Appunti di Storia del libro (lezioni complete)
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ESTRATTO DOCUMENTO
Fu soprattutto negli anni ’80 che questo processo assunse delle dimensioni realmente consistenti. Egli ritiene
inoltre che la super-concentrazione finirà per condizionare ulteriormente gli autori. A suo dire, ciò non
porterà alla scomparsa dei piccoli editori, visto che questi ultimi sono il risvolto dei grandi, due facce della
stessa medaglia. 7 ottobre 2015
Il Diario di San Jacopo di Ripoli
E’ un documento molto importante, che mette a disposizione degli studiosi una gran quantità
d’informazioni. Il diario presenta anche un commento, di difficile lettura e interpretazione. La
trascrizione integrale del testo è in italiano quattrocentesco. Seguire i traffici di libri e i vari
pagamenti, come il diario si propone di fare, è un’opera molto complessa.
Lisima: risma di 500 fogli di carta.
Gabella: è la tassa d’importazione che viene versata sui prodotti introdotti nelle città e nelle
varie circoscrizioni territoriali.
Scrittura del contratto
Contratto per la pubblicazione delle opere di Platone, trascritte da Marsilio Ficino. Egli redasse un contratto
con alcuni suoi studenti che si proposero di finanziarlo. Sia noto a chiunque leggerà questo documento che
nel giorno 25 gennaio 1483 che fra Domenico priore Sindicho e Lorenzo di Franciescho iniziano a
trascrivere diversi dialoghi di Platone. Questa è la parte pubblica del contratto. In esso, vengono esplicitate
anche alcune informazioni relative all’impaginazione dei testi (numeri di righe e misura dei margini).
“fiorini tre larghi a lire cinque
Nel documento è riportato un prezzo per ogni quinterno (per ogni opera):
soldi per fiorino, cioè 5 soldi 15 pfl per qualunque quinterno di detto opera et dialogi imprimessino
cioe che sendo e dialogi e quinterni 30 habbino havere fiorini 90 larghi”.
Nel contratto vengono riportate le stime medie per ogni quinterno dell’opera che viene stampato.
L’unità di lavoro del tipografo è il quinterno, una serie di fogli sui quali vengono fatti gli accordi. In
base ad essi si calcola la consistenza dell’opera prodotta e il relativo prezzo. La legatura era
affidata ad un’altra fase della produzione del libro, ovvero la fase del mercato.
Nel contratto si esprime inoltre l’obbligo che tutte le copie siano date ai due committenti (tutta la
tiratura è rilevata dai finanziatori). La stamperia inoltre non può realizzarne altre copie su carta da
destinare a terzi; in caso contrario, essa dovrà corrispondere un pagamento ai committenti come
risarcimento. E’ chiaro come questi ultimi vogliano l’esclusiva sulla riproduzione dell’opera.
Questa clausola dimostra come fosse già molto chiara ai committenti l’importanza dell’esclusiva; il
fatto che il diritto dell’esclusiva sia menzionato nel contratto di stampa dimostra come all’epoca, a
Firenze, non esistessero ancora delle leggi che tutelassero gli imprenditori. Solamente a Venezia
sarebbe stata introdotta una legge sul privilegio di stampa a tutela degli editori. La presenza di
questa legislazione sarà uno dei motivi che permetterà l’esplosione del mercato librario nella
Serenissima.
La tiratura complessiva delle opere di Platone cui si fa menzione nel contratto si aggira attorno alle
12.000 copie, oltre a qualche centinaio di fogli singoli. Le vendite avvenivano librai e cartolai, ma
era un processo molto lento. Al contrario, la vendita tramite itineranti, ambulanti, cantori, cerretani
e saltimbanchi era ben più proficua. Queste persone sfruttavano le ricorrenze pubbliche e le fiere
per declamare i propri prodotti. Le storie delle Sacre Scritture venivano inscenate in modo quasi
teatrale, sfruttando la superstizione del pubblico che, alla fine, decideva di acquistare i testi. Si
tratta di una prima forma di pubblicizzazione per i librai. Nell’evoluzione del metodo di
distribuzione dei testi, quest’arte di vendita diviene sempre più complessa. Si giunse addirittura
alla pubblicazione dei libri di segreti; alcuni cantori dimostravano ad esempio le proprie presunte
capacità curative attraverso unguenti e preparati che richiedevano ricette specifiche (contenute nei
testi che poi venivano venduti). Anche in questo caso, la superstizione del pubblico giocava un
ruolo fondamentale. Si trattava di soluzioni alquanto discutibili e spesso rischiose per la salute
delle persone (i medici usavano ad esempio il mercurio). Nell’impresa di Ripoli vi erano
unicamente lavoratori fiorentini, a differenza delle aziende tipografiche veneziane.
Alcuni studiosi hanno voluto enfatizzare il fatto che da un dato singolo non si può ricostruire
un’intera realtà; ciò che è comunque interessante di questo documento è il tipo di relazione che
queste tipografie di piccola e media entità stabilivano con i personaggi che si recavano nelle varie
città per vendere i propri prodotti. Questi ambulanti, o cantori, ritiravano gruppi di 20-25-50 copie
di stampati, pagandoli con il ricavato delle precedenti vendite, per poi tornare periodicamente a
rifornirsi. Stando al documento, nel 1450, un cantore di strada commissionò alla stamperia di
Ripoli 505 copie di un libro contenente l’Apocalisse di San Giovanni e l’orazione a San Rocco (per
allontanare la peste). Il cantore ne recitava alcune parti a memoria; si tratta di opere dal potere
apotropaico, che le persone volevano avere con sé come forma di buon auspicio e protezione.
Molti studiosi riflettono sul ruolo di questi personaggi nell’ampliamento del mercato librario e nel
loro contatto con le classi sociali più umili. Gli stampati erano semplicemente materiali di base o
d’intrattenimento; si tratta di testi che, per il contenuto, erano assimilabili a delle vere e proprie
canzoni. E’ molto interessante ricostruire quindi il ruolo di questi operatori, che fecero scoprire alle
classi sociali più umili i materiali a stampa.
Gli studiosi non accettano la definizione di “stampa popolare” (in inglese cheap printing, stampa
a buon mercato): questo perché i prodotti erano spesso acquistati anche da aristocratici. E’ un
fenomeno molto importante, dal punto di vista sociale, ma anche assai fragile in termini economici.
Per quanto capillare (i commercianti ambulanti procedevano a piedi, di città in città), questo
commercio non avrebbe mai raggiunto le dimensioni del mercato a stampa.
In questo periodo, l’Italia è il paese più avanzato: fin dall’età comunale, il commercio di tutti i beni
ha abbandonato la caratteristica di essere legato alle fiere, ovvero ad appuntamenti periodici. E’ in
occasione delle fiere che vi è disponibilità di una gran quantità di merci.
Nel centro dei comuni, per il fatto che vi fossero molti abitanti, le botteghe commerciali erano fisse.
Per questo, il ruolo degli ambulanti fu ben più marginale rispetto ad altri paesi come la Francia.
In Francia la realtà cittadina è ben diversa: a grandi città come Parigi si contrappongono piccoli
centri urbani. Per questo, l’attività degli ambulanti rivestiva un ruolo chiave. Non si hanno prove
che gli editori italiani facessero ricorso a questo canale di distribuzione.
Non v’e mestier dopo quello del chiavaro che sia d’honor più degno del libraro.
Raffigurazione del libraio (1580): ha un cesto da cui pendono dei fogli e al cui interno vi sono dei
libretti già legati (vendeva libri usati). Vi sono anche dei venditori che portano delle stampe con cui
abbellire la casa. Non è da escludere che alcune delle figure rappresentate siano laiche.
Alcuni vendono addirittura dei calendari (lunari) stampati su fogli singoli; Per un baiocco do un
lunario novo e per questo nessun guadagno trovo. 8 ottobre 2015
Feltrinelli
L’inizio della fortuna di questa famiglia si colloca agli inizi dell’Ottocento e ricopre diversi ambiti
(lavorazione del legno, settore cotoniero, finanza e banca). All’interno di questa famiglia si
distinguono due personalità: lo zio giacomo e Carlo Feltrinelli, padre di Giangiacomo. Questi vive
durante l’avvento del fascismo; la propaganda di regime occultò diversi documenti riguardanti la
sua vita.
Nel 1925 sposò Gianna Elisa Gianzana, figlia di Mino Gianzano (importante uomo d’affari):
lei è una donna fredda e autoritaria, mentre lui è più calmo e riservato. Dalla loro unione
nacquero i due figli Giangiacomo e Antonella. Entrambi ricevono un’educazione molto rigida
e, tranne alcuni momenti di vita pubblica, anche la loro formazione avviene in una
dimensione privata. Ciò era forse dovuto al benestare della famiglia e al desiderio di
proteggere (in modo spesso eccessivo) i propri cari. In occasione di una battaglia di caccia,
la madre Gianna Elisa perse un occhio e fu poi costretta a vivere con un monocolo.
Solitamente, questi incidenti di caccia nascondevano spesso dei forti conflitti familiari.
Quello della donna è comunque un carattere molto forte, che la aiuterà a superare la morte
del marito Carlo (1935). La donna si ritrova a dover gestire l’immenso patrimonio della
famiglia, cercando di tenere esclusi i figli (anche questa è una caratteristica tipica delle
famiglie facoltose). Il periodo di lutto per la donna dura tre anni; nel 1938 Gianna Elisa
conosce Luigi Barzini Jr. famosissimo giornalista dell’epoca. Dopo sette anni di matrimonio,
egli è costretto al confino nell’albergo Cappuccini di Amalfi. In autunno, la famiglia si
trasferisce a Milano; in seguito, nasce la terza figlia, che comporta una forte gelosia da
parte degli altr due.
