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Estratto del documento

Io, che a torto si vuol considerare l'abitante della coscienza, si dovrebbe dire che è

il Me della coscienza, ma non che è il suo sè. Così l'ipostatizzare l'essere-riflesso

del per-sè in un in-sè si verrebbe a fissare e distruggere il movimento di riflessione

sul sè: la coscienza sarebbe puro rivio all'Ego come al suo sè, ma l'Ego non

rimanderebbe più a niente, si verrebbe a trasformare il rapporto di riflessività in un

semplice rapporto contripeto, il cuo centro, d'altra parte, sarebbe un nodo di

opacità. Abbiamo invece dimostrato che il sè per principio non può abitare la

coscienza. E, se si vuole, la ragione del movimento infinito per cui il riflesso

rimanda al riflettente, e questo al riflesso, per definizione è un ideale, un limite. E

ciò che lo fa sorgere come limite è la realtà annientatrice della presenza dell'essere,

nell'unità dell'essere come tipo d'essere. Così, da quando nasce, la coscienza per il

puro movimento annientatore della riflessione, si fa personale: perciò ciò che

conferisce a un essere l'esistenza personale non è il possesso di un Ego, che è solo

il segno della personalità, ma è il fatto dfi esistere per sè come presenza a sè.

L'Ego è in-sè. Essere ciò che non è è il tratto della coscienza, E' sempre in

disquilibrio, presenza immediata e distanza da sè, a differenza dell'Ego. L'Io non è

squilibrato, è la totalità deòòe presentazione delle presenze a sè, il polo unificatore

di tutti i vissuti ma non li vive. L'Io è sempre un riflettere su altro tenendolo come

altro. E' un esistente del mondo umano ma non come coscienza. E' uyno stato del

mondo, non un atto: in sè (stato) , per-sè ( atto). L'Ego è Trascendente. L'Ego non

è il polo personalizzante di una coscienza. Non c'è bisogno che la coscienza dica

di essere un io. Tra me e me sono anonimo, non necessitato a darmi un nome. L'Io

lo esisto, non ho bisogno di dire che lo sono. E' fuori da me, non presente nella

minima distanza, è là fuori di me. La coscienza non ha bisogno di avere una

maschera. La mia coscienza come presenza a me non ha bisogno di passare all'io

per sapere di essere in rapporto a sè. Non si parte dall'Ego per sapere. E' la

presenza a se stessi, nella distanza minimale del se con se stesso che costituisce

l'io. Non c'è necessità della coscienza di sapersi coscienza. L'Io non è abitante

della coscienza. Esso emerge in rapporto agli altri. L'Io è il me della coscienza. Il

Me è l'oggetto di un io. Il Sè è il rapporto con me stesso senza conicidenza con me

stesso. L'Ego è per la coscienza il suo me. La coscienza è un saperci fare, è un

atto. Non è mai conoscenza. E' in situazione, esiste, opera. La coscienza è un

particolare modo di rapportarsi, non è vuota. Non si dà coscienza se non come sè.

L'esistenza personale non è l'Ego, ma di esistere come presenza a sè. La coscienza

si fa personale per il fatto di esistere per sè come presenza a sè. Mi sento di

esistere immediatamente con me stesso. Per esistenza personale possiamo

intendere esistenza individuale. Non è tale perchè si possiede un ego, è il fatto di

esistere per sè come presenza a sè, senza pensamento. Io sono di fatto un esistente,

Non ho bisogno di indicare che esisto, lo so esistendo. Sono fatticità. Il sè non è

l'ego. Bisogna far fuori l'idea che la coscienza sia un contenitore dove dentro

vanno le cose. Coscienza è movimento. Non ho coscienza. Sono coscienza nel

modo del per-sè. La coscienza è il regno del venire del niente alle cose. Il per sè è

l'essere che determina se stesso a esistere, in quanto non coincide con sè. L'essere

in sè dice sempre si. Il per-sè dice no. E' un modo di stare dell'essere anche come

negazione. C'è distanza tra se con se stesso, non coincide con sè altrimenti sarebbe

in sè. E' obbligo del per-sè di esistere solo sotto forma di altrove in rapporto a sè,

di esistere come un essere che continuamente si affetta, è una inconsistenza

d'essere. Per obbligo non intendiamo un dovere morale. E' necessitato dal suo

modo di essere di non essere consistente. La presenza a sè è il ricordo minimale di

essre sè. Star presenti a sè senza dirselo ogni volta. Il per - sè esiste sotto forma di

altrove e per questo ho necessità di essere presente a me. Questa incosistenza non

rimanda a un altro essere, non è che un rinvio perpetuo di sè a sè, del riflesso al

riflettente, del riflettente al riflesso. La coscienza è sempre fessura del niente. Così

il niente è questo vuoto d'essere, questa caduta dell'in sè verso il sè, per cui si

costituisce il per-sè. Il niente non si autocostituisce, è eterocostituito, è nella zona

squisita dell'essere. Il niente è la problematizzazione dell'essere da parte dell'essere

per mezzo dell'essere. Il niente è la possibilità propria dell'essere e la sua unica

possibilità. Essendo niente il niente dell'essere, non può venire all'essere che per

mezzo dell'essere stesso. E senza dubbio viene all'essere per mezzo di un essere

singolare che è la realtà umana. la realtà umana è l'essere in quanto è nel suo

essere e per il suo essere fondamento unico del niente in seno all'essere. Il per sè è

la realtà umana che è una consistenza incosistente sempre in caduta, sempre nel

mondo.

