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Pietro Abelardo
Pietro Abelardo esordisce come logico riguardo alla dottrina degli universali e ha la vocazione a diventare familiare con l'uso delle argomentazioni dialettiche intese come contese. Egli ha il gusto del contraddittorio, della competitività e dello scontro, è incline alla polemica. Inaugura la metodologia universitaria, come già fa Anselmo, ed è maestro nella scuola-cattedrale di Notre-Dame a Parigi, occupando la cattedra che prima era stata di Guglielmo di Champeaux. Nel medioevo, insegnare era una mansione propria di chi non era sposato, cioè dei religiosi. Abelardo non ha un approccio essenzialistico rispetto agli universali, ma intenzionale e soggettivistico. Gli universali sono infondati se non sono posti in relazione al soggetto che li intenziona. La loro consistenza non è nella realtà esterna al soggetto conoscente. Essi non sono essenze e neanche flatus voci, ma intenzioni che dicono qualcosa di reale e non avrebbero realtà.senza il soggetto conoscente.Sic et nonNel suo testo “ ”, uno dei punti di partenza è la teologia scientifica.Abelardo, qui, presenta le sentenze dottrinali di autori contrastanti per redimere ilcontraddittorio in modo organico, si tratta di una raccolta di opinioni contrastanti sullaverità della fede cristiana. Il prologo costituisce un modello di ermeneutica critica.L’autore è convinto del valore di verità di ogni asserzione teologica, è fondamentalecercare di cogliere il significato delle loro espressioni perché, spesso, ciò che sembracontraddittorietà è complementarità. Filosofia e teologia hanno bisognodell’interpretazione delle affermazioni contenute nei testi. Egli non esclude lapossibilità di scartare qualche tesi, non dà per scontato che le auctoritates dicanoqualcosa di vero, ci possono essere ipotesi da eliminare, ma occorre passare perl’analisi del significato.
Il criterio ultimo di selezione tra ipotesi contraddittorie consiste nel verificare coerenza e continuità con la tradizione. Negli stessi anni, il monaco Graziano realizza un testo di ermeneutica giuridica, dimostrando che la dialettica è fondamentale anche per l'interpretazione dei codici normativi oltre che per la teologia. Attraverso il confronto tra proposizioni si giunge alla comprensione dei contenuti della scienza. Viene usata la teologia razionale per valorizzare i concetti filosofici, per esempio, si fa riferimento allo spirito santo come anima del mondo, i concetti della fede cristiana sono associati ai contenuti di Platone Timeo (" "). C'è corrispondenza tra lessico filosofico e rivelazione, filosofo e teologo leggono la realtà grazie alla ragione e alla luce della rivelazione. Nel XII sec. avviene uno sviluppo dell'interesse per la filosofia e la teologia è orientata da tale interesse, non basta più la conoscenza.Delle cause prime, ma occorre quella delle cause seconde, che riguarda come il mondo è creato da Dio. Tali temi sono trattati dalla scuola di Chartres e dai testi che cercano di integrare la "causa prima" e il "Timeo" (causa seconda). Pietro Abelardo rappresenta l'applicazione di tale metodo alla teologia trinitaria, ma ciò gli costa due condanne (Soissons 1121 e Sens 1141). Egli evidenzia la relatività di parole e asserzioni, infatti, filosofi e teologi rischiano di dire le stesse cose con parole diverse credendo di contraddirsi l'un l'altro, ha una prospettiva conciliante tra i due saperi, perché usano linguaggi diversi che orientano allo stesso scopo. Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano. Uno dei testi principali di Pietro Abelardo è il "Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano", scritto tra 1127 e 1132 e il cui tema è il dialogo interreligioso. Il quarto personaggio del dialogo è l'autore, che funge da giudice del confronto.
Egli intende mostrare come, con parole diverse, si faccia riferimento alla stessa dimensione, l'intenzionalità del cristiano e quella del giudeo si concentrano sullo stesso contenuto. È centrale il tema del sommo bene, infatti, il problema interreligioso è rivisto in chiave etica, non dottrinale o dogmatica. Nel XII sec. la figura del filosofo era associata all'arabo e ciò era dovuto alla traduzione dei testi aristotelici e ai testi arabi islamici ed ebraici nati dal confronto con i testi di Aristotele. Il sommo bene viene ricercato in prospettiva etica, secondo una dimensione morale. C'è congruenza tra fede cristiana e filosofia classica, perché il filosofo si riconosce nell'orientamento cristiano.