Nel 1942, la famiglia si sposta nella villa sull’Argentario, a causa dei bombardamenti su
Milano. In questo periodo emerge una forte acredine tra Giangiacomo e il suo patrigno,
dovuto anche alle diverse vedute politiche. E’ durante questo periodo che matura in lui
l’attenzione verso le classi sociali più umili, ciò che poi lo condurrà a lottare per
l’emancipazione. La permanenza sull’Argentario è comunque abbastanza serena.
Barzini è addirittura sospettato di contatti con il nemico (ascolta Radio Londra). Sfruttando
conoscenze e amicizie, egli riesce a far decadere le accuse.
Dopo il trasferimento a Roma e il conseguimento della maturità scientifica, Giangiacomo si
arruola nell’esercito (prenderà parte alla liberazione di Milano nel 1945). Dopo la guerra,
egli fa ritorno a Roma: il giovane si è iscritto al PCI e per questo entra in conflitto con il
resto della famiglia, d’ispirazione monarchica.
Giangiacomo conosce una donna, Bianca Dalle Nogare, con la quale intrattiene una
relazione. Il giovane viene però esiliato, assieme alla sorella, in Portogallo, all’epoca
dilaniato dai contraccolpi della precedente guerra civile. Inoltre, i genitori controllavano le
finanze e lasciavano ai figli l’indispensabile per sopravvivere.
Giangiacomo riuscì a fare ritorno in patria, malgrado lo stato di malattia e denutrizione
causati dalla permanenza all’estero. Viene ospitato da un compagno socialista; nel
frattempo, Bianca si era iscritta al PCI.
Nel 1947, egli raggiunge la maggiore età (21 anni) e viene convinto da Bianca ad accettare
la propria condizione sociale e ad imparare a gestire le proprie finanze.
Giuseppe Del Bò: avente una formazione teologica, dopo la guerra s’innamora di una donna e
abbandona il seminario. Egli lavorò all’Einaudi, dove conobbe Feltrinelli: i due intrapresero un
viaggio in Europa per la raccolta di materiali bibliografici. Grazie al materiale raccolto, i due
aprirono la Biblioteca G. Feltrinelli a Milano (1951). Essa raccoglie circa 200 comunardi e periodici
dell’epoca dell’Internazionale, le stampe del contratto sociale di Rousseau, le riflessioni di
Cattaneo sui moti milanesi, scritti di Marx, Bakunin, Proudhon e numerose altre opere. Questa
biblioteca è presto divenuta una risorsa fondamentale per la ricerca storico-filologica. Alla
biblioteca si affiancarono delle iniziative editoriali: la prima fu quella di Movimento Operaio. Il capo
redattore della rivista, Gianni Bosio, viene però estromesso dal PCI per le sue vedute politiche
discordanti. Vi è poi l’esperienza di Milano Sera, un giornale fiancheggiatore del PCI che però non
riesce a decollare. Il partito si rivolge a Giangiacomo affinché questi salvi il quotidiano. Dopo
diversi mesi, egli però cambia idea (anche grazie alla consultazione con la moglie) e paga
personalmente la liquidazione agli impiegati del giornale.
Tra il 1949 e il 1959 vi fu l’esperienza del libro popolare COLIP. Per salvare questa iniziativa
editoriale, Feltrinelli preleva l’Universale Economica del Canguro su cui fonda la propria
casa editrice. Gli inizi degli anni ’50 costituivano un periodo favorevole, considerando anche
il desiderio di svecchiare la tradizione libraria italiana. Le prime pubblicazioni di Feltrinelli
furono Il flagello della svastica, di Lord Russell (filone antifascista) e Autobiografia
(l’emancipazione dell’India dal dominio inglese), di Nehru (filone internazionale).
Le prime due librerie sorsero a Pisa e a Milano (in via Manzoni). Con Feltrinelli, la libreria,
da tempio del sapere inaccessibile e intimidatorio, diviene un ambiente accogliente e
stimolante. Egli cerca di rompere i pregiudizi per avvicinare un maggior numero di lettori.
Ottobre-Novembre 1956: Feltrinelli è solidale con i fatti di Ungheria. In questi anni si verifica
un’insurrezione nazionale anti-sovietica, iniziata con un movimento studentesco. La
situazione però degenera e la rivolta viene sedata con un grande spargimento di sangue.
L’evento delineò una spaccatura nel PCI, tra quanti appoggiavano questa scelta (in vista di
una politica internazionale e di una dimostrazione di forza) e quanti invece, indignati dalla
vicenda, decisero di abbandonare il partito. Tra questi figura lo stesso Feltrinelli, il quale
non rinnovò l’iscrizione al PCI dopo il 1956. Nel 1958 egli pubblicò l’opera Scritti politica di
Imre Nagy, primo ministro dell’insurrezione ungherese.
La data fondamentale è però quella del 1957: in quest’anno, Feltrinelli pubblicò il Dottor Zivago, di
Pasternak, opera dichiaratamente avversa alle pressioni censorie sovietiche. Il partito comunista
esercita delle pressioni su Feltrinelli, affinché questi non pubblichi il libro (si tratta di direttive
imposte dall’Unione Sovietica).
Nel febbraio del 1956 si conclude il matrimonio con Bianca, a causa delle relazioni extra-coniugali
e dell’ennesima intromissione del PCI. Nel giugno del 1957, Feltrinelli sposa Alessandra (Nanni)
De Stefani, che tuttavia finisce solamente dopo 9 mesi per l’infedeltà di lei. La separazione
ufficiale avvenne solamente nel 1966.
L’incontro con Inge Schoenthal: la conosce ad Amburgo, dopo essere partito nel luglio del 1958
per un viaggio in Norvegia. Feltrinelli s’innamora della fotoreporter, donna curiosa, dinamica,
indipendente e appassionata di editoria. In questi anni, i due si sposano in Messico (cerimonia che
non ha valore civile).
Nel 1958, la casa editrice pubblica Il Gattopardo, un nuovo grande successo che proietta
la Feltrinelli ai vertici dell’editoria mondiale. E’ una sorta di “romanzo ottocentesco fuori
tempo massimo”.
Tra la fine degli anni ’50 e gli inizi degli anni ’60 all’interno della casa editrice c’è
un’atmosfera vitale ed effervescente, di complicità e sintonia. Giangiacomo è un datore di
lavoro esigente e molto autoritario (non concepisce gli straordinari e pretende l’assoluta
puntualità dei dipendenti). Malgrado il duro lavoro, ciò che si respira è una forte vivacità
intellettuale.
A questa altezza cronologica, l’editoria rappresenta per Giangiacomo il mezzo ideale per superare
i forti contrasti che egli percepisce in se stesso.
Sono questi gli anni di uno scontro generazionale tra le redazioni di Milano e Roma. Giorgio
Bassani, capo redattore di Roma, è più puntiglioso, mentre Feltrinelli esprime il proprio acceso
desiderio di stare sul mercato. La rottura tra i due si verifica in occasione della pubblicazione di
Fratelli d’Italia, di Alberto Arbasino.
Giangiacomo entra poi in contatto con il Gruppo ’63, che si oppone alla narrativa tradizionale.
Nel sistema distributivo e di vendita, Feltrinelli s’impone in modo deciso: vi sono librerie sparse su
tutta la penisola, con direttori giovani, capaci e fedeli.
L’ultima fase della vita di Feltrinelli ha inizio con il viaggio (1959) nella Cuba di Fidel Castro
(liberata nel 1958), un paese dove la rivoluzione comunista ha avuto successo. Egli intraprese
diversi viaggi a Cuba, accompagnato dalla moglie Inge. La pubblicazione delle memorie di Castro
rappresenta però il primo insuccesso editoriale.
Tra il 1964 e il 1966, egli matura un senso d’inadeguatezza (il suo ruolo di editore non gli
sembra più soddisfacente). Vicino a Castro, si appassiona di politica e crede in un
imminente blackout nella politica italiana.
Nel 1967, Feltrinelli si reca in Bolivia per far scarcerare Régis Debray (giovane filosofo
francese, autore di Rivoluzione nella rivoluzione?).
Dopo l’arresto e la prigionia in Sud America, Feltrinelli pubblicò l’articolo Le Mie Prigioni,
che riporta le esperienze vissute in Bolivia.
Dopo il quarto matrimonio, nel 1967 Feltrinelli è il maggior propagatore della nuova
tendenza rivoluzionaria terzomondista (solidale con i popoli di Asia, Africa e America Latina)
in Italia. Fino al 1969 compie diversi viaggi in Sardegna, dove si illude di poter creare una
specie di Cuba, base per la rivoluzione in Italia. Nel 1968 fallisce il tentativo di creare un
movimento indipendentista guerrigliero con il bandito Graziano Mesina. In quello stesso
anno, la G.F. Editore pubblica in prima mondiale il Diario del Che in Bolivia (Che Guevara
era morto il 9 ottobre 1967).
Nel 1968, Feltrinelli cerca di avvicinarsi al mondo giovanile; a questo punto però si pone un
paradosso: era stato troppo giovane per la Resistenza e ora era troppo vecchio per porsi
come profeta del dissenso agli occhi del movimento studentesco. Le nuove generazioni lo
ritengono però incoerente e lo rifiutano. Il 9 aprile pubblica l’opuscolo Persiste la minaccia
di un colpo di stato in Italia, dal contenuto fortemente eversivo.
