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Altri è puro soggetto. In nessun modo altri ci si presenta come oggetto. Nel
fenomeno dello sguardo altri, è per principio, ciò che non può essere oggetto.
L'oggetivazione d'altri significherebbe la distruzione del suo essere-sguardo. Altri
non è neppure qualcosa che è preso di mira dalla mia attenzione: se, nel nascere
dello sguardo d'altri, io facessi attenzione allo sguardo d'altri, sarebbe come se
questi fossero degli oggetti, perchè l'attenzione è direzione intenzionale verso
degli oggetti. Altri dunque è pure soggetto. E' la condizione del mio essere-non-
rivelato. ( pag 322). Non si può essere sè se non in relazione con altro da me. Altri
è quello che mi guarda, che dà a me stesso il non rivelato senza che si dia rivelato.
L'altro lo incontro, arriva per caso. Lo sguardo altrui, come condizione necessaria
della mia obiettività, è distruzione di ogni obiettività per me. Lo sguardo altrui mi
raggiunge attraverso il mondo e non è soltanto trasformazione di me stesso, ma
metamorfosi totale del mondo. Io sono guardato in un mondo guardato. Lo
sguardo altrui, che è sguardo-che-guarda e non sguardo-guardato, nega le mie
distanze dagli oggetti e dispiega le sue distanze. L'altro è il polo della mia fuga
( pag 323). Sguardo-altrui non necessità della persona, è uno sguardo onnipresent,
mi rende oggettivabile. Io non posso essere oggetto per me. Altri per me è l'essere
per cui io sono oggetto, cioè l'essere per mezzo del quale io ottengo la mia
oggettità. Altro è dato come soggetto puro. Cos', questo soggetto puro, che non
posso, per definizione, conoscere, cioè porre come oggetto, è sempre là, fuori
portata e senza distanza, quando tento di cogliermi come oggetto. E nella prova
dello sguardo, sentendomi oggettità non-rivelata, espririmento direttamente con il
mio essere l'impercettibile soggettività dell'altro. Altri è sempre sul piano del
sentire, dell'affettività. ( pag 324). Tra me e me non mi prendo come oggetto. Sono
oggetto per l'altro mentre altro è soggetto puro.n L'altro mi affetta, mi rende
oggetto. Io l'altro non lo percepisco, sento la forza soggettivante, è ciò che mi
soggioca. Così, lo sguardo, io provo altri concretamente come soggetto libero e
cosciente, sento la mia libertà limitata. L'altro mi si impone come una presenza
concreta che non posso tarre da me e che posso sperimentare nella mia vita senza
nessuna epochè. Con gli altri è una lotta permanente: altri limita la mia libertà e mi
oggettivizza. L'inferno sono gli altri, dirà Sartre in seguito. ( pag 325). Tramite lo
sguardo altrui sperimento la mia fuga costante, il mio essere alienato. Il fatto
dell'altro è incontestabile e mi colpisce in pieno. Lo realizzo con il disagio, per
causa sua sono continuamente in pericolo in un mondo, che è questo mondo, e che
pure posso solo presentire, e l'altro non mi appare come un essere che prima si
costituisce per incontrarmi poi, ma come un essere che sorge in un rapporto
originale d'essere con me e la cui indubitalità e necessità di fatto sono quelle della
mia coscienza ( pag 330). Io mi relaziono ad altri in quanto altri è compresente alla
mia coscienza. Io sono per natura per-sè e per-altri. Il fatto che altri c'è sorge nella
mia coscienza. Io sono, mentre sono me stesso, in relazione ad altri. Tuttavia che
io sia guardato può essere solo probabile. Io mi posso essere ingannato: mentre
guardo dal buco della serretura sento dei passi e mi sento guardato. Smetto di fare
quello che stavo facendo. Mi vergono. Ma mi accorgo che mi ero sbagliato: non
c'era nessuno. Lo sguardo, anche se non era appunto legato alla persona perchè
questa non c'era, c'era e mi ha oggettivo. Lo sguardo non è legato agli occhi. Altro
è sempre lì. ( pag 332). Faccio esperienza dell'assenza. L'assenza si definisce come
un modo d'essere della realtà umana in rapporto ai luoghi e ai posti che essa ha
determinato con al sua presenza. L'essere-guardato si presenta come la pura
probabilità che io sia ra questo concreto, probabilità che può trarre il suo
significato e la sua natura di probabile solo da una certezza fondamentale che altri
mi è sempre presente in quanto io sono sempre per altri. ( pag 335). Ogni sguardo
ci prova concretamente che esistiamo per tutti gli uomini viventi cioè che ci sono
delle coscienze per le quali esisto. ( pag 336). Altro è negazione. se c'è un altro in
generale biosgna prima di tutto che io sia colui che non è altro ed è proprio in
questa negazione compiuta da me su di me, che io mi faccio essere e che l'altro
sorge come Altro. ( pag 338).
Ventinovesima lezione, lunedì 12 dicembre 2016.
Il corpo per me e per altri.
L'esistenza altrui è la causa della mia oggettività. L'oggetto che altri è per me e
l'oggetto che io sono per altri si manifestano come corpi. Che cos'è il mio corpo?
