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Per dimostrare l’importanza degli schemi del sé, nel 1977 Markus effettuò un

esperimento nel quale ad alcuni partecipanti, che avevano giudicato sé stessi come

schematici rispetto al tratto della dipendenza e/o dell’indipendenza o aschematici

sui entrambi i tratti, veniva chiesto di premere i pulsanti << io >> o << non io >> in

base alla reazione alla presentazione di parole associate ai tratti di dipendenza o

indipendenza. I risultati confermarono che i partecipanti schematici avevano tempi di

reazione più veloci nello stabilire quali parole appartenessero alla descrizione di sé,

dimostrando anche una migliore memoria episodica relativa ai loro tratti di

dipendenza o indipendenza. Secondo buona parte della psicologia sociale, il

mantenimento e l’evoluzione degli schemi del sé sono scaturiti da continuo conflitto

con altri elementi:

 Le teorie del confronto tra sé si fondano sulla capacità di basarsi

sull’autoconsapevolezza per comprendere quali elementi del proprio sé si

vuole che vengano cambiati:

 La teoria cibernetica dell’autoregolazione si basa su di un processo si

autoregolazione strutturato secondo un anello di retroazione cognitivo

fra i livelli di controllo dell’autoconsapevolezza privata o pubblica e di

esecuzione dei cambiamenti comportamentali atti al raggiungimento del

proprio modello del sé. Tuttavia, questa ottimistica visione del

miglioramento personale deve far fronte alla limitata disposizione di

risorse cognitive: l’esperimento di Baumeister et al. (1998), dimostra

che le risorse cognitive messe a disposizione per autoregolarci tendono

ad esaurirsi temporaneamente dopo ogni compito di autoregolazione.

 La teoria della discrepanza del sé si sofferma sulla risposta emotiva

alle discrepanze presenti fra sé reale, sé ideale e sé imperativo, la quale

tensione stimola comportamenti di cambiamento del sé atti a diminuire

le discrepanze. Discrepanze fra sé reale ed ideale generano sentimenti

correlati alla depressione, mentre discrepanze fra sé reale ed imperativo

generano sentimenti connessi all’ansia. In entrambi i casi, agli stimoli di

cambiamento generati dalla tensione si oppone l’impotenza causata

dai sentimenti negativi, spesso ostacolando l’autoregolazione con la

ricerca di appagamento immediata e controproducente.

 Le teorie del confronto individuale spiegano come controlliamo e cambiamo

il sé confrontandoci con altri individui. Secondo la teoria del confronto

sociale, confronti fra i propri schemi del sé e gli schemi attribuiti ad altri

individui forniscono informazioni oggettive di autovalutazione che possono

fornire conferme e spunti di riflessione provenienti dall’esterno, dunque

osservabili senza enormi sforzi di introspezione. Si possono effettuare

confronti verso l’alto o confronti verso il basso con altre persone che si

ritengono rispettivamente superiori o inferiori, ma, come espone il modello

del mantenimento della valutazione del sé, in genere le persone tendono ad

avere una considerazione positiva del sé, al fine di proteggere la propria

autostima. Oltre a considerarsi in maniera positiva in seguito a confronti verso

il basso, nei confronti verso l’alto è possibile rafforzare l’autostima mediante

riflesso sociale, un processo di alta considerazione dell’ingroup al quale

apparteniamo derivante dal successo di persone a noi superiori, ma in qualche

modo vicine. Tale meccanismo di rafforzamento dell’autostima si verifica in

caso di valutazioni di compiti per noi poco rilevanti e nei quali ci sentiamo

abbastanza capaci. Se effettuiamo un confronto verso l’alto riguardo ad un

settore per noi importante e nel quale ci consideriamo incerti rispetto alle

nostre capacità, il riflesso sociale non si attua e andiamo incontro ad un

abbassamento dell’autostima e del tono dell’umore che tentiamo di

fronteggiare mediante i meccanismi di difesa relativi a: distacco fisico ed

emotivo dal soggetto con promozione di categorizzazioni intergruppo (ad

esempio esagerandone le qualità ed etichettandolo come “genio”,);

spostamento dell’attenzione a nuovi confronti verso il basso; svalutazione

dell’importanza del settore di confronto verso l’alto. In particolare, recenti

studi sull’invidia hanno evidenziato tale sentimento come frequentemente

presente e dannoso per l’essere umano, in quanto fonte di processi evolutivi

che portano alla manifestazione di sensazioni spiacevoli (come la vergogna) e

comportamenti incoerenti con gli standard morali (desiderio di provocare

danno alla persona invidiata, anche a costo di danneggiare la propria stessa

persona). Per cui, nel 2013, Breines ha proposto alcune possibili strategie

contro l’invidia: la ricerca di consapevolezza del proprio sentimento di

invidia, pur essendo abbastanza complessa e difficile da attuare, aumenta i

mezzi a disposizione per far fronte alle situazioni di incoerenza interna, spesso

inconscia; la tolleranza verso di sé può essere raggiunta mediante la

consapevolezza che l’invidia è un sentimento universale, dunque non va

rifiutato né ignorato, ma va accettato e contrastato in modo sereno e quanto

meno ansioso possibile; la tolleranza verso gli altri può spingere a diminuire i

processi di infraumanizzazione del soggetto invidiato, dunque a considerarlo

più simile e meno superiore al proprio sé; l’utilizzo dell’invidia come spinta

motivazionale per il miglioramento di sé non è sempre possibile, ma spesso

può portare ad un aumento motivazionale che riduce il sentimento di invidia

stesso.