Nel 1969 c’è la caduta del governo Rumor e il timore di una svolta autoritaria a destra. Il
PCI espelle
Feltrinelli per divergenze di vedute su un eventuale uso di contromisure militari. Nell’estate
di quell’anno si verificano scioperi a raffica; lo Stato vede nell’estremismo nero una
garanzia contro il pericolo rosso. La situazione precipita a settembre, con un clima rovente
e una serie di attentati.
Viene promossa la ristrutturazione societaria di via Andegari, con Inge come
vicepresidente, per un
progressivo disimpegno (considerando che i bilanci erano in perdita durante gli anni ’60).
Il 12 dicembre 1969 si verifica l’esplosione alla Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano.
Feltrinelli ha lasciato l’Italia da una settimana; la sua partenza (o fuga, secondo alcuni)
costituisce un aggravante. Ha inizio un’operazione strumentale per inserirlo nell’inchiesta.
Giangiacomo apprende la notizia alla radio; si rifiuta di chiarire la propria posizione in una
conferenza stampa (malgrado i consigli della moglie Sibilla) e, pertanto, entra in
clandestinità. Anche dopo la revoca del provvedimento restrittivo, egli proseguì nella
latitanza.
Nel gennaio del 1970 aveva addirittura seguito un corso di guerriglia urbana (tecniche
militari e di sopravvivenza). Egli fonda i gruppi di azione partigiana (GAP) con cui
alimentare dei focolai di guerriglia nelle città).
I GAP arriveranno a collaborare con le BR; i rapporti con Renato Curcio e Alberto
Franceschini s’infittiscono nel 1971, ma il tentativo di fusione fallisce.
Nel febbraio del 1971 Federico Umberto D’Amato pubblica Feltrinelli guerriero impotente,
nel vano tentativo di far uscire Feltrinelli allo scoperto.
Nell’aprile del 1971 viene ucciso in console boliviano Quintanilla ad Amburgo: l’attentatrice
è una conoscente di Feltrinelli e l’arma del delitto era stata acquistata da lui stesso.
Risale al 6 marzo 1972 l’ultima operazione bancaria e la lettera a Inge in cui i due si danno
appuntamento a Lugano il 15 marzo. 13 ottobre 2015
I padroni dei libri – Il controllo della stampa nella prima età
moderna (Mario Infelise, Editori Laterza)
Infelise può essere considerato un innovatore, poiché pensando al controllo sulla stampa, si
pensa subito alla Roma papale; egli ha invece considerato il primato della Serenissima. Già nella
prima età moderna, anche i signori avevano capito che il controllo dei libri costituiva uno
strumento di potere fondamentale.
Nei secoli XVI e XVII, il termine censura indica un esame critico del contenuto, che non per forza
sottintende un apparato repressivo. Subito dopo la morte di Aldo Manuzio (1515), al patrizio
Andrea Navagero venne affidato il controllo preventivo su tutti i libri umanistici, nel senso di un
controllo per verificarne la correttezza testuale. Navagero era uno dei patrizi più colti, aveva
lavorato con Manuzio ed era considerato come uno dei maggiori esperti.
Con l’avvento della Riforma, il controllo censorio s’inasprisce da parte della Chiesa di Roma, ma
anche da parte del potere secolare che inizia a considerare la censura un elemento funzionale al
rafforzamento dei propri poteri.
Successivamente al Concilio di Trento si decise di accentrare i poteri del Papa; per questo, agli
editori dello stato pontificio furono concessi dei privilegi. Nasce così un altro grande polo della
stampa italiana, anche se non è semplice valutare con precisione le dimensioni di questo
spostamento del primato editoriale verso Roma.
Il primo caso fornito da Infelise è quello Apollinare Calderini: questi, un canonico ravennate,
pubblicò i Discorsi sopra la ragion di stato del Botero (1597). In quest’opera spicca una prospettiva
filo-spagnola e monarchica che non risparmia critiche al sistema politico veneziano. In quanto
repubblica, Venezia era all’epoca molto criticata, poiché considerata una forma di governo anti-
storica nei confronti delle realtà signorili italiane (controllate in larga parte dagli spagnoli). L’autore
fu subito condannato.
Un illustre intellettuale come Giambattista Leoni commentò e criticò questo scritto, sostenendo
che gli autori dovessero sempre avere una certa reverenza nei confronti delle autorità.
E’ importante sottolineare che la censura civile vuole celare le “correzioni” e i tagli alle varie opere,
quasi spinta dalla volontà di mantenere il segreto, per non generare troppa curiosità
sull’argomento.
Di pari passo, a Venezia si ebbe la statalizzazione dell’educazione: il più grande sostenitore di
questa politica fu Paolo Sarpi, sommo erudito. Una delle esigenze primarie era quello di sottrarre
il primato dell’educazione alla Compagnia dei Gesuiti (i gesuiti furono cacciati da Venezia). Nel
1517 si ebbe la chiusura del Collegio gesuitico di Padova.
Nel 1596 si ebbe la promulgazione del nuovo Indice dei libri proibiti da parte di Papa Clemente VII;
Venezia si rifiutò tuttavia di accettarlo, rendendo necessarie delle trattative. L’indice comportava
grandi privilegi per gli editori romani e l’ingerenza della Chiesa in ambito politico.
Leonardo Donà, futuro doge dell’interdetto, spiegò che Venezia non accettava l’indice per le
continue intromissioni della Chiesa in questioni di competenza ducale, non per i grandi privilegi
concessi agli editori romani.
Egli afferma: “Il principe è tutto, gli altri sono accessori”. Il potere politico laico predomina.
Roma e Venezia erano, all’epoca, acerrime rivali; inoltre, la censura romana danneggiava
enormemente il commercio della Serenissima.
Dopo il concordato tra Roma e Venezia, quest’ultima concesse che entro i suoi confini fosse
introdotto l’Indice. Venezia chiese inoltre che ogni copia dell’Indice presentasse in allegato anche
una copia del concordato, il che era inaccettabile per Roma, che si sarebbe dimostrata debole. Il
pontefice accettò infine la pubblicazione di 150 copie del concordato. La resistenza veneziana al
pontefice comportò grandissima tensione (resistere al Papa durante la Controriforma era un atto
estremamente rischioso e imperscrutabile).
Nel 1606, dopo l’arresto di due religiosi da parte del Consiglio dei Dieci, Papa Paolo V colse
l’evento come pretesto per punire Venezia e scagliò un interdetto sulla Repubblica (revocato
l’anno successivo): la scomunica dell’intero stato veneziano costituì una delle più profonde fratture
nella storia d’Italia, un paese sostanzialmente dall’unitaria fede cattolica. Questa scomunica
colpiva, oltre alle autorità politiche, tutti i cittadini: non era più possibile tenere delle cerimonie
religiose o amministrare i sacramenti. La parte fondamentale della vita delle persone veniva meno;
in un’altra epoca, un evento simile avrebbe comportato grandi conflitti e immani spargimenti di
sangue, ma grazie al genio di Paolo Sarpi questo conflitto fu combattuto sulla carta.
Con l’Interdetto, la riottosità di Venezia nei confronti di Roma venne placandosi. In questo periodo,
la Repubblica permise la pubblicazione di testi che esaltavano visioni politiche diverse dalla sua. Il
controllo delle opere in favore dello Stato veneto fu affidato a sette teologi, i quali dovevano
rendere gli scritti accettabili agli occhi dell’inquisitore. Con la revoca dell’Interdetto, Venezia cercò
di riaffermare la forza del potere secolare. Nel 1609, Giovanni Sozomeno fu designato revisore
alle dogane: malgrado nell’Italia del 1600 in pochi osassero pronunciarsi contro il papa, il
proliferare della Riforma in Europa rendeva indispensabile un controllo capillare sulle opere
provenienti dall’estero. In questo periodo, con Sozomeno, Venezia fu volutamente lasciva e
permissiva nella sua opera di controllo. L’indice laico cui egli faceva riferimento (mai scritto) non
era affatto un criterio autorevole.
Sarpi dichiarò che il governo veneziano non dovesse rendersi incoerente, approvando dei testi
non accettabili, e per questo introdusse la formula superiorum permissu (con il permesso del
superiore).
In questo periodo si registrò una grande fuoriuscita di tipografi dalla Repubblica.
Nel 1615 si ebbe l’ultimo tentativo di arginare il controllo di Roma quando i Riformatori dello studio
di Padova eliminarono la menzione dell’Inquisitore romano dai documenti.
Il bilancio che si può trarre da questi anni travagliati è che Venezia tenne un comportamento molto
ambiguo (non prevale sempre una sola autorità). Si ritiene che all’epoca Venezia fosse una sorta
di roccaforte del laicismo e dell’antipapismo italiani (argomento cui fece spesso riferimento anche
la storiografia risorgimentale).
Nel decennio centrale del XVI secolo, la produzione di opere a Venezia risulta ben maggiore
rispetto a quella registrata verso la fine del secolo (si passa dal 53% al 32% rispetto al totale delle
opere prodotte complessivamente tra Roma e Venezia). Venezia aveva bisogno di dare voce alle
letture filo-veneziane; per questo, ricorrendo a diversi espedienti, la Repubblica diede vita a una
vera e propria produzione clandestina di opere in difesa della giurisdizione secolare, ma anche di
contenuto filocuriale. Figura chiave di quest’attività clandestina fu Roberto Meietti; questi,
segretamente, importava dei testi proibiti che trovavano un proprio mercato soprattutto tra i patrizi.
Dopo diversi anni in cui si dedicò a quest’attività, segretamente in accordo con le autorità
veneziane, Meietti fu colpito da scomunica. Egli riuscì a far revocare il provvedimento
sottomettendosi al papa.
