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Estratto del documento

La prima cosa da notare sono i due verbi utilizzati: guardo e percepisco. Questi

due verbi indicano il fatto che siamo all'interno del campo della sensibilità.

Guardo e percepisco questo foglio bianco in tutte le sue caratteriste che hanno in

comune il fatto che sono sotto il mio sguardo. Ma si danno a me come esistenze

che posso solo constatare, cioè semplicemente riscontrare i fatti che stanno lì che

non stanno lì per mio capriccio cioè per il mio libero arbitro, ma stanno lì senza

dipendere da me. Continua: "Esse sono per me, non sono me. Ma non sono

nemmeno gli altri, e cioè non dipendono da nessuna spontaneità, nè dalla mia, nè

da quella di un'altra coscienza.". Entrando in uno spazio, le cose si danno a me e

il sguardo ritiene che esse siano per me. Ma quel per me non significa che le cose

stanno li per essere utilizzare te. Indica la correzione tra la cosa e lo sguardo. Le

cose stanno lì indipendentemente da me. Non sono me, non dipendono dalla mia

spontaneità, cioè dal fatto che l'abbia poste io, nè dalla spontaneità degli altri, cioè

delle altre coscienze. "Sono presenti e al tempo stesso inerti. Questa inerzia del

contenuto sensibile, che è stata spesso descritta, è l'esistenza in sè...Certo è che il

bianco contastato non è la spontaneità a poterlo produrre." Le cose dunque, sono

inerti, stanno lì, insistono. Sono un'esistenza in sè. Non è la mia spontaneità a

produrle, stanno lì proprio in virtù della loro inerzia. "Questa forma inerte, che è

al di qua di tutte le spontaneità coscienti, che si deve osservare, conoscere a poco

a poco, è ciò che si chiama cosa. In nessun caso la mia coscienza potrebbe essere

una cosa, giacchè la sua maniera d'essere in sè è proprio un essere per sè.

Esistere, per essa, è avere coscienza della propria esistenza." Questa forma inerte

priva di mobilità, sotto uno sguardo che guarda, è dunque detta cosa, che è al di là

della spontaneità coscienziale quindi non è la coscienza che la pone con le sue

attività, ma sta lì insistendo, va osservata e conosciuta a poco a poco cioè

gradualmente. Definita che cosa è la cosa, non posso definire la coscienza una

cosa. La cosa è in-sè, al coscienza è sempre un per-sè. La coscienza non può mai

essere in sè perchè ha sempre la coscienza di essere, è un'esistenza che sa della sua

esistenza. E' coscienza-senso cioè coscienza di sè, sapere di esistere. Esistere,

infatti, è avere coscienza della propria esistenza. "La coscienza appare come una

mera spontaneità di fronte al mondo delle cose che è pura inerzia." Si profilano

così due tipi di esistenza: l'in-sè delle cose nella loro inerzia, e il per-sè della

coscienza della sua spontaneità ( movimento). Ma è proprio in virtù dell'inirzia che

le cose mantengono la loro autonomia. Se volgo lo sguardo verso altro, non vedo

più il foglio bianco, ma vedo il muro. Il foglio non è più presente, non è più là.

Non è più là cioè sotto il mio sguardo perchè il foglio non si è annientato: resta

dove era prima proprio perchè è inerti. Ciò che non c'è più è il per me, perchè non

è più sotto il mio sguardo. Continuo a guardare verso il muro, ma il foglio resta lì

in tutte le sue caratteristiche, continuo a sapere di esso. E' il foglio in persona? Si e

no. Si perchè io affermo che è lo stesso foglio con le stesse qualità, ma so che per

vederlo realmente mi debbo rigirare verso il foglio. Si introduce qui la distinzione

tra identità di essenza e identità di esistenza. L'identità d'essenza indica il fatto che

il foglio è sempre lì, uguale nella sua essenza, sia se è sotto il mio sgardo o meno.

L'identità di esistenza è la modalità di esistere. Si tratta sempre dello stesso foglio

quando sono girato, ma esso esiste in altro modo. L'identità di essenza resta

uguale. Cambia quella di esistenza. Io se sono girato non lo vedo come prima, non

s'impone come prima. Quel foglio non esiste di fatto, esiste in immagine. Il

riconoscimento dell'immagine è un dato immediato del senso interno. Per costruire

una teoria vera dell'esistenza in immagine bisognerebbe astenersi rigorosamente

dall'avanzare ipotesi che non attinggano direttamente a una esprienza riflessiva.

Infatti l'esistenza in immagine è un modo d'essere. occore uno sforzo prolungato

delle mente, occorre soprattutto sbarazzarsi della nostra abitudine, di costruire tutti

i modi di esistenza sul tipo dell'esistenza fisica. Il foglio in immagine e il foglio in

realtà sono un solo e stesso foglio su due differenti piani di esistenza. Ma

l'immagine diventando oggetto di riflessione ( e prima abbiamo detto che

l'immagine per essere tale deve astenersi dalla riflessione), diventa oggetto. Poichè

l'immagine è l'oggetto, concludiamo che l'immagine esiste come oggetto.