Tuttavia il per-sè è. E', sia pure a titolo d'essere che non è ciò ce è e che è cio che

non è. E', a titolo di evento, nel senso in cui posso dire che Filippo II è stato, che il

mio amico Pietro è, esiste, è in quanto appare in una condizione che non ha scelto,

come Pietro è un borghese francese del 1942, come Schimitt era un operaio

berlinese del 1870; è, in quanto è buttato là in un mondo, abbandonato in una

situazione, è in quanto pura continegenza, in quanto per esso, come per le cose del

mondo, come per questo muro, questo alberto, questa tazza, si può porre la

domanda fondamentale: "Perchè questo essere è così e non altrimenti?". E' in

quanto vi è in esso qualche cose di cui non è il fondamento: la sua presenza nel

mondo. Siamo passati da presenza a sè a presenza nel mondo. Questa percezione

dell'essere da parte di se stesso, come non costituente il proprio fondamento, è il

cogito. Sartre si ricollega così a Cartesio. L'essere non è perfetto eppure contiene

l'idea della perfezione, se fosse stato perfetto sarebbe stato conferme alla sua idea.

Cartesio con le sue meditazioni giunge a dire che l'essere non è il suo fondamento

ma è Dio. Un essere che fosse il proprio fondamento non potrebbe sopportare la

minima sfasatura fra ciò che è e ciò che concepisce, perchè si produrrebbe secondo

la sua comprensione dell'essere e non potebbe concepire che ciò che è. Questa

apprensione dell'essere come una carenza d'essere nei confronti dell'essere è una

percezione da parte del cogito della sua contingenza. Io penso, quindi sono. Che

cosa sono? Un essere che non è il proprio fondamento, che in quanto essere,

potrebbe essere altro da ciò che è, enlla misura in cui non spiega il suo essere.

Cosa sono ? Un essere che non è il proprio fondamento, un essere che non insiste,

ma esiste e sarebbe potuto essere altro, ma per contigenza è così. E' un fatto

casuale, non causale. La possibilità propria dell'essere, quela che si rivela nell'atto

nientificatore, è di essere fondamento di sè, come coscienza, mediante l'atto di

sacrificio che lo annienta, il per sè è l'in sè che si perde come in sè, per fondarsi,

per costituirsi come coscienza. Così la coscienza deriva da sè il suo essere-

coscienza e non può rinviare che a se stessa, in quanto è la propria nientificazione,

ma ciò che si annienta nella coscienza, senza che lo si passa dire fondamento della

coscienza, è l'in sè contigente. L'in-sè non può fondare niente, fonda se stesso, solo

nel senso che si attribuisce la modificazione del per-sè. E' fondamento di sè in

quanto non è già più in sè e si incontra qui l'origine di ogni fondamento. Se l'essere

in sè non può essere nè il porpio fondamento nè quello degli altri esseri, il

fondamento in generale viene al mondo con il per sè. E non solo il per-sè, come in

sè nientificato, si fonda da sè, ma con esso appare per la prima volta il

fondamento. La coscienza è il proprio fondamento, ma rimane contingente il fatto

che vi sia una coscienza piuttosto che del puro e semplice in sè all'infinito.

L'evento assoluto o per sè è contigente nel suo essere. Per fatticità si intende che il

fatto che vi sia una coscienza piuttoposto che l'insè assoluto non dipende dalla

coscienza. Si è presenti nel mondo senza ragione, in modo contigente. Si può

pensare che ad un certo punto dell'evoluzione si sia formata la coscienza. Questa

contigenza dell'in sè, che aderisce al per-sèe lo ricollega all'essere in sè senza

asciarsi mai percepire, la chiameremo la fatticità dell'essere. E proprio questa

fatticità che permette di dire che esso è, esiste, benchè non la si possa mai

realizzare e la si percepisca solo attraverso il per-sè. Abbiamo notato prima che

non possiamo essere niente senza giocare a essere. Prendiamo l'esempio del

cameriere. Il cameriere gioca ad esserlo. Nella sua vita l'esser cameriere non è la

sua identità, è un suo essere contigente ( malafede). L'esser cameriere è una

situazione. Questo fatto impercettibile della mia condizione, questa impalpabile

differenza che separa la commedia del reale dalla pura e semplice commedia, è

ciò che fa in modo che il per sè, pur scegliendo il senso della propria situazione e

pur costituendosi come il fondamento di se stesso in un

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
51 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/03 Filosofia morale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher CmPu di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia morale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Papparo Felice Ciro.