Altra figura chiave fu Fulgenzo Micanzio, allievo di Sarpi: questi decise di pubblicare i Moral
Essays di Francis Bacon. Non potendo pubblicare un testo che congiunge fede e superstizione,
Micanzio lo commissiona a Londra, dove però l’opera è censita da Tobey Matthew, collaboratore
del Cardinal Bellarmino. Il nome di Bacon e tutte le parti relative all’ateismo e alla superstizioni
furono eliminate.
Infelise dedica un capitolo a Sarpi: questi destò molto interesse, tanto in vita quanto in morte
(come grande nemico della Chiesa, in quanto schierato in opposizione alle ingerenze papali). Nel
1623, il Senato veneziano deliberò la costruzione di un monumento a lui dedicato, che però non fu
mai complicato a causa dell’opposizione da parte della Sede Apostolica. “Che il passato non si
ricordi e cada nell’oblivione”. A partire dal 1625, dopo aver eliminato ogni testimonianza di Sarpi,
iniziò a lasciare che i suoi scritti cadessero da soli nell’oblio, evitando di confutarli apertamente
(poiché la cancellazione implica comunque una forma di citazione). Emblematico fu il caso del
saggio Sopra l’officio dell’Inquisizione e della Risposta all’historia della sacra Inquisizione.
Nella seconda metà del XVII secolo, gli scritti di Sarpi ebbero ampia eco in Europa; il pontefice
commissionò al cardinale Sforza Pallavicini la stesura dell’opera Istoria del Concilio di Trento, in
risposta allo scritto di Sarpi (testo firmato da Sarpi con uno pseudonimo; ciò offrì a Pallavicini
l’occasione per provocare la Repubblica, poiché egli sostenne di voler confutare la visione del
Concilio proposta da qualcuno che con Venezia non centrava).
Il fatto che le tre opere principali di Sarpi furono tutte pubblicate clandestinamente fornisce un
eloquente testimonianza riguardo il controllo censorio di Venezia nel corso del Seicento. Verso la
fine del ‘600, molti testi sarpiani prodotti in Svizzera giunsero in Italia (trovando l’opposizione non
tanto delle autorità, quanto degli scrupoli degli stessi fedeli).
In conclusione, si può sostenere che con il finire del XVII secolo il controllo censorio veneziano
venga progressivamente a mancare.
Il repertorio d’incunaboli
La maggiore quantità di studi bibliografici si è incentrata sugli incunaboli. Il termine incunabulum
(nella culla, per indicare i libri appena nati, stampati in latino) è stato coniato da un tipografo
olandese nel 1638. Verso la metà del Seicento inizia ad esserci la consapevolezza riguardo la
presenza di libri a stampa diversi da quelli già in circolazione. Ci vuole però molto tempo affinché il
distacco si faccia evidente. Si viene a percepire anche la differenza materiale di questi libri;
lentamente si mette a punto un metodo di descrizione di questi libri, molto simile a quello della
descrizione dei manoscritti. Si sviluppò una scienza bibliotecaria (catalogazione) che serve a
descrivere questi oggetti librari molto particolari, ovvero i manoscritti e gli incunaboli (che sono i
testi prodotti nei primi decenni in Europa).
Un metodo di descrizione del libro nato per l’incunabolo, estesosi poi a tutta la produzione libraria
è
La lunga storia dell’incunabolistica prende le mosse in Germania sul finire del Settecento, per
poi svilupparsi nel tempo. Il metodo standard di descrizione degli incunaboli è stato fissato nel
1904, alla nascita di un repertorio d’incunaboli chiamato G.W. Tutto il Novecento è percorso dallo
studio approfondito degli incunaboli. Tra i più importanti cataloghi figura quella della British Library,
la più grande collezione al mondo. Vi sono poi i cataloghi collettivi delle biblioteche del Belgio e
degli Stati Uniti; tra questi vi è anche il repertorio degli incunaboli italiani (indicato dalla sigla IGI),
iniziato a pubblicare nel 1943 e chiuso, con un ultimo volume di aggiunte e correzione, nel 1987.
L’IGI è un catalogo collettivo che venne redatto con una forma di descrizione breve (solitamente, i
cataloghi riportano i riferimenti agli incunaboli precedenti).
L’incunabolistica rivestiva una funzione essenziale prima dell’avvento di Internet. Con le reti
telematiche, si è iniziato a produrre dei repertori che includessero tutti i repertori incunabolistici
esistenti. Grazie alla presenza di moltissimi repertori di alto livello e a ingenti finanziamenti, ciò è
stato possibile. All’interno di questa grande operazione, cui tutti i paesi europei hanno aderito, è
compreso anche l’indice l’IGI, con un grande ampliamento (visto che il primo era stato pubblicato
nel 1943, quando la collaborazione tra le varie biblioteche era molto difficile). Tutte le biblioteche
che non avevano un personale adatto a catalogare gli incunaboli si limitavano a spedirli a Roma;
tuttavia, poiché la maggior parte di essi erano conservati in biblioteche che non erano state
restaurate, molti incunaboli giungevano a Roma con le legature originali (le quali, poiché rovinate,
furono buttate). Si persero moltissime legature e, con esse, le informazioni in esse contenute.
Operazioni del genere non sono state condotte solamente in Italia, ma anche in svariati altri paesi
(come l’Inghilterra). Questa campagna ebbe inizio negli anni ’40.
ISTC: Incunabola short title catalogue; è il database internazionale delle stampe europee
del XV secolo, creato dalla British Library con i contributi da parte delle istituzioni di tutto il
mondo.
Title: Biblia Latina
Imprint: [Mainz: Printer of the 42-line Bible (Johann Gutenberg) and Johannes Fust, about
1455].
Format: f° (in folio)
14 ottobre 2015
ISTC: nel database vi sono diversi filtri da applicare alla ricerca, come ad esempio il luogo
di stampa, il formato, la lingua o l’anno di pubblicazione.
La possibilità di avere le riproduzioni digitalizzate integrali degli incunaboli si è avuta solo
recentemente, grazie ai fondi e ai finanziamenti a disposizione.
L’importanza della digitalizzazione è fondamentale; il database non fornisce unicamente
delle notizie bibliografiche, ma la vera e propria riproduzione degli incunaboli. Quest’opera
di digitalizzazione ha però enormi costi e comporta inoltre una certa complessità nella
conservazione di meta-dati. Inoltre, quest’attività si scontra con le attuali leggi di copyright,
per questo la digitalizzazione è attuata unicamente per le opere antiche.
Oltre all’ISTC c’è anche il Gesamkatalog der Wiegendrucke (G.W.): non è l’indicizzazione
di cataloghi preesistenti, ma il primo catalogo di tutti gli incunaboli presenti al mondo, che
offre una completa descrizione di ogni edizione incunabola nota. Iniziato nel 1904, a
Berlino, come lavoro di una commissione di bibliotecari studiosi, iniziò a essere pubblicato
nel 1925; tutte le biblioteche più importanti possiedo le prime edizioni del Gesamkatalog.
Per la sola lettera H sono stati necessari ben 20 anni di lavoro. La lettera H comprende
infatti un grande numero di autori classici, poiché le intestazioni sono in latino (Horatius). Le
edizioni pubblicate comprendono attualmente il 50% degli autori noti.
Questa grande impresa ha conosciuto finanziamenti speciali durante l’epoca nazista; si
tratta di un’opera altamente nazionalista. I due centri maggiori sono quello francese e
quello tedesco (Berlino); la collaborazione tra i due fu spesso conflittuale, poiché inquadrata
nella secolare tradizione filologico-umanista (improntata sulla competizione) e nelle vicende
storico-politiche che dividevano i paesi.
Dopo la prima pagina di accoglienza in inglese, il resto del catalogo è redatto interamente
in lingua tedesca. Quando, consultando ISTC, si trova il collegamento ipertestuale GW, si
viene reindirizzati proprio al Gesamkatalog.
Indicizzazione: 04201 [Mainz, Drucker der 42zeilingen Bibel (GW 4201) (Johann
Gutenberg), um 1454 Typenrepertorium der Wiegendrucke: sono riportati tutti i tipi di
carattere utilizzati.
ISTC e GW oggi lavorano assieme; con un accordo scritto è stato stabilito che ISTC non
avrebbe più aggiornato la serie delle riproduzioni digitali, poiché questo incarico è stato
affidato proprio al Gesamkatalog.
Esiste anche un processo di digitalizzazione generale degli incunaboli in lingua volgare; delle oltre
18.000 digitalizzazioni oggi disponibili, 13.000-14.000 sono state fornite dalla Germania. Questo
progetto non ha tuttavia avuto un grande successo, sia per la scarsa partecipazione sia per la
difficoltà nel reperire i testi in volgare dalle varie librerie (spesso dovendo chiedere in prestito delle
copie uniche a degli istituti che hanno anche preteso dei pagamenti). Molte di queste edizioni non
erano neanche catalogate, poiché gli esemplari reperiti spesso erano rimasti nelle biblioteche
senza poter essere mai registrati.
L’Italia risulta però assente da questo processo di digitalizzazione, malgrado sia uno dei principali
centri di produzione e conservazione degli incunaboli. Molto più attiva risulta la Spagna,
nonostante la sua produzione incunabolistica limitata: essa ha iniziato a inserirsi per tempo in
questo processo, ma le digitalizzazioni di produzione spagnola non forniscono degli esemplari ad
alta risoluzione (sono digitalizzazioni di microfilm). Proprio perché il campo cui si limita la ricerca è
quello degli incunaboli in volgare, il numero di quelli fiorentini e di quelli veneziani è praticamente
pari (poiché Venezia diede vita a una produzione imponente e Firenze si specializzò in questo
genere). 15 ottobre 2015
I privilegi di stampa
I privilegi attribuiti agli stampatori proibivano di stampare determinati testi, d’importare quello
stesso testo altrove nello Stato che aveva concesso il privilegio o venderlo ad altri librai.