 Le teorie del confronto con il gruppo si concentrano sull’analisi del sé

collettivo che, terzo dei tre tipi di sé di Brewer e Gardner (1996, sé

individuale, sé relazionale e sé collettivo), riflette l’appartenenza ad un gruppo

sociale. La teoria dell’identità sociale di Tajfel et al. (1979) divide gli aspetti

del sé in relazione ad identità personali connesse con aspetti idiosincratici e ad

identità sociali connesse ai gruppi sociali ai quali apparteniamo. Quando sono

in gioco le nostre molteplici identità sociali, come spiega la teoria della

categorizzazione del sé (Turner et al., 1987), la connessione agli elementi

proto tipici del gruppo spersonalizza le proprie percezioni di sé e degli altri in

un’adesione alle norme di gruppo che sfocia nel principio del metacontrasto,

ossia nell’accentuazione delle somiglianze fra i membri del gruppo e delle

differenze rispetto agli altri gruppi. Nella ricerca di Cadinu, Latrofa e Carnaghi

(in stampa), è stato evidenziato che i gruppi di minoranza (in questo caso le

donne rispetto agli uomini), maggiormente oggetto di pregiudizi rispetto ai

gruppi di maggioranza, manifestano minore effetto di omogeneizzazione degli

elementi dell’outgroup (tipicamente correlato alla percezione di maggiore

variabilità dell’ingroup rispetto all’outgroup) e maggiore effetto di

stereotipizzazione dell’ingroup, in quanto, perecependo il proprio sé come

grandemente stereotipico, si accomunano ai membri del proprio outgroup sia

per tendenze di categorizzazione, sia per bisogno di considerarsi un gruppo

unitario capace di fronteggiare meglio gli svantaggi dell’essere in minoranza.

Tuttavia, l’identità sociale che scaturisce dal sé collettivo è talmente potente da

rafforzare, in maniera apparentemente paradossale, la stessa identità personale.

Nel 2007, Bengry-Howell e Griffin, tramite metodiche etnografiche, hanno

dimostrato che giovani delle regioni centrali di Inghilterra e Galles dediti a

modifiche omologate delle proprie automobili non si riconoscevano come

membri del gruppo dei << truccatori d’auto>>, bensì la loro identità sociale gli

permetteva di distinguersi dagli altri automobilisti, auto percependosi come

individualmente unici.

Appare dunque chiaro che il sé abbia una rilevante componente valutativa, nella

quale disamina auto valutativa l’autostima è la valutazione soggettiva del proprio sé

in maniera intrinsecamente positiva o negativa. Nonostante i livelli positivi e negativi

di autostima si alternino a seconda delle variabili disposizionali e situazionali del qui

ed ora, ognuno di noi possiede generalmente un tipo di tendenza all’autostima

positiva o negativa piuttosto perdurante. In particolare, lo sviluppo dell’autostima

subisce sicuramente grande influenza dallo stile di educazione genitoriale ricevuto

durante l’infanzia. In genere, a genitori autorevoli, ovvero aventi alti livelli di

esigenza e responsività, corrispondono figli con alti livelli di autostima; mentre stili

genitoriali meno efficaci, come quello autoritario o quello permissivo, crescono

tipicamente figli con bassi livelli di autostima. Da una meta-analisi di 50 studi

sull’autostima (Robin set al., 2002) è emerso che nei ragazzi tra i 6 e gli 11 anni la

tendenza generale ad un alto o basso livello di autostima è genericamente molto

instabile, per poi stabilizzarsi progressivamente dai 20 anni fino all’età adulta e

decrescere in stabilità dopo i 60 anni, probabilmente a causa dei continui confronti

con i cambiamenti della terza età. Nonostante sia presupposto che tutti gli esseri

umani tendano a fare il possibile per avere una considerazione positiva di sé stessi e

della propria vita, molti studi hanno dimostrato che persone con bassa autostima

perdurante rispondono più negativamente agli stimoli rispetto a persone con alta

autostima, presentando deficit di regolazione dell’umore e della motivazione al

miglioramento della propria vita (Wood, Heimpel e Michela, 2002: persone con bassi

livelli di autostima tendono ad attenuare le sensazioni positive derivate da ricordi

evocati rispetto a persone con alta autostima; Wood, Marshall e Brown, 2002:

persone con bassi livelli di autostima presentano meno espressione di obiettivi

finalizzati al miglioramento dell’umore rispetto a persone con alta autostima).

Tuttavia, è stato altresì dimostrato che, oltre al fatto che la bassa autostima provoca

frustrazione e dunque possibile aggressività, livelli estremamente elevati di

autostima portano a narcisismo, stato di altissima quanto incerta considerazione

positiva del proprio sé, la quale poca certezza, se messa in discussione, genera rabbia

e aggressività, in quanto considerata minaccia per il proprio Io. In un esperimento di

Bushman e Baumeister del 1998, dopo aver ricevuto considerazioni negative sul

proprio elaborato (un testo che a quanto detto al partecipante in questione doveva

essere giudicato da un

Dettagli
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A.A. 2017-2018
73 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/05 Psicologia sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gerardo.qui di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Psicologia sociale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Roccato Michele.