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S
t o r
i a d e
l l a f i
l o s
o f i
a – F a b i o G r
i g
e n t
i (
a p p
u n t
i p r e
s i i
n a u l
a )
È molto interessante il rapporto che può esistere tra lo studio della filosofia e la nostra vita,
proprio per questo dobbiamo imparare ad usare la storia della filosofia per affrontare un
problema. A cosa serve la filosofia? La filosofia è una disciplina che ci può aiutare a vivere in un
certo modo e che ci aiuta a vivere pensando a ciò che facciamo. Possiamo partire facendo
riferimento all’Iliade di Omero, uno dei poemi greci più importanti e che nelle sue prime righe va a
descrivere la cultura occidentale. Infatti, dalle prime parole, possiamo trovare la parola IRA
(rabbia) che possiamo dire vada a determinare il vero tema del poema. Per quanto riguarda i fatti
abbiamo come personaggio Crise, padre di Criseide, la quale è stata rapita da Agamennone, capo
dei greci, ed è diventata sua schiava. Il padre, per liberare la figlia, offre ad Agamennone un
riscatto infinito, accompagnato da degli elogi. Agamennone però, infuriato, offende Crise, rifiuta il
riscatto ed è come se avesse offeso Dio, poiché il dono del vecchio uomo era stato offerto proprio
in nome di Dio. Il dono, nella cultura antica ma anche odierna, ha un significato particolare, esso
serve o a saldare dei rapporti o a distruggerli, esso è il simbolo del rapporto sociale. Inoltre, in tutti
i sistemi sociali, animali e non, quando esiste un dislivello di potere tra due individui e il sottoposto
dimostra di riconoscere il potere del capo, quest’ultimo non può aggredirlo o mortificarlo, per
evitare la distruzione del gruppo lo rispetta, poiché l’inferiore l’ha riconosciuto come capo.
Possiamo quindi notare che Agamennone si comporta in modo errato principalmente per questi
due motivi, sia perché rifiuta un dono, sia perché aggredisce qualcuno che l’ha riconosciuto come
capo. Crise, di fronte la reazione di Agamennone, si allontana e prega il Dio Apollo chiedendo
vendetta. La vendetta è qualcosa che esprime l’emozione di RISENTIMENTO, ovvero qualcosa che
nasce in noi nel momento in cui pensiamo di essere stati trattati male ingiustamente, la rabbia
della persona offesa, che ha voglia di controbattere. Apollo, allora, anche lui ormai colpito dall’ira,
scatena una pestilenza e con le frecce colpisce e uccide miliardi di persone, diffondendo la peste
nel popolo greco. I greci a un certo punto iniziarono a chiedersi cosa stava succedendo, capendo
che tutto quel malessere era stato causato da un comportamento di Agamennone. Achille allora
raggiunge Agamennone e chiede, con calma e serenità, di restituire Criseide; egli però rifiuta la
proposta, a meno che non avrebbe ricevuto in cambio un dono. Achille ribatte alla richiesta
dicendo che al momento non può avere nessun dono in cambio, ma che se adesso cedesse il suo
desiderio più avanti potrà ricevere qualcosa 3 volte più grande. Achille cerca di usare con
Agamennone un argomentazione razionale, cercando di sviare il suo desiderio indirizzandolo verso
qualcos’altro. Il capo dei greci, adirato, risponde che avrebbe ceduto Criseide in cambio di
Briseide, schiava di Achille (notiamo tre aspetti : arroganza, passione, desiderio che non molla).
Achille inizialmente si era dimostrato molto razionale, ma dopo la provocazione ricevuta anche il
suo cuore viene invaso dall’ira, portandolo a una scelta difficile : sfilare la spada e uccidere il
nemico o fermarsi. Nel momento in cui Achille sta per uccidere Agamennone viene fermato da una
Dea, la quale prima di procedere con un ragionamento razionale lo tira per i capelli, attua cioè una
forza fisica per fermare immediatamente l’omicidio, subito dopo introduce però il ragionamento,
proponendo di non fargli del male con la spada, ma piuttosto ferirlo con le parole (forza – ingiuria
– ragionamento). Gli elementi che abbiamo trovato in questo tratto dell’Iliade, sono tutti presenti
nella nostra vita quotidiana, l’unico elemento un po’ più strano è l’intervento divino, in questo
pezzo notiamo infatti che l’istanza psichica del controllo e della razionalità non è all’interno
dell’uomo ma al di fuori, grazie all’intervento della dea finisce l’ira e la pestilenza. Achille, infine,
cede il suo dono a favore della comunità.
