa un
uncino tra r ed e aggiungendo la i.
32, 3 > indebolito: nel ms. c’è scritto indebelito (errore curatori).
32, 4 > assedere: radd. Fonosintattico (i curatori per evidenziare il
fenomeno inseriscono un puntino a metà rigo a·ssedere). Non sempre
segnalato con puntino.
34 vd. Pag. 4. 47
33, 2 > gratioso: determinate parole vengono scritte da B. con la t.
33, 8 > viso amoroso: sintagma ricorrente in altri poeti.
34, 3 > cavai: la i è espunta; cavai è una forma di plurale con la palatale che è stata assorbita (Cavalli > cavagli
> cavai > cavà [i espunta]). L’apocope della vocale che dà la marca del plurale non è frequente.
35, 2 > ab antico: sintagma latineggiante diffuso (lo troviamo nell’ Inferno di Dante) B. conosce, assorbe e
riusa la lingua dantesca.
35, 7 > scuricella: usa il vezzeggiativo per fare la rima con fella; forma attestata solo in B. (TLIO).
35, 8 > fella: un gallicismo che indica il carattere crudele della battaglia; viene da fellone.
15/04/2019 & 17/04/2019
Francesco Petrarca (1304-1374)
Possediamo una ricca serie di testimonianze, un numero eccezionale rispetto al panorama italiano ed
europeo.
Abbiamo sia il codice finale del Canzoniere (Vat. Lat. 3195), sia il codice degli abbozzi (vat. Lat. 3196); questi
due codici sono gli unici il volgare, il resto della produzione è in latino l’orizzonte estetico nel quale P.
lavora è pienamente inserito nella classicità latina.
Conosciamo oltre 60 manoscritti, la maggior parte sono libri posseduti dall’autore con le sue annotazioni, ma
anche sue opere.
Codice degli Abbozzi (Vat. Lat. 3196) > una serie di 20 carte, inizialmente sciolte, che si sono salvate fra le
centinaia/migliaia di carte sulle quali P. ha lavorato; contiene 75 testi + frammento di un’epistola latina; non
siamo certi che il codice sia realmente autografo.
Tutta questa documentazione manca per Dante e Boccaccio, di cui abbiamo solo la bella copia.
Sono frequenti le postille:
- Agenda in latino (quando ci ha lavorato) > “1368 maii 19, veneris, nocte concubia. Insomnis diu
tabdem surgo et occurrit hoc vetustissimum ante XXV annos” c. 2v;
- Inserisce valutazioni sui versi > “hic placet”, “attende più” (troppe ripetizioni di più), “hic videtur
sonantior” (qui sembra suonare meglio), “attende illum” (torna su questo v.).
Sono presenti delle zone bianche > non si tratta di un lavoro continuo, ma talvolta tornava a scrivere.
Verso la fine del ms. troviamo una scrittura in versi solo su una colonna (simile a quella delle ottave di Ariosto)
> Trionfi (anni ’60); la carta più antica r