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Ryle, i quali, in questo modo, trascurano l’implicito riferimento a cause inosservabili

presente in ogni spiegazione disposizionale, sfociando in una criticabile semi

tautologia. Ammesso che ogni azione possa non essere causata o accompagnata da

stati mentali di coscienza, resta plausibile che ogni comportamento psicologico sia

causato da un qualche tipo di base fisica, la quale può essere anche neurologica, e, in

questo caso, dovrebbe presupporre un’identità fra mente e cervello. In effetti, la crisi

del comportamentismo degli anni 50’ è stata cruciale per il passaggio dalla psicologia

filosofica della filosofia della mente di Wittgenstein e Ryle alla psicologia scientifica

della teoria dell’identità e del funzionalismo.

Scienze cognitive: AI e Chomsky (1928 – ancora in vita)

Negli ultimi 40 anni, la crisi affrontata dal movimento comportamentista ha portato

ad una rivoluzione funzionalista della filosofia della mente e, anche mediante la

nascita della nuova psicologia scientifica, ad una maggiore focalizzazione sullo

studio dei processi interni che nella scatola nera comportamentista erano considerati

inesistenti o inutili a livello scientifico. Dalle scoperte di Miller sul magico numero 7

(1956) in poi, le scienze cognitive si sono sviluppate principalmente sulla scia degli

studi sull’intelligenza artificiale AI e sulla grammatica trasformazionale di

Chomsky. L’AI (1956, conferenza a Dartmouth tenuta da J. McCarthy) è il risultato di

una diretta applicazione del computer digitale (o computer di Von Neumann’), di

recente invenzione, alla risoluzione di problemi che, se affrontati dall’uomo,

richiedono intelligenza per essere risolti. L’interesse che la filosofia della mente volge

a tale nuovo approccio si fonda sulla concezione del pensiero umano come continuo

processare dell’informazione, ad opera di una mente con organizzazione

funzionale paragonabile a quella di una macchina virtuale relativamente

indipendente dal suo hardware (umano, elettronico o marziano che sia), pur avendo

bisogno, per esistere, di un qualche supporto materiale. L’organizzazione del

computer, perfettamente nota in quanto realizzata da noi esseri umani, è dunque

presumibilmente analoga a quella del cervello umano, che, seppur ignota, può essere

plausibilmente concepita come un programma che regola la manipolazione delle

rappresentazioni mentali in conformità con regole sintattiche universali. È

dunque possibile ricostruire il programma del software – mente anche in assenza di

informazioni riguardo l’hardware, e, quindi, indipendentemente dalle neuroscienze.

Nella metà degli anni 50’, Chomsky inizia a prendere piede all’interno delle scienze

cognitive attraverso la critica al comportamento verbale di Skinner, secondo il

quale la capacità di parlare e di comprendere il linguaggio può essere integralmente

spiegata mediante l’armamento comportamentista stimolo – risposta. A Chomsky

appare chiaro che la produzione e la comprensione del linguaggio dipendano sì dalla

recezione passiva degli stimoli esterni, ma soprattutto dalla loro elaborazione ed

interpretazione attiva in virtù del nostro stato interno e della nostra struttura

interna, considerabile come legata al processare la “input information” degli studi

sull’AI. Il linguaggio è un oggetto astratto esistente in quanto convenzionale, ma la

sua elaborazione è attuata dai processi cerebrali della concreta mente/cervello.

Inoltre, secondo Chomsky, il linguaggio deve anche possedere delle proprietà innate

all’interno della struttura cerebrale, in quanto non è possibile che i bambini, con così

poca esperienza e poche risorse cognitive, possano effettuare processi induttivi di

generalizzazione che costruiscono un intero linguaggio sulla base di pochi esempi

grammaticalmente corretti. Deve dunque esistere un “organo mentale” universale,

che, su base evoluzionistica, si è formato e specializzato per contenere strumenti

universali di ricostruzione della grammatica per la possibile formazione di tutte le

lingue naturali, le quali, se plasmate a sufficienza, sono costituite dai principi e dalle

regole contenute in tale organo, rispettando una grammatica universale

inconsciamente nota a tutti fin dalla nascita. Partendo da questo ragionamento,

Chomsky rende anche presumibile pensare che tutte le attività umane che

richiedano l’uso di intelligenza siano il prodotto fra recezioni di stimoli esterni ed

interpretazione interna operata da strutture cognitive di natura universale ed innata.

D’altra parte, il filosofo chiarisce la differenza presente fra ciò che è un problema

analizzabile, come lo studio dell’apprendimento linguistico a partire dai bambini, e

ciò che è un mistero, come la ricostruzione delle strutture cognitive sottese al senso

comune. Nonostante tale prudenza di Chomsky, molti cognitivisti hanno comunque

utilizzato la sua concezione del linguaggio come modello per lo studio della mente

umana in generale.