Nella cultura antecedente alla nostra il problema stava nel rapporto tra le passioni e un’istanza
(autorità) che deve controllarle. Molto spesso capita che gli uomini si fanno prendere dalle
pulsioni, facendo cose di cui dopo poco tempo si pentono. Da quando gli occidentali si sono dati
una cultura hanno iniziato a scrivere dei fatti quotidiani, quindi dei loro sentimenti come l’amore,
l’ira, l’odio; ma come abbiamo visto anche nei passi precedenti dell’Iliade, spesso, interviene
un’istanza (che nel mondo odierno potrebbero essere i genitori) che va a frenare o incoraggiare un
determinato comportamento. Ma come descrivevano gli uomini gli antichi? Andiamo ad analizzare
altri 2 passi dell’Iliade :
Nel primo passo troviamo un termine che dobbiamo ricordare, cioè “Thymòs”, che vuol dire cuore,
ed è una parola che troveremo in modo molto ricorrente nell’Iliade. Thymòs può significare più
cose, come vita, spirito, mente, carattere, coraggio, volontà e cuore. Nel secondo passo il Thymòs
è unito alla parola Petto (Phrnénes), ma in realtà queste due parole si scambiano il ruolo. Come
notiamo nel caso di Achille il Thymòs si ferma, esso è un istinto che con un’istanza può cogliere
una limitazione. La personalità di Achille non è situata nel suo IO, ma nel cuore. Questa psicologia
ritrovata nell’Iliade è una psicologia del cuore e non della mente, essa considera primari gli aspetti
emotivi, che in seconda istanza possono accogliere una limitazione. Il Thymòs non è solo un
organo, esso è anche una funzione psicologica. Il cuore viene definito come una struttura a sé, che
si trova si nel nostro corpo, ma è una struttura autonoma, che ha una personalità, che prova
emozioni, sentimenti e che può limitarsi grazie all’aiuto di un istanza razionale che viene
dall’esterno. I sentimenti che vengono provati dagli uomini antichi non si manifestano nell’IO della
persona, ma nel cuore, che quando viene invaso dai sentimenti condiziona anche me. Il cuore
incarna quindi sia pulsione che ragione, la pulsione però ha una priorità sulla ragione, che può
entrare in gioco successivamente. Il cuore in poche parole è il centro della personalità e dei
processi psichici, che nella cultura odierna vengono invece riferiti al cervello.
La cultura antica possiamo definirla come una cultura che non ha paura di mostrare la verità, i
sentimenti veri, anche per quanto riguarda quelli negativi. Molto importante è il fatto che questo
linguaggio semplice e schietto è quello che meglio viene compreso dai bambini. Questi testi sono
stati letti e interpretati quando si è iniziata a studiare la psicologia infantile. Come dicevamo prima
la coscienza dell’IO in questa cultura antica manca, manca una parte razionale all’interno delle
persone e possiamo definirla come coscienza morale esternalizzata. Questo porta a non
responsabilizzarsi delle proprie azioni, e lo possiamo notare dalla Giustificazione di Agamennone,
che riconosce di aver portato disagio ma non si sente in colpa, in quanto ad agire non è stato il suo
io, ma la sua personalità, ovvero il suo cuore. Abbiamo quindi la mancanza del senso di colpa, in
quanto la colpa non ricade sul soggetto che ha mosso l’azione ma al di fuori. La nostra cultura
occidentale ha interiorizzato la coscienza morale, che prima era esterna. Questo porta alla
costruzione di un sistema educativo completamente diverso e anche a dei rapporti umani
differenti rispetto a quelli del passato.
La Psyché è invece intesa come “respiro, soffio, alito” ed è collegata al momento della morte.
Durante i loro ultimi momenti di vita la Psyché usciva fuori dal corpo, a quel punto una persona
veniva considerata morta. Possiamo dire quindi che il Thymòs è presente durante la vita, è una
forza vitale che anima il corpo, mentre la Psyché si manifesta al momento della morte, uscendo
dalla nostra parte corporea. Anche la Psyché è una struttura a sé.
Le emozioni sono comuni a tutte le culture, solo che alcune culture le manifestano in maniera
differente. La cultura antica che stiamo studiando è una cultura passionale, impulsiva e schietta,
solo che impone il problema del controllo che deve provenire necessariamente da qualcosa di
esterno. La psyché durante lo svolgimento normale della vita non compare, si manifesta solo in
due momenti cioè la morte o lo svenimento, quindi durante dei periodi in cui il corpo è privo di
vitalità. Lontanamente le anime rimanevano tra la popolazione e nel momento in cui venivano
stimolate e rievocate potevano riapparire, questo succedeva grazie al sacrificio di alcuni animali, il
quale sangue serviva per attirare le anime. Ulisse rievoca le anime, ma il suo interesse è volto
principalmente a una di esse, Tiresia, che più delle altre ha la capacità di prevedere il futuro. Le
anime potevano prevedere il futuro nel momento in cui la psyché usciva dal corpo. Il sangue, però,
ha un rapporto con il cuore e di conseguenza con le passioni. Deduciamo quindi che il sangue, e
quindi anche il Thymòs, ha un effetto vivificante : esso è essenziale, necessario, sia nei vivi che nei
morti, poiché il sangue serviva ad attirare le anime (la psyché) e permettere loro di prevedere il
futuro. Possiamo definirla come una sorta di circolarità, dove il Thymòs ha la priorità. Le anime nel
momento in cui appaiono si manifestano con un volto, da questo capiamo che la psyché è
identificata con la testa e la sua sede è appunto la mente. Le anime hanno una consistenza
particolare : oltre a rievocare Tiresia, era stata rievocata anche la madre, nel momento in cui
Ulisse prova a stringere a sé la madre le sue braccia accolgono il vuoto; questo vuol dire che le
anime sono sì visibili, ma non hanno una consistenza materiale. Nel momento in cui dormiamo, e
quindi sogniamo, il sogno non è assolutamente frutto del Thymòs, ma piuttosto della psyché, che
approfitta degli stati incoscienti del corpo di modo da poter manifestarsi (la psyché si manifesta
durante lo svenimento, la morte e il sonno, tramite il sogno). Gli antichi, a proposito del sogno,
pensavano fosse il pensiero di