Un altro testo di questo autore è l'Etica, che è un'opera incompiuta scritta nel 1138. Il titolo completo è: "Etica o conosci te stesso" e trae il termine dal
greco. Abelardo associa l'etica alla conoscenza di sé, al precetto filosofico che impone la conoscenza di sé. Egli scorpora la disciplina dalla prassi penitenziale, che la affronta da un punto di vista formale. È importante la dimensione dell'intenzionalità. La premessa è tipica del logico, in quanto definisce termini e strumenti di lavoro e valorizza il discrimine tra ciò che è etico e ciò che non lo è. L'autore concentra il peso dell'etica sull'intenzione e sul consenso, non sul comportamento esteriore e su atti buoni e cattivi, ma su intenzioni buone e cattive, polemizzando con lo studio dell'azione umana della prassi penitenziale. L'intenzione non è una pulsione che fa parte della natura, ma fa parte della ragione umana, occorre guardare nella coscienza umana per distinguere tra azioni buone e non buone. L'uomo giudica dal punto di vista dell'esteriorità, ma laprospettiva etica dipende dall'interiorità, che è accessibile solo a Dio e al soggetto stesso. I libri penitenziali non consideravano l'interiorità e l'intenzione che muovono l'azione, le penitenze erano commisurate alla gravità del peccato commesso. L'intenzione e il consenso permettono di fare un'analisi etica, tutto il resto riguarda la disciplina sociale e non etica. L'ambito morale rivaluta il soggetto, perché non è possibile giudicare il soggetto a prescindere dalle intuizioni e basandosi solo sulle azioni. Per esempio: una madre che involontariamente soffoca il figlio cercando di scaldarlo non commette peccato e allo stesso modo non hanno colpa coloro che hanno crocifisso Cristo, perché credevano di giustiziare un meritevole di morte. Non sono le inclinazioni cattive a renderci cattivi, ma quanto noi le accogliamo e le assecondiamo e così con quelle buone. Per esempio: una forte tensione.sessualenon fa una persona lussuriosa, ma la fa virtuosa nel caso in cui riesca a controllare taletensione. Il discrimine è l’intenzione, non è un male morale desiderare una donna, malo è accondiscendere a tale desiderio. Non sono peccati desiderio e volontà, mal’adesione a essi, il peccato non sta nell’azione esteriore, ma nella scelta, così comevale per il merito. Essi non sono res, l’intenzione determina il bene e il male, che nonsono cose, così come gli universali. La volontà non coincide con l’azione volontaria.Abelardo rivaluta la dimensione del piacere, così come fa Anselmo alla fine delProslogio“ ”. Il suo tempo stigmatizzava il piacere come ostacolo alla ricercadell’entità superiore, ma il piacere sessuale o quello alimentare sono ciò che seguel’adesione alla volontà cattiva e quindi, non aggrava il peccato.AverroèAverroè nasce nel
1126 ed è decisivo nella ricezione del corpus aristotelico. Egli vive tra Cordova, Siviglia e Marrakesh, dove muore ed è considerato il "commentatore" di Aristotele. Averroè legge Aristotele nella traduzione araba e scrive i commenti grandi, medi e i piccoli commenti, disponendo dei trattati Politica aristotelici e degli scritti essoterici tranne la "", il cui tema lo affronta con il commento alla "" di Platone. Gli scritti di Averroè vengono tradotti anche in ebraico, anche se gli ebrei non scrivevano di filosofia in ebraico. Egli è considerato un autore laico, in quanto il suo progetto filosofico è meno asservito all'ideale religioso rispetto a quello di Avicenna e Avicebron. In lui non si trova un'ermeneutica conciliante, il livello filosofico è collocato a un più alto livello di comprensione, mentre quello religioso è di portata popolare. La traduzione viene incontro
anche agli ebrei che non sentono il bisogno di integrare filosofia e religione. Trattato decisivo sull'accordo della filosofia con la religione. Il testo principale di Averroè è il "la religione". In quest'opera l'autore presenta una lettura intellettualistica di Aristotele, in quanto considera la sapienza aristotelica il vertice dello scibile umano, non avviene una divinizzazione, ma un'esaltazione della sua riflessione filosofica secondo un'interpretazione letterale. Averroè ha una visione gerarchica del quadro dei saperi, al culmine dello scibile umano sta la verità filosofica e non quella religiosa, infatti, la riflessione di Aristotele rivela in modo più genuino il senso della fede coranica. In realtà, si tratta di un orientamento previsto già dal Corano stesso, che lascia a chi ha capacità critica di cogliere il significato profondo andando oltre il senso letterale. L'autore intende giustificare unagerarchia con la filosofia al vertice dello scibile umano e che supera le potenzialità della religione, secondo un impianto razionalistico. Le scienze aristoteliche erano divise in teoretiche, pratiche e la logica, considerata disciplina introduttiva alla gerarchia delle discipline filosofiche culminanti con la metafisica. La filosofia è vista come capolinea o vertice nel numero dei saperi, mentre la teologia occupa una posizione subordinata. Nel contesto islamico, questo pensatore non è di particolare interesse per il credo islamico, se non un ossequio formale e i maestri della Scolastica non accettano tale subordinazione della teologia. Il Corano stimola la riflessione su ciò che esiste, cioè sulle relazioni causali che legano il mondo a Dio, ma ciò lo fa il filosofo; quindi, la legge islamica ordina che si pratichi la filosofia. Terra e cielo sono oggetto di riflessione secondo Averroè e il Corano stesso la incoraggia. Viene usata.Un'ermeneutica per giustificare il fatto che si pratichi la filosofia in un contesto religioso spesso ostile per questo.