Che cos'è il corpo d'altri? ( pag 358). Il corpo è qualcosa che appare al di là della
mia coscienza. Le difficoltà legate al corpo sono dovute al fatto che tento di unire
la mia coscienza non al mio corpo, ma la corpo degli altri. L'esistenza si presenta
come essere esposto agli altri a titolo di corpo. Vedo per prima cosa il corpo ma
sempre prima quello degli altri ed io mi presento ad altri prima di tutto come
corpo. Il corpo è qualcosa che non può essere ridotto a cosa. Il corpo che vediamo
prima è quello degli altri tramite i quali conosciamo il nostro. Il corpo di cui
abbiamo tentato la descrizione non è il mio corpo qual è per me. Io non ho mai
visto nè vedrò mai il mio cervello nè le mie ghiandole. Ma solo per il fatto di aver
letto trattati di fisiologia ho concluso che il mio corpo è costituito come quelli che
mi sono stati mostrati nella riproduzione dei libri. I medici che mi hanno curato
hanno potuto fare esperienza diretta del mio corpo che io non conosco da me solo.
Partire dalle esperienze che i medici hanno potuto fare sul mio corpo significa
partire dal mio corpo situato nel mondo, quale è per altri. Il mio corpo qual è per
me non mi si rivela nel mondo. ( pag 359). Il mio corpo allora è quello esposto
agli altri. Il mio corpo è sempre essere per me e per altri. Da qui la fondamentale
distinzione tra avere un corpo e essere un corpo. Io sono un corpo che non è
visibile a me stesso in modo conoscitivo. Io sono il mio corpo perché lo vivo.
Avere un corpo invece indica il fatto che il mio corpo è visibile ad altri. Il corpo
proprio è vissuto e non conosciuto, viene conosciuto da altri.Non c'è necessità di
contrapporre corpo e anima. Il corpo è uno spazio psichico in quanto lo vivo. ( pag
362). Esistono tre dimensioni della corporeità. Io esisto il mio corpo: questa è la
prima dimensione dell'essere. Il mio corpo è utilizzato e conosciuto da altri: questa
è la sua seconda dimensione. Ma in quanto io sono per altri, altri mi si manifesta
come il soggetto per il quale io sono oggetto. Qui si tratta della mia relazione con
altri. Io quindi esisto per me come conosciuto da altri in particolare nella mia
stessa fatticità. Esisto per me come conosciuto da altri a titolo di corpo. Questa è la
terza dimensione ontologica del mio corpo. ( pag 412). Per analizzare la questione
del corpo come essere per sé dobbiamo partire dall'analisi della fatticità, dal
nostro rapporto con l'in sé. Il per sé nasce dall'in sé come suo tentativo di
trascenderlo e nientificarlo. Nasce come contestazione del suo essere in vista del
non essere, come decompressione d'essere. Esce dall'in se con necessità di inerirsi
rispetto a sé ma conserva sempre tratta dell'in se da cui deriva. Il per sé cerca di
stare fuori da questa insistenza d'essere. Quindi insieme all'essere c'è il niente.
Nell'essere sorge un modo d'essere che si fa non essere nel suo essere. Il per sé è
trascendenza di questo essere ma non perde il suo tratto di fatticità in quando è
gettato nel mondo e su questo non può far nulla. È un esser-la, un essere gettato
nel c'è. L'esser la da l'idea della finitezza e della storicità della realtà umana. Il
corpo in questo discorso si manifesta come fatticità. Io non posso non avere un
corpo ma emerge un tratto di contingenza: sarei potuto essere un altro corpo. Per
questa contingenza il corpo è sul piano del per sé. Si potrebbe definire il corpo
come la forma continente che assume la necessità della mia contingenza. ( pag 362
a 366). Il corpo è la dimensione dell'agire. Faccio uscire il niente che è nel mio
essere. Avere un corpo significa essere il fondamento del proprio niente e non
essere il fondamento del proprio essere. Io sono il mio corpo in quanto sono, io
non lo sono in quanto non sono ciò che sono, è attraverso la mia nientificazione
che mi sfuggo. Io non sono mai ciò che sono, trascendo il dato dell'essere al modo
del non essere. Io sono di fatto un corpo e quindi non posso non considerare la mia
relazione con l'in sé. Abbiamo detto che il per sé sorge dall'in se. Io sono di fatto
in quanto ho un passato e questo passato immediato mi rimanda all'in se primitivo,
sull'annientamento del quale io sorgo con la nascita. Così il corpo come fatticità è
il passato in quanto rimanda originariamente a una nascita, cioè all'annientamento
primitivo che mi fa sorgere dall'in se che io sono di fatto senza esserlo. Nascita,
passato, contingenza, necessità di un punto di vista, condizione di fatto di ogni
azione possibile al mondo: questo è il corpo, tale è per me. ( pag 386). Il corpo è la
forma contingente che prende la necessità della mia contingenza. Questa
contingenza noi non possiamo mai percepirla come tale, in quanto il nostro corpo
è per noi: perché noi siamo scelta, ed essere, per noi, è scegliersi. Ma questo corpo
come impercettibile è proprio la necessità che vi sia una scelta, cioè che io non sia
tutto in una volta sola. In questo senso la mia finitezza è la condizione della mia
libertà perché non può esserci libertà senza scelta e dal momento che il corpo
condiziona la coscienza come pura coscienza del mondo, la rende possibile
proprio nella sua libert&ag