Confondendo l'identità di essenza con quella di esistenza significa cadere in una

metafisica ingenua dell'immagine. "Tale metafisica consiste nel fare dell'immagine

una copia della cosa, esistente essa stessa come cosa. Ecco dunque il foglio di

carta in immagine, dotato delle stesse qualità del foglio in persona." Confondendo

le due identità si finisce per vedere due fogli rigorosamente simili esistenti sullo

stesso piano, anzichè un solo foglio su due piani d'esistenza. Una esemplificazione

di queso cosismo delle immagini ci è fornito dalla teoria epicurea dei simulacri.

Gli stimoli sensoriali dei corpi sono il prodotto di "simulacri" (pellicole atomiche

che si distaccano continuamente dai corpi conservandone la configurazione) che

toccano gli organi di senso del soggetto percipiente, in particolare la vista.

Vengono così prodotte le immagini delle cose. Ma l'immagine segue la cosa, è una

cosa minore. L'immagine, inoltre non è legata alla conoscenza a priori della cosa

in senso kantiano. In sartre l'immagine è collegata al percepito.

Decina lezione, lunedì 24 ottobre 2016

L'immagine

Nelle prime pagine dell’immaginazione, è subito presente la nozione di immagine.

Il brano si apre su una riflessione del rapporto tra la cosa e l’immagine. Il foglio

descritto nelle prime righe possiede delle caratteristiche che riconosco non essere

mie. La modalità tramite cui entriamo in contatto con il foglio è la constatazione.

Constato qualcosa che c’è, lo osservo, arrivo a dire che cos’è e per le qualità che

ha so che non è me. Questo foglio che è sulla scrivania sta nella modalità

dell’insistere. L’esser presente nel suo essere presente inerte è chiamato cosa. Nell’

esperienza iniziale io percepisco le qualità del foglio. Per percepire si intende

cogliere qualcosa, accorgermi che ha delle caratteristiche che lo rendono altro da

me. L’ esistere della cosa è il suo insistere, stare li, nella sua inerzia che lo salva

dall’ annientamento. L’ esistere per la coscienza è avere coscienza di esistere.

Cambiano scena, cioè voltandomi verso il muro, il foglio non si è annientato. Ha

perso solo il suo essere per me. Mi appare non più di fatto ma in immagine quando

sono girato. Non è cambiata l’identità di essenza ( il figlio è sempre lo stesso), ma

è cambiato l'identità di esistenza ( la Modalità di esistenza, il figlio ha smesso di

essere per me). Il foglio mi appare in immagine. L’immagine è una modalità, una

relazione che ritrovo immediatamente in me. È una maniera della coscienza.

Interviene la coscienza immaginativa: cambia della cosa la sua posizione. Tutto

questo per dimostrare che essere esistente non è un fatto statico ma dinamico.

Esiste solo una coscienza che va verso. Il nostro sistere è sempre un ex-sistere, star

fuori. Una delocalizzazione costante. La coscienza non è una conoscenza di sé,

non è autocoscienza. È rappresentazione immediata di sé. Da qui l’importante

distinzione tra coscienza – senso ( sapersi di esistere senza riflettere sul fatto che si

esiste) e coscienza del senso ( senso sotto riflessione). La coscienza- senso precede

quella del senso. La coscienza in Sartre è sapersi esistere senza mettersi di fronte il

fatto di esistere. Si sa di esistere esistendo. Anche nel dormire c’è coscienza senso.

L’unica differenza tra l'essere dormiente e l'essere sveglio è che c’è un calo di

attenzione, ma c’è sempre sempre un grado di coscienza di sé ( esempio del

sonnambulo ). Nel frattempo, cioè nel passaggio tra il sonno e la veglia siamo

nessuno. C’e una esistenza impersonale che passa a una ripresa di personalità. Si

vedrà che l’immagine sarà collegata al niente. La coscienza è niente cioè

negazione affermativa dell’ente. L’ente è fatto di immaginazione che si configura

come lo spazio della libertà. Questo sarà ripreso e analizzato in Essere e Nulla.

Undicesima lezione, mercoledì 26 ottobre 2016

Percepire e immaginare

La coscienza per Sartre è legata al piano del niente. L'oggetto immaginato è il

niente. L'ente immaginato è sotto la forma di un intuito assente. L'immagine è il

rapporto con il presente e l'assente. Sartre parla di coscienza referendosi ad un suo

significato tedesco. La coscienza non è monade, è un campo di strutture

dell'intenzionalità. La coscienza è aperta e va verso fuori a differenza della

monade che è interna e chiusa. Come tale la coscienza non ha bisogno di ego. È

impersonale. Nel trattare la questione dell'immagine Sartre differenzia metodo

descrittivo ( descrivere ciò che accade nella coscienza immaginante) dal metodo

induttivo ( dato immediato). Il metodo che Sartre utilizza per trattare l'immagine

non è quello riflessivo o descrittivo. Sartre si allontana dalla comune modalità di

pensare all'immagine. Non abbiamo un deposito di immagini, ma l'immagine si ha

nel momento in cui si immagina. L'immagine in Sartre non è più intesa come

riproduzione della cosa, ma come campo coscienziale di una

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
44 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/03 Filosofia morale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher CmPu di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia morale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Papparo Felice Ciro.