Fisicalismo e teoria dell’identità: Feigl (1902 -1988), Place (1924 – 2000) e Smart

(1920 – 2012)

Negli anni 50’, l’ostilità al dualismo e lo studio della natura degli stati mentali

fungono da rampa di lancio per delle correnti materialiste e fisicaliste che, nonostante

la resistenza opposta dalla filosofia di Wittgenstein e Ryle, tornano ad una seria

considerazione del problema mente – corpo. Nei primi anni 50’, Ullim Place,

studente di Ryle, obietta al filosofo neo wittgensteniano che la sua analisi dei concetti

psichici in termini disposizionali è corretta di fronte all’osservazione di credenze e

intenzioni, ma non nell’analisi di nozioni di coscienza, esperienza o sensazione, che

implicano inevitabilmente un qualche genere di rapporto causale relativo a processi

mentali interni. Secondo Place, il materialismo è l’unica chiave per superare il

dualismo cartesiano senza affidarsi al comportamentismo di Ryle, secondo una teoria

dell’identità contingente fra mente e corpo. Place non nega una distinzione

fenomenica fra le due entità, ma ritiene che essa non sia sufficiente a provare la

validità del dualismo. Secondo il filosofo, credere che tale distinzione fenomenica

provi l’esistenza di un qualcosa di immateriale è un errore di fallacia fenomenica. Il

fatto che i fulmini fossero in realtà scariche elettriche è stato ignorato per tanto tempo

dall’essere umano, ma quando vediamo un fulmine sappiamo che tale visione

dipende dalla percezione visiva di una scarica elettrica. Allo stesso modo, il

fenomeno delle post –immagini (vedere macchie di colore che in realtà non esistono

nell’ambiente esterno), spesso utilizzato per provare l’esistenza di una forma di

coscienza immateriale che ci fa conoscere prima le nostre idee soggettive e poi

secondariamente le cose esterne, può plausibilmente essere frutto del processo di

percezione che l’apparato visivo mette in atto similmente alla reazione che avrebbe di

fronte alla reale presenza del colore percepito. Qualche anno dopo negli Stati Uniti,

sulla scia del fisicalismo di Carnap, Feigl sostiene che la questione mente corpo non

deve essere considerato come uno pseudo problema, in quanto è risolvibile per mezzo

della concezione fisicalista di Frege, secondo la quale esiste una distinzione fra

senso e riferimento: distinguere il senso dei termini psicologici da quello dei termini

neurologici non implica necessariamente che esista una distinzione ontologica fra

stati mentali psicologici e neurologici. Può dunque darsi che gli stessi stati fisici si

presentino fenomenologicamente, e vengano descritti linguisticamente, ora in termini

psicologici ed ora in termini neurologici. Nel 1958 Smart, unendo la teoria

dell’identità di Place al fisicalismo di Feigl, riscuote finalmente un notevole interesse

negli Stati Uniti nel dimostrare, sullo stile di Place, più la plausibilità del

materialismo che la sua verità. A Smart vengono rivolte due critiche a riguardo:

 secondo la legge di Leibniz, se due cose sono identiche, allora devono avere le

stesse proprietà. Dal momento che sarebbe contro intuitivo attribuire le

proprietà di coscienza ed intenzionalità sia agli stati mentali, dei quali sono

proprietà essenziali, sia agli stati cerebrali, gli stati mentali non possono essere

identici agli stati cerebrali.

 sembriamo godere di un accesso privilegiato ad i nostri stati mentali, mentre

gli stati ed i processi cerebrali ci sono per lo più completamente ignoti.

Smart risponde obiettando che i termini psicologici non implicano di per sé

l’esistenza di entità mentali, dunque due cose possono essere contingentemente

identiche anche se noi attribuiamo ad esse proprietà che, nel nostro linguaggio

corrente, vengono espresse da predicati incompatibili o da descrizioni diverse che si

riferiscono alla stessa ed unica entità fisica.

Inoltre, Smart formula un’ulteriore obiezione al dualismo basata su criteri di

plausibilità presenti anche nel principio del “rasoio di Okham”(gli enti non devono

essere moltiplicati oltre le necessità): è palese che tutta la natura obbedisca alle leggi

della fisica, dunque definire la mente come l’unica entità irriducibile a tali leggi è una

supposizione evidentemente erronea.

.

Teoria causale della mente e materialismo dello stato centrale: Lewis (1941-

2001) e Armstrong (1926-2014)

Armstrong, seppur in accordo con le idee di Place e Smart riguardo al compito del

filosofo di rendere plausibile l’identificazione mente – corpo, si rifiuta di concepire la

teoria dell’identità come imprescindibilmente contingente rispetto a mente e corpo, in

quanto è necessario caratterizzare in maniera indipendente i due stati per poterli

riunire in un’unica identità. Nel 1966, Lewis, sulla scia della filosofia dei concetti

psicologici come concetti teorici di Carnap, formula la teoria causale della mente,

secondo la quale ogni stato mentale è parzialmente definibile mediante le relazioni di

causa – effetto che intrattiene con stimoli esterni, altri stati mentali e risposte

comportamentali. In questa complessa trama di relazioni causali, come suggerito

dalla teoria dell’identità, il ruolo degli stati mentali può essere ricoperto solo dagli

stati cerebrali del sistema nervoso centrale. Due anni più tardi, Armstrong utilizza la

teoria causale della mente a favore di un’analisi concettuale secondo cui i concetti

psicologici si riferiscono a stati mentali non direttamente osservabili che producono

comportamenti osservabili. Il filosofo pone la sua tesi come la sintesi hegeliana di

Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
37 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/06 Storia della filosofia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gerardo.qui di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Steila Daniela.