Il privilegio ha però dei limiti: esso era limitato nel tempo (periodo considerato idoneo per vendere
le copie stampate e recuperare il capitale) poiché gli stati volevano tutelare sia gli stampatori che
gli autori. Fino al 1550, il privilegio aveva durata di 10 anni; dopo questa data, era consuetudine
prolungare questo periodo.
Uno dei fattori con cui calcolare il tempo necessario alla vendita dei libri stava nella natura stessa
dei testi: chi stampa un calendario richiede un periodo di un anno, ad esempio. Le opere in più
volumi potevano richiedere un tempo superiore ai 10 anni, sia per i maggiori tempi di produzione e
per le più elevate spese che per il mercato ristretto cui questi scritti erano destinati (un libro più
costoso ha ben pochi acquirenti, il che comporta dei tempi di vendita più lunghi). Un altro caso era
quello dei testi in lingue straniere, che richiedevano l’acquisto di caratteri particolari (costi elevati):
in questo caso, la durata del privilegio arrivava anche a 25 anni.
Esistono anche i privilegi vita natural durante, validi fino alla morte del titolare: celebre caso è
quello di Ludovico Ariosto (privilegio concesso per l’Orlando furioso del 1516). Questi privilegi
venivano concessi probabilmente a quelle persone che avevano una certa influenza e delle
conoscenze nel panorama politico e culturale dell’epoca (aventi una sorta di raccomandazione);
sicuramente, questo è il caso dell’Ariosto. Si tratta comunque di privilegi estremamente rari. Infatti,
essi finivano per creare un monopolio: gli stampatori avevano il controllo su un’opera.
Concedendoli a molte persone avrebbe comportato una paralisi del mercato (non c’erano margini
per la concorrenza).
Il privilegio ha anche un limite territoriale, che s’identifica con i confini territoriali dello stato che lo
concede. Roma costituisce però un’eccezione, poiché l’estensione territoriale andava oltre la città
e i confini dello Stato della Chiesa, comprendendo tutte le regioni sottoposte al dominio della curia
romana. Ciò indispettiva chiaramente i governi degli altri stati. Solitamente, s’invocava il privilegio
papale dinanzi a una temibile concorrenza (come misura estrema).
I privilegi potevano essere superati richiedendone alle autorità di diversi stati e domini.
Il privilegio si esprimeva tramite il brevetto (o lettera patente): si tratta di atti, in cui in via di grazia
o di favore, si concedeva quanto veniva richiesto.
Quanto al testo, l’indicazione del contenuto del privilegio era ottenuto mediante una breve
descrizione, in genere ricalcata dalla supplica fatta dallo stampatore o dall’autore. Il privilegio
contiene le generalità del richiedente, la descrizione dell’oggetto della richiesta, la motivazione del
privilegio (ovvero ciò che determina la sua durata) e le pene previste per eventuali trasgressori.
Il privilegio poteva essere richiesto per una o più opere (che dovevano essere nuove o inedite,
almeno dopo la pubblicazione di determinate leggi) o per delle innovazioni tecniche impiegate
nell’ambito tipografico (come la serie di caratteri usati da Aldo Manuzio per la realizzazione delle
opere in greco). Si cita ad esempio il caso di Ottaviano dei Petrucci da Fossombrone, il quale
realizzò un nuovo metodo per stampare il canto figurato.
Questi privilegi potevano essere richiesti da diverse persone; essi infatti si dividono in
commerciali, industriali o letterari. A volte, dei privilegi possono riguardare più di una categoria,
oppure a richiederli può essere un commerciante che è anche un letterato.
Quelli commerciali erano richiesti a tutela di un’opera, o di un gruppo di opere, ed erano concessi
agli stampatori, ai loro eredi, ai librai e ai possessori di opere inedite. Quelli industriali
proteggevano invenzioni e tecnologie dell’ambito tipografico; tali privilegi proteggevano sia i mezzi
tecnici usati che le opere realizzate con essi. I concorrenti potevano stampare le opere protette da
privilegio, a patto di utilizzare strumenti di produzione diversi. Quelli letterari sono rilasciati agli
autori, per proteggere il loro interesse economico mediante la facoltà di scelta dello stampatore cui
affidare l’opera. Egli sceglieva uno stampatore e nessun’altro poteva stampare la sua opera senza
il suo consenso. Ciò non comportava il riconoscimento del diritto di proprietà sulle opere,
garantendo invece la facoltà esclusiva dell’autore di far stampare e vendere l’opera. Il privilegio
letterario è pertanto diverso dal diritto d’autore.
La protezione dell’opera letteraria da parte degli autori dipendeva sia dalla necessità di assicurarsi
i potenziali profitti che dal desiderio di preservare l’integrità del testo. L’aspetto dell’integrità è
legato agli autori contemporanei: chi stampava opere di autori antichi (ormai scomparsi), poteva
modificare il testo (a suo rischio).
I principali motivi per richiedere il privilegio erano:
la tutela del capitale investito,
la protezione dalla concorrenza e dalla contraffazione,
il controllo sulla qualità e correttezza del testo,
la divulgazione di un’opera (poiché il privilegio è sinonimo di elevata qualità di un’opera).
Pene previste per i trasgressori:
sanzioni pecuniarie, il cui ricavato era diviso in tre parti (per l’accusatore, tenuto segreto,
per il supplicante, titolare del privilegio, per la magistratura competente, o vari enti benefici),
confisca delle opere contraffatte o detenute illecitamente, la loro distruzione,
la detenzione o l’esilio (caso raro) e la scomunica.
Queste misure estreme erano pene richieste a volte dagli autori stessi, per disincentivare la
contraffazione e preservare così la propria reputazione. La contraffazione comportava la creazione
di prodotti alterati e andava a danneggiare la forma e i contenuti delle opere, danneggiando
l’autore stesso.
Pur essendo nominativo, il privilegio poteva essere ceduto a terzi mediante dono, eredità o
vendita; ottenere un privilegio aveva anche un prezzo, pertanto non è insolito che in caso di
impossibilità di realizzare le opere sottoposte a tutela legale, la patente fosse venduta. Il primo
stato che si occupò di creare una legislazione stabile relativa ai privilegi fu la Repubblica di
Venezia. Il sistema normativo introdotto a Venezia sarebbe poi stato esportato in altri stati italiani
ed europei.
Come notificare il privilegio (rendere noto il fatto di aver ottenuto il privilegio): in punti strategici
della città venivano affissi dei manifesti; poteva anche esserci uno scambio d’informazioni tra i vari
stampatori (tramite lettere o per via orale). Il modo più evidente per rendere noto un privilegio era
pubblicarlo sul documento cui esso faceva riferimento.
La notifica presentava diverse forme:
poteva essere scritta in forma sintetica o integrale (quest’ultimo caso non è ricorrente), in
lingua italiana o latina.
Tuttavia, il privilegio non aveva alcun interesse pubblico, poiché proteggeva degli interessi privati
(l’unico ad avere un interesse alla notifica del privilegio era proprio lo scrittore).
Riguardo la scelta della lingua, essa dipendeva dal tipo di mercato in cui si voleva immettere
l’opera pubblicata: i testi che presentano una notifica in latino sono solitamente scritti in latino
(inoltre, la notifica in latino esalta la qualità dell’opera stessa). La notifica del privilegio sul libro
non era indirizzata solo alla concorrenza, ma anche agli acquirenti, poiché essa era indice di
qualità. I potenziali destinatari della notifica sarebbero quindi gli acquirenti stessi.
Inizialmente, le notifiche si trovavano sul colofon; successivamente, esse iniziarono a essere
stampate anche sul frontespizio.
Il primo privilegio è stato concesso nel 1469 a un tipografo tedesco, Giovanni da Spira : egli giunse
a Venezia nel 1469 e vi introdusse l’arte della stampa tipografica. Egli ottenne il privilegio pro
arte introducenda (per aver introdotto l’arte della stampa a Venezia), una sorta di brevetto.
Questo beneficio vietava a chiunque altro di praticare l’attività di stampatore. Tuttavia, Giovanni da
Spira morì poco tempo dopo, invalidando il suo privilegio (Venezia non avrebbe più concesso
privilegi simili). Questi provvedimenti sarebbero poi stati presi a esempio dagli altri stati, italiani ed
europei. 20 ottobre 2015
La stampa veneziana
Carta di Venezia di Jacopo de' Barbari, abbiamo una visione a volo d'uccello: dal punto di vista
fisico è la composizione di vari fogli stampati, ma ciò che è straordinario è il dettaglio e la
precisione perfetta di tale mappa. Tale mappa è la madre di tutte le visioni di città; le conoscenze
geografiche erano quelle del potere.
A Venezia la tipografia è feconda ed ampia: in questa città abbiamo una produzione intensa di
commercio del libro prima dell'arrivo della stampa tipografica.
Esistono tracce di stampa silografica fin dalla fine del '300, sappiamo che vi fossero immagini
silografiche di Santa Caterina da Siena, essa era oggetto di una devozione molto diffusa. Nel
1396 queste immagini della Santa vengono prodotte in vasta quantità. Vengono prodotti inoltre i
Salteri per fanciulli, essi sono brevi testi dove sono elencate tutte le lettere dell'alfabeto e poi
composte in una breve preghiera. Nel '400 la produzione silografica è protagonista grazie alle
carte da gioco. Tale produzione, però, è locale per diffusione e distribuzione, non esce da altre
produzioni artigianali che all'epoca erano comuni.
Emerge, con la stampa tipografica, una imprenditorialità che ha bisogno di pensare non solo ad un
mercato locale, ma anche nazionale. L'introduzione della stampa a Venezia vede come
protagonista Giovanni da Spira che, nel 1469, otterà il primo privilegio quinquennale per la
stampa in esclusiva a Venezia. La Repubblica glielo concede a ragion veduta: il primo testo
stampato a Venezia sono le Epistole ad familiaris, la tiratura è di 300 copie.
Di questo tipografo sappiamo poco, potrebbe essere stato un collaboratore di Gutenberg, egli si
sposò a Venezia e la figlia andò in sposa ad un altro libraio tedesco.
Il privilegio quinquennale era di esclusiva assoluta: nessun altro poteva stampare in assoluto,
tale tecnica di cui Giovanni da Spira era l'introduttore, poteva essere usata soltanto da tale
tipografo.
Venezia è la città, insieme a Milano, più interessata in assoluto a nuove attività economiche:
abbiamo due aree avanzatissime e alla ricerca di nuovi centri di espansione.
A Venezia c'è un'attenzione particolarissima ad attirare coloro che hanno nuove tecniche per il
governo delle acque: pulizia dei rii e la manutenzione dell'ecosistema delle acque venete.
A coloro che si presentavano alla Repubblica veniva data l'esclusiva, ma per un periodo di tempo
limitato. La remunerazione era garantita attraverso la proibizione della produzione da parte di altri
tipografi (ius prohibendi).
Giovanni da Spira morì nel 1470 e rimase in vita suo fratello Windelino che non ereditò il privilegio:
esso è una grazia data ad un singolo e non è ereditabile. Tale grazia è fuori dalle leggi e viene
creata per un singolo.
I stampatori tedeschi trovano la centrale economico-finanziaria della stampa tedesca: il fondaco
dei tedeschi. I mercanti tedeschi vivevano in questo luogo, in esso ogni mercante aveva casa,
bottega, studio e luogo di lavoro. La parte inferiore era per l'attracco delle barche, mentre quella
superiore era riservata ai mercanti. I tedeschi erano la comunità più potente, essi dovevano stare
tutti insieme per avere vantaggi fiscali. Essi erano il terminale della via commerciale da Venezia
alla Germania: quando arrivavano tutte le navi che portavano merci care e rare dall'Oriente, i
mercanti veneziani aspettavano le merci e ne curavano l'introduzione. I mercanti tedeschi non
potevano commerciare all'interno della Repubblica, ma solo in Germania. Essi però portavano dal
Nord una serie di beni, come per esempio le pellicce.
I mercanti tedeschi sono ricchissimi ed hanno voglia di fare gli imprenditori anche a livello locale,
ciò non è possibile per le attività storiche, ma per una nuova innovazione sì.
Il fondaco dei tedeschi è anche il luogo di informazione e di scambio: non ci sarà soltanto un
imprenditore tedesco, ma un gruppo di imprenditori tedeschi che in varie formule societarie
entreranno nel mondo del libro.
Nel 1470 emergono altri due stampatori molto importanti: Giovanni da Colonia e Nicholas Jenson.
Giovanni da Colonia
E' un tipografo tedesco, egli è il primo grande imprenditore nel mondo del libro a Venezia. La
caratteristica di Venezia è che qui i tedeschi non sono solo i primi tipografi, ma anche editori: essi
danno forma al mercato libraio.
Giovanni da Colonia sposa Paola, la vedova di Giovanni da Spira. Si stabilisce così un rapporto
economico: Paola aveva a disposizione il magazzino dei libri stampati dal marito. Giovanni da
Colonia diventa il finanziatore di Windelino da Spira.
Giovanni da Colonia non era solo un mercante tedesco, egli era un personaggio molto in vista ed
era stato nominato scudiere del doge. Cesare Vecellio, Sui costumi e gli abiti di tutti gli italiani.
Gli scudieri del doge erano la sua guardia personale: essi avevano una determinata età (circa
sulla quarantina), erano in sedici e, vestiti con un mantello nero, scortavano il doge per portarlo a
Palazzo Ducale. Gli scudieri avevano una funzione precisa durante le processioni: quando si
entrava a San Marco nella chiesa vi era una certa predisposizione.
Le processioni avevano una funzione civica e servivano per far capire ai cittadini come fosse
organizzato il potere: sono una specie di costituzione esplicitata nella sequenza dei personaggi.
Esattamente come quello che accadeva durante lo sposalizio del mare.
Illustrissima signoria, ambasciatore legato, scudieri del doge: questi ultimi hanno una posizione
precisa nella processione.
Le questioni di posizione dei vari personaggi nelle processioni sono fondamentali: gli Este e i
Gonzaga si sono fatti una guerra per tutto il '500 perché nella processione papale a Roma
l'ambasciatore dell'uno doveva andare davanti all'ambasciatore dell'altro. Abbiamo una sola
lettera che ci riporta ciò, essa è stata scritta da un mercante modesto al quale Giovanni da
Colonia aveva affidato una serie di libri in modo che li vendesse in Germania.
Da tale lettera, indirizzata a Giovanni da Colonia scudiero del re, possiamo intuire tali informazioni:
la libreria di Giovanni è presso Campo San Salvador. Ci troviamo vicino a Rialto, ovvero la zona
commerciale di Venezia.
Nel quadro di Holbein intitolato The merchant Georg Gisze vediamo l'immagine del mercante:
viene rappresentato con una serie di oggetti e lettere. L'attività principale del mercante è la
corrispondenza.
Nel 2013 uno studioso ha sostenuto di aver identificato Giovanni da Colonia : il suo nome reale
era Johan Ewylre, detto anche nelle fonti tedesche, Johan van Collen. Quando noi troviamo un
nome come questo, significa che il suo nome reale è di difficile pronuncia. Tale mercante si fa
chiamare subito Giovanni da Colonia ed è per questo che era difficile capire chi fosse.
L'archivio di Colonia è stato distrutto durante la Seconda guerra mondiale, quindi non abbiamo più
nulla di tutto ciò che poteva, da Colonia, testimoniare dell'attività di Giovanni. Nel '500, inoltre,
c'era stato un grande incendio nel fondaco tedesco a Venezia.
Questo mercante è stato a Genova e a Napoli, egli commerciava pellicce e gioielli: egli, quando si
immette nel libro, si rivolgerà ad un pubblico selezionato.
Un riassunto delle notizie trovate su G.C:
nel 1468 è registrato a Colonia come un mercante della Hansa, un cartello di mercanti che
si afferma nella zona baltica, nel Nord della Germania;
nel 1471 diventa partner di Windelino da Spira;
nel 1474 sposa Paola da Spira;
nel 1476 stampa uno dei primi cataloghi a stampa di assortimento di libri a Vienna: negli
anni '70 emerge questa nuova fenomenologia caratterizzata da un listino dei prezzi;
nel 1480 crea un'associazione con Jenson, uno stampatore francese che gravitava nel
fondaco dei tedeschi.
Nel 1481 lascia Venezia e nel 1494 muore; egli torna in Germania dove finirà l'ultimo
periodo della sua vita. Paola da Spira si risposerà ancora con un altro stampatore.
Paola da Spira
Donna che è il filo rosso che tiene insieme le grandi imprese tipografiche del primo ventennio di
Venezia. Il primo marito è Antonello da Messina (non il pittore), poi sposa Giovanni da Spira, da
cui avrà Girolama e Gaspare.
Dopo il matrimonio con G.C si sposa con Reynaldus de Novimagio; questa donna va di
matrimonio in matrimonio con la sua dote, ovvero i libri.
Uno dei primissimi cataloghi, esso non è firmato da G.C, ma è stato di lui concepito: emerge un
elenco di libri di Cicerone, Plinio etc.
La lettera del 28 febbraio 1491 cita quell'uomo che è chiamato Johann van Collen, ma il suo vero
nome è Johan Ewylre.
Vediamo la rappresentazione del mercante, quadro di Gossaert intitolato Portrait of Merchant: il
mercante scrive perché è un imprenditore, egli non si sporca le mani e la sua attività non è
meccanica. Le lettere, all'epoca, erano appese ed infilate tramite un ferro.
Nicholas Jenson
Nel 1470, parallelamente all'affermarsi di Giovanni da Colonia, inizia la sua attività Nicholas
Jenson: è considerato uno dei più grandi stampatori tecnici mai esistiti. Il carattere romano tondo
di Jenson è considerato uno dei massimi esempi, esteticamente parlando, della tipografia
dell'epoca.
Prima di recarsi a Venezia, Jenson lavorava nella zecca d Parigi; egli dopo aver allargato il suo
mercato ritornò al carattere gotico: misurandosi con il diritto canonico e coi testi giuridici, tornò al
carattere gotico. Il papa gli diede un titolo nobiliare e lo nominò conte palatino: da lì si avviò la
leggenda sulla ricchezza dei nuovi stampatori.
Jenson diede in dote alle sue tre figlie seicento ducati a testa: egli era molto ricco e ciò è
dimostrato dai duemila ducati che investì nelle figlie. Alcuni finanziatori di Jenson sono dei
mercanti francesi, tedeschi ed italiani.
Saranno i banchieri Strozzi a stimolare la stampa dei libri: essi fanno stampare, da Firenze, due
testi tra cui una storia di Firenze in volgare che verrà distribuita.
Peter Ugelheimer
Peter Ugelheimer è un altro uomo d'affari da citare: egli era originario di Francoforte e possedeva
un albergo a Venezia. Egli diventa socio di Jenson e suo compare. Il diritto commerciale non
esisteva, ovvero non c'era un complesso di norme che proteggesse i soci associati gli uni dagli
altri, per questo era necessario avere una garanzia.
I mercanti di allora, che erano molto più furbi di quelli di oggi, si plasmavano gli istituti già esistenti
secondo le loro esigenze. I soci, quando hanno dei figli, decidono di scegliere l'altro socio come
compare: a quel punto veniva utilizzata la pressione sociale relativa al ruolo del padrino per
proteggersi tra soci. Il diritto veneziano riconosceva la società tra fratelli: essi, nelle famiglie,
diventavano eredi dei genitori e lasciavano l'eredità indivisa, creando così una società fraterna tra
di loro. Ugelheimer è un personaggio importante, egli sarà erede di Giovanni da Colonia e di
Jenson: egli avrà un ruolo chiave nella società del libro presso l'Italia del Nord. Ugelheimer era un
uomo molto colto, infatti ci sono rimasti alcuni libri a stampa, 16 e un manoscritto, con delle
legature lussuosissime.
In questo periodo, però, il pubblico non ha bisogno di libri a stampa: la maggior parte delle
persone usava la produzione manoscritta, era necessario creare un mercato del libro a stampa!
Nel 1473 emerge una flessione del ritmo produttivo: non si parla di bancarotta, tale visione è
esagerata poiché i tempi della produzione non sono così veloci. In questo anno si incomincia a
capire che bisogna investire nella produzione, ma anche nella distribuzione e nella vendita. I libri
vanno accompagnati ai loro lettori e questi ultimi vanno creati lentamente.
Gli stampatori non scompaiono, ma diventano più forti: emerge una ristrutturazione interna, non
una crisi.
Questi poli di produzione cercano di non entrare in concorrenza diretta: i tipografi cercano di non
stampare gli stessi titoli, però questa mancanza di competizione frontale non implica che non ci
sia concorrenza sul mercato. Padova è il principale mercato dei libri di Venezia. Nel 1476 Giovanni
da Colonia è già compare del bidello di Padova, ovvero del libraio dell'università.
Giovanni da Colonia ha un rapporto con tale bidellus tedesco e gli dà molti libri da vendere:
abbiamo un documento in cui G.C è creditore di 129 ducati. Il bidello continuava a vendere i libri,
ma non dava a G.C i soldi pattuiti.
Qualche anno dopo G.C nomina a Colonia un rappresentante che cura le vendite solo dei suoi
libri, poiché non si fida più del bidello. Negli stessi anni Jenson ha un suo rappresentante a
Padova, egli è un italiano e diventa stampatore a Venezia.
Nel 1474 Giovanni da Colonia ha un altro tipo di rapporto giuridico instaurato con dei grossisti: egli
agisce come grossista perché deve diffondere i testi, allora a Pavia prende due persone e dà loro
un salario. G.C dà un salario di 22 ducati d'oro a tali soggetti che sono incaricati a vendere a
Pavia.
Jensono aveva addirittura una sua bottega a Pavia: vi era una vera e propria esportazione dei
libri. Quando il gestore della bottega muore, Jenson conta di avere nella bottega 500 ducati di libri:
gli eredi del gestore li rubano.
In quei casi si dovevano coinvolgere gli ambasciatori per difendere gli interessi dei mercanti: c'era
una sorta di principio di reciprocità.
Giovanni da Colonia e Jenson decidono di unirsi, essi facevano parte della scuola piccola di
Venezia. Nel 1479 nasce La compagnia di Venezia. ttobre 2015
21
11 novembre: dott.ssa da Ca' Foscari;
26 novembre: fine corso;
10 dicembre: primo appello;
A Venezia la stampa viene subito impostata da stranieri: N icholas Jenson, anche se francese,
gravita sempre intorno ai mercanti tedeschi. I mercanti avevano un grande capitale che volevano
investire localmente: l'attività tipografica era un terreno vergine.
I loro lavori erano qualitativamente ottimi: carta, inchiostro e metalli erano di buona fattura. La
differenza enorme tra gli incunaboli italiani e quelli tedeschi è dovuta al fatto che la carta italiana
fosse qualitativamente superiore.
Nessuno stampava, in tutto il mondo, con tale carattere: incomincia una nuova estetica,
abbandonata da Jenson quando inizierà a stampare molti testi giuridici. Il gotico dei testi giuridici
italiani è molto più tondeggiante rispetto a quello tedesco.
Il mercato del libro, a Venezia, è internazionale grazie ai mercanti stranieri: essi dominavano le
tecniche del commercio a lungo raggio. Sono stati studiati testi risalenti alle zone della Baviera: i
libri a stampa erano comprati da mercanti tedeschi e ciò cambia il volto delle biblioteche
conventuali tedesche. Bettina Wagner ha studiato gli inventari di queste biblioteche.
Sulla scia del successo degli stampatori/mercanti/editori Venezia incomincia ad avere un grande
mercato: i testi stampati avevano storia e passato, erano classici, ma non solo nell'ambito della
letteratura antica.
Lowry, nel suo testo, taccia gli stampatori come conservatori: questo è falso! La stampa era ad
alti investimenti, i libri erano mercanzia di lusso per un pubblico selezionato e ricercato. Lo scopo
è quello di stampare libri che siano venduti per cinquanta anni e che siano pensati per lettori
professionisti.
L'ambito testuale comprende:
testi latini;
testi greci in minima parte;
testi religiosi;
testi in volgare fin dalle origini;
Il grande filone che sorregge la stampa a Venezia è quello dei libri giuridici: essi si irradiano
dall'Italia al resto del mondo. La classe di coloro che li usa è caratterizzata da professionisti ricchi
e studenti; la produzione di tali testi si giustifica nella sua produzione grazie alla presenza di
manoscritti. La stampa pretende un antigrafo, è un modo diverso di copiare un testo.
Anche a Bologna vennero stampati molti testi giuridici, ma scarseggiavano i capitali. Venezia
aveva la capacità economica per vendere questi libri in tutta Europa.
Giovanni da Colonia e Jenson, come abbiamo già detto, diventarono soci e poi incominciarono a
firmare libri insieme. Questa è la prima grande fusione editoriale italiana che viene poi chiamata la
Grande compagnia. In un solo anno di attività, avvalendosi di torchi tedeschi, la società produsse
venti edizioni in folio.
Oltre alla firma G.C e Jenson abbiamo un marchio editoriale e non una marca tipografica: i
tipografi sono degli artigiani su committenza, non devono marchiare le loro merci. Il marchio serve
per distinguere la propria merce. Vediamo il tipico marchio di fondaco, esso è esclusivamente
grafico: vediamo un globo, a volte può essere un'altra figura circolare, con sopra una doppia croce
ed un puntino sottostante. Il marchio è in campo rosso, mentre i libri sono stampati in nero.
Nel momento in cui viene creata la compagnia, i due investono un capitale di merce: G.C aveva
contribuito con 5000 ducati di libri. In questo periodo i libri costavano molto, soprattutto perché i
manoscritti erano ancora molto usati. Un libro costava circa 1 ducato.
La compagnia, proprio come ragione sociale, rimane in vita per decenni: gli eredi e i personaggi
minori rimangono sulla scena del mercato libraio ed agisco per nome della compagnia per
moltissimo tempo.
La morte di Jenson e la partenza di G.C resero questa impresa un esempio: il mercato viene
preso in mano dagli italiani ed iniziano ad affiorare delle aziende con delle caratteristiche simili alla
grande compagnia.
Nel 1482, un anno e mezzo dalla fine di tale società, una parte del materiale tipografico di Jenson
viene ceduto ad Andrea Torresani, il principale socio di Aldo Manuzio.
Paola e Girolama, matrimonio dopo matrimonio, con le loro doti, perpetuavano gli interessi comuni
di tale gruppo, li consolidavano e ponevano in essere una continuità di questo gruppo aziendale
con una irradiazione di tutte le sue attività. Le donne erano impiegate a mantenere stabilmente i
rapporti tra i protagonisti di questa grande impresa.
L'attività dei librai e dei distributori non è testimoniata nell'Archivio di Stato di VE, ma affiora negli
archivi notarili di tutte le città in cui i mercanti tedeschi sono stati attivi. La grande compagnia è la
prima ad elaborare un modello di distribuzione del libro, una sorta di modus operandi che sarà
seguito da tutti i grandi librai che avranno una gittata commerciale simile.
I tedeschi rimangono attivi nel commercio libraio italiano molto più a lungo di quanto la loro firma
rimanga sul Colophon.
Un altro personaggio importante sarà Bernardino Stagnino: sarà capostipite dei Giolito, egli è
talmente vicino ai tipografi della compagnia da diventarne il genero. Egli sarà uno stampatore
molto noto a Venezia e sarà legato con un ruolo giuridico a Girolama.
Da questo gruppo di mercanti si irradiano i primi grandi stampatori italiani che imparano dai
tedeschi.
Peter Ugelheimer era molto presente alla fiere di Francoforte: gli stampatori esteri erano
registrati, questo viaggio era molto importante e la fiera si svolgeva due volte all'anno. P.U si
occupa della irradiazione da Francoforte: ha attività in Austria, Ungheria e corrispondenti. Di tutte
queste città in cui è attivo, P.U sceglie di stabilirsi a Milano: vi si insedia nel 1485 e detta
testamento nel 1487. P.U si muove largamente in Lombardia e ciò è testimoniato da tanti
documenti: ha a Mantova un debitore di 620 ducati, mentre a Bergamo si appoggia a Jacopo da
Balsemo, un miniatore che vende i libri della compagnia. A Milano P.U fa un accordo con una
compagnia di mercanti: cede i suoi libri ai mercanti perchè li distribuiscano a Milano e Genova.
Egli li concede in esclusiva. Notiamo un attivismo continuo e la necessità di capire, in ogni centro,
quali siano le persone di cui si possa fidare.
L'innovazione massima viene raggiunta da P.U in Toscana: aveva stabilito una rete di librai
rivenditori che si configurava come una rete fissa di botteghe. La Toscana è una delle regioni più
ricche d'Italia e, per questo, Venezia deve essere presente con i suoi testi.
Ma come giungevano le merci da Venezia alla Toscana? La compagnia agiva come società di
grossisti e vendeva anche libri stampati da altri stampatori. Come compagnia i soci agivano nei
confronti dei venditori al dettaglio e li rifornivano di libri da vendere. L'esistenza di una rete di
vendite si scopre nel 1484, quando P.U decide di disfarsene. P.U decide di alleggerirsi di questo
grande peso e vende l'intera rete. Il documento, sottoscritto a Venezia, segnala la vendita della
serie di botteghe ad una nuova società, costruita da due italiani.
" I libri, compresi di debiti e crediti, presenti nella rete delle botteghe appartenenti direttamente e a
pieno titolo alla Grande compagnia di Giovanni da Colonia e Nicholas Jensen, vengono lasciati a
Ugolino da Fabriano e Giovanpietro Bonomini da Cremona."
Ugolino da Fabriano: apparteneva ad una ricca casata di Fabriano ed aveva rivestito importanti
cariche per la città.
Giovanpietro Bonomini: apparteneva ad una famiglia di mercanti cremonesi, egli aveva avuto
numerosi affari con la compagnia. Nel 1482 aveva comprato 251 copie di una stampa ed era stato
agente della compagnia.
E' impressionante quanto siano legate tali librerie alla società veneziana. In alcune città le librerie
erano state create ex novo, anche il personale che le gestiva proveniva da Venezia; in altre realtà,
invece, si era preferito accordarsi con un cartolaio e chiedergli di introdurre il libro a stampa nella
sua merce.
I gestori di tali botteghe erano dipendenti salariati: probabilmente, per vincere le resistenze dei
cartolai, le compagnie pagavano questi personaggi. Per un primo stadio la compagnia di Venezia
stipula dei contratti come dipendenti con i suoi collaboratori, soprattutto a Pisa, Siena e Perugia.
Abbiamo la documentazione relativa al passaggio della bottega di Perugia alla nuova società di
U.F e G.B. Avviene l'apertura della bottega grazie a Francesco Gaffuri, forse parente del musicista
Gaffuri da Lodi. Abbiamo un contratto con un libraio proveniente da Venezia: egli è di origine
francese e si chiama Lorenzo Berot. Dopo la stipulazione del contratto, Berot viene nominato
factor, una sorta di manager che risponde ai datori di lavoro, e avrà un salario di 45 ducati d'oro
all'anno.
Berot tiene aperta la bottega, non vende a prezzi più bassi della compagnia e non vende libri che
non siano della compagnia. Le erogazioni di denaro sono appoggiate ad una banca e nei mesi
successivi Berot si arricchisce notevolmente: incomincia ad essere chiamato impressore. Egli
decide di stampare. L.B non correva alcun rischio, per cui, per guadagnare, aveva deciso di
stampare alcuni testi; ciò nonostante chiede di cambiare tipo di contratto. L'affare dei libri è
talmente redditizio che Berot chiede di non essere pagato come un salariato, ma a commissione.
Questo mutamento sarà nel segno della nuova proprietà: nel 1484 riceve la visita di U.F e G.B.,
essi sono contenti del lavoro di Berot e vogliono mantenerlo nel ruolo di dipendente.
Berot chiede di non avere l'obbligo di vendere i libri a prezzo fisso: vorrebbe vendere i libri al
prezzo che riterrà più opportuno, egli ha compreso che il mercato è qualcosa di più di un prezzo
fisso, soprattutto per una merce che ha successo. Berot ha compreso che occorre una
negoziazione a seconda della domanda e dell'offerta.
Berot, inoltre, chiede ai suoi datori di lavoro di poter rappresentare la compagnia e portare i libri da
vendere nelle due occasioni fieristiche della zona, ovvero le fiere di Recanati e di Foligno.
La rete che funzionava bene con Ugelheimer incomincia ad avere dei problemi: i due imprenditori
si trovano ad avere grandi difficoltà finanziarie e sono sommersi dai debiti, in particolare con un
mercante veneziano. Essi decidono di appianare i loro debiti con della merce: essi avevano un
debito di 3000 ducati (datio insolutum) e vendono la rete di Pisa – Siena.
La consegna dei libri avviene a Pisa nel 1488, Gerard Lof va dal cartolaio Bartolo di Fruosino e
passano di mano 730 libri. Abbiamo testimonianze del rapporto tra Lof ed il cartolaio Tommaso
Sani: Lof non è contento del cartolaio e quando va a vedere la merce di cui dovrebbe diventare il
padrone si rende conto che non può fidarsi di tale rivenditore. Egli, allora, cerca di imporre un
controllo più rigido poiché Sani ha conservato male la merce e ha reso delle copie mutile o
imperfette.
Il commercio librario faceva circolare libri in fogli sciolti, essi non erano delle unità ma pacchi di
fogli. Dalla tipografia usciva il volume sciolto e slegato, ma con i fogli in ordine. Prima del
commercio del libro a stampa, i manoscritti erano commercializzati a fascicoli, vedasi il sistema
della pecia a Bologna.
I cartolai erano abituati a commerciare libri a fascicoli, spesso non integrali: quando arrivarono i
libri a stampa, i cartolai che meno si adattavano alle nuove attività applicavano la stessa ideologia.
Essi mutilavano i testi, li rompevano, quindi i libri perdevano il loro valore.
Lof tratta con sprezzo e severità tale cartolaio: egli evidentemente non aveva capito di dover
aggiornarsi. Il cartolaio è contravvenuto ai patti ed è stato sleale poiché non ha ben conservato la
merce.
Questi modelli non valgono per l'Europa: in essa i testi si vivono nei grandi centri di produzione e
nelle fiere di Francoforte, Lione e in Spagna. Il sistema delle botteghe cittadine è italiano, anche
se inventato dai tedeschi in Italia. 22 ottobre 2015
Gli stampatori sono mobili e alla ricerca di committenza: ci sono delle colonie importanti, come
quella dei piemontesi del Monferrato (da Trino proviene anche Bernardino Stagnino e Guglielmo di
Fontaneto); da Parma provengono altri stampatori; da Forlì provengono i fratelli De Gregori, da
Milano e Como provengono i Sessa ed i Rusconi; da Firenze vengono i Giunti, una famiglia sola
che diventerà la famiglia dominante fino all'inizio del '600.
La colonia più importante, anche se non particolarmente nota come colonia, proviene dalla riviera
bresciana di Salò del lago di Garda.
La carta ha bisogno di acqua e torrenti, per questo tale località produce un'ottima carta. Dal '400 si
assiste ad una compenetrazione tra i maggiori produttori di carta e gli stampatori veneziani: questi
ultimi acquistano cartiere e diventano veri e propri imprenditori. Questa integrazione è nata come
esigenza commerciale; gli archivi di Venezia non registrano molti contratti tra stampatori e cartai. I
documenti potevano essere redatti anche a Toscolano e dovrebbero essere confluiti nell'archivio di
Brescia.
Probabilmente il cartaio dava la carta al mercante che, in cambio, forniva dei libri stampati. Chi
produce libri a stampa deve avviare un grosso investimento: è difficile pagare in anticipo i fornitori.
Il numero di stampatori a Venezia cresce, così come il volume della produzione: tra XV e XVI
secolo, i nomi che affiorano sulle edizioni, sono intorno ai 250/300. Questa è una stima
grossolana, noi possiamo ricostruire in modo parziale gli intrecci tra le varie aziende. I finanziatori
sono di diversa portata: abbiamo finanziatori simili a quelli di Ripoli, i cantastorie che con poche
lire si facevano stampare testi e i grandi mecenati. E' bene sottolineare che la produzione
tipografica non sia per tutti, il mercato evolve lentamente.
In una città come Venezia, dove abbiamo un patriziato mercantile, tutti gli agenti di questa società
sono abituati ad essere imprenditori. Nel '400 era stato evidente che molti si fossero arricchiti:
Antonio Moretto, un bresciano giunto a Venezia negli anni '70, da semplice correttore di testi ad
imprenditore. Quando muore i suoi eredi si fanno causa.
Ci sono due fasi della vita di A.M di cui siamo informati:
A.M si era dovuto assentare e aveva lasciato la casa al figlio. Egli aveva portato a casa una
prostituta e le aveva donato gioielli e anelli.
Durante la causa un testimone, nel 1519, afferma che A.M guadagnò molto bene
correggendo i libri. Egli aprì anche una bottega a Rialto e possedeva una casa in affitto.
A.M vendeva anche libri, aveva poca concorrenza.
Comporre i testi è costoso: quando tale procedura si è espletata, se la tiratura è troppo bassa non
c'è convenienza, così come è svantaggioso avere una tiratura troppo alta. Gli imprenditori
dovevano saper valutare le copie.
A Venezia le tirature diventano molto alte precocemente: nel 1471 abbiamo la tiratura di un milione
di