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Di conseguenza, l’artista perde quel po’ di sapienza che gli era riconosciuta. Non è più colui che è in grado di produrre

gli dei, ma semplicemente un produttore di immagini. Si presume che si possa godere di una scena solo per la sua

piacevolezza – si riconoscono degli aspetti della realtà esperienziale che possiedono piacevoli suggestioni ed emozioni.

L’artista passa dall’essere un operaio (di tipo privilegiato, per il riconoscimento sociale legato al sacro) a un produttore

di immagini la cui utilità risiede non più in cosa produce bensì in come lo produce.

L’opera è apprezzata non per ciò che rappresenta, ma per come è fatta – il che include di che cosa è fatta (da cui la

preziosità) e chi l’ha fatta (da cui il prestigio).

A causa del nuovo atteggiamento di attenzione e valorizzazione del Diverso in quanto Diverso, si comincia a guardare

all’artista come un Diverso di valore. Sposta l’asse dell’apprezzamento estetico: non è più un uomo come gli altri, che

conferma valori, bensì dice cose nuove, è visto come un individuo creante.

Alla moralità della rappresentazione si sostituisce la qualità estetica intrinseca della rappresentazione. Si apprezza

l’opera in quanto frutto dell’ingegno dell’autore. Da banausos l’artista diventa demiurgos.

Abbiamo a che fare con una figura di artista molto più simile alla nostra. Tutto questo rende gli artisti ricchi ma non

socialmente rispettabili. La loro occupazione è rispettata e ricercata entro certi limiti, ma non riconosciuta.

Per converso, comincia a solidificarsi il mito della diversità. La loro ambiguità di status sociale contribuisce

all’eccentricità delle loro figure (Emile Zola nei suoi Taccuini li colloca in un mondo a parte, al di fuori della società,

condiviso con preti, ladri e prostitute – categorie socialmente altre).

Culto del classico

L’atteggiamento di Fedro, che imita Esopo per guadagnare prestigio, è simile a quello degli artisti che apportano un

nome facoltoso (ma falso) per aumentare il valore di un’opera. Questo significa che il culto del classico è già nato, ed è

deleterio: si preferisce un falso antico alla contemporaneità.

È nato un classicismo che si basa su presupposti ingannevoli. A un atteggiamento propositivo si sostituisce un

atteggiamento conservativo, forte del principio di autorità e dell’accademismo.

Già in età augustea si contrappone nostalgicamente un classico autorevole a un contemporaneo svalutato.

Mercato dell’arte (copie e repliche)

Questo atteggiamento è accentuato vistosamente dal collezionismo e mercato dell’arte. L’opera ha un valore di per sé,

che dipende dalla mitizzazione di nomi autorevoli.

Finché le opere erano commissionate dalle Poleis, l’ambito della committenza restava piuttosto ridotto. Col mondo

ellenistico, il mercato si espande enormemente (dalla Babilonia alla Spagna), cresce la quantità di ricchezze che

ambiscono a rappresentarsi attraverso l’arte, ed aumenta perciò la domanda, che supera l’offerta (sebbene si formino

nuove botteghe).

Si avvia perciò in modo massiccio l’industria delle copie. Come il genio e l’ispirazione, anche l’unicità dell’opera d’arte è

un retaggio romantico: la copia non era considerata disdicevole. Essa era una riproduzione assolutamente legittimata

dell’opera, legittimazione che proviene direttamente dall’originale. Si delineano perciò diversi livelli di collezionismo e

committenza.

Nel mondo romano si verifica un’ampia richiesta di copie di opere famose non più per il soggetto ma per l’artefice.

Questo processo paradossalmente si diffonde con tale larghezza e autorevolezza al punto che il gusto diffuso dalle

copie è persino privilegiato rispetto all’originale. Ciò è dovuto al fatto che le copie erano apprezzabili a prescindere

dall’originale, il quale poteva essere di difficile fruizione, se non irraggiungibile.

Contestualmente si configura la produzione delle repliche. Esse partivano da un motivo iconografico famoso e lo

rielaboravano: a partire da un modello si ramificano le varianti.

Ciò comporta che, per quanto neutro sia il copista, la copia implica già un’interpretazione, un’alterazione,

un’immissione di valori estetici: avendo perduto gli originali, però, è difficile sapere in quale misura.

La questione delle copie in Grecia e con il “fenomeno Roma”

La nostra conoscenza degli antichi è solo in minima parte basata sugli originali, in quanto essi sono stati

progressivamente rovinati da ondate di iconoclastia che hanno distrutto le immagini pagane. Il repertorio di immagini

classiche che è giunto fino a noi è strettamente legato all’attività, iniziata nell’Ellenismo, di copie e repliche. Gran parte

delle copie giunte sino a noi sono di epoca romana e sono state ritrovate nella stessa città di Roma oppure nei territori

circostanti – spesso, infatti, le province davano enormi contributi culturali alla madrepatria. Esistono tradizioni, però,

secondo le quali già nel mondo etrusco si erano insediati laboratori di ceramica greci – il che fa pensare che,

probabilmente, ci fosse già in atto un fenomeno di compravendita di originali greci direttamente dalla madrepatria.

*Copia – riproduzione fedele di un’opera così come essa è, sia nelle forme che nelle dimensioni.

Riproduzione – immagini simili, ispirate alle originali, ma che non ne rispettano a pieno i criteri quali la forma o

le dimensioni.

Tipo – modello iconografico di forte ispirazione dal quale si traggono le repliche, che a loro volta ci permettono

di conoscere il modello originale anche se non lo abbiamo mai visto.

Già nell’ellenismo esisteva una forte differenza di produzione rispetto alle località dove le botteghe erano situate: nei

grandi centri c’erano le botteghe di alta qualità (che quindi avevano prezzi molto alti, che richiedevano le opere

originali), mentre nei piccoli centri c’erano le botteghe di qualità media o bassa (i cui prezzi erano decisamente meno

elevati). I piccoli centri, quindi, si affidarono spesso alla produzione di copie perchè non potevano permettersi di pagare

il grande artista. Tuttavia, la committenza iniziava già a richiedere opere differenti, perchè ne capivano l’apprezzabilità a

livello estetico.

Il fenomeno “Roma” mette in risalto il fatto che il collezionismo crea una committenza molto vasta, con punte di qualità

elevatissime. Proprio per questo, si dovevano configurare rapidamente maestranze e botteghe in condizione di agire

nel modo migliore e soddisfare le grandi richieste della committenza.

Bisogna tenere presente, qui, che il processo delle copie veniva svolto in botteghe dove solo pochissimi autori

riuscivano ad essere considerati grandi artisti: l’opera era ancora apprezzata per le sue caratteristiche e non per l’artista

che l’aveva prodotta.

Pensare al mondo greco significava pensare ad un sistema di poleis con una loro identità unitaria, che non ammetteva

forme di pluralità. Al contrario, Roma di configura come un’aggregazione di genti portatrici di culture diverse unificate

sotto criteri comuni (soprattutto nei momenti di massima espansione dell’Impero) come la lingua, la moneta, le leggi.

Proprio a Roma nascono una serie di botteghe in cui si pensa che i primi contributi derivassero dalle maestranze greche.

Le copie venivano ottenute mediante i calchi: questi contribuirono a creare un fenomeno intenso. Dietro alla

produzione sistematica delle copie, infatti, c’era una esecuzione altrettanto sistematica di questi calchi, ricavati sia dagli

originali che dalle stesse copie. Questo, però, dava una qualità nettamente inferiore a mano a mano che ci si

allontanava dal calco primo o dall’opera originale, della quale si perdevano tantissimi elementi di somiglianza.

Naturalmente, rientrava nei criteri di “cambiamento” anche il gusto personale del copista che, magari senza aver mai

visto l’originale, finiva l’opera così come lui stesso la riteneva bella o meritevole.

La questione del restauro

La storia del restauro ha fornito un’interpretazione nuova delle opere, finite in modo da mantenere una certa

somiglianza con l’originale ma spesso in maniera errata, in quanto l’intervento era troppo influenzato dal gusto

personale dell’artista restauratore.

Di certo, anche l’avvento del Classicismo e del Neoclassicismo ha contribuito allo sviluppo della visione odierna delle

opere antiche. Sebbene Winckelmann scrisse la storia dell’arte antica nel 1764, bisogna ricordare che la prima volta che

si mise per iscritto il discorso delle copie/manipolazioni storiche fu nel 1750, per opera di Pier Jean Mariette.

Winckelmann, quindi, parlò di arte antica senza distinguere gli originali dalle copie, e quindi senza dare nessun conto

alle manipolazioni a posteriori che le opere hanno subito.

Nonostante certe condizioni storiche vengano smentite o corrette, comunque, non sminuisce l’importanza culturale

che queste stesse condizioni hanno assunto: le teorie di Winckelmann, per esempio, pur essendosi dimostrate

scorrette, hanno mostrato ai posteri la “meraviglia dell’antico”, contribuendo a mantenerne viva la tradizione.

Il collezionismo di opere antiche privilegia altri elementi rispetto a quelli modernamente riconosciuti come opere

d’arte: epigrafi, gemme, pietre incise (trattate da una scienza chiamata “glittica”) e monete. Il collezionismo di statue,

frammenti o opere architettoniche è un fenomeno relativamente tardivo che possiam oricollegare al ‘400-‘500. Un

esempio di questo nuovo fenomeno è la collocazione del Laocoonte e dell’Apollo del Belvedere nella corte papale.

Sebbene la prima corrente di collezionismo volesse che le opere non fossero modificate, ma rimanessero tali e quali allo

stato in cui erano state ritrovate (“estetica della rovina”), con Michelangelo inizia a diffondersi il gusto del restauro

delle opere come “risarcimento”, in modo che la loro qualità possa emergere totalmente. Il lavoro di rifinitura delle

opere diventa, quindi, talmente tanto importante che anche il Vasari, nel suo “Le vite de' più eccellenti pittori, scultori,

e architettori”, tratta l’argomento:

“E nel vero, hanno molta più grazia queste anticaglie in questa maniera restaurate, che non hanno que’ tronchi

imperfetti, e le membra senza capo o in altro modo difettose e manche.” Questa citazione ci permette di capire che le

opere venivano considerate molto più belle se finite in tutte le

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Publisher
A.A. 2014-2015
13 pagine
2 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/07 Archeologia classica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ambragi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'arte classica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Gualdoni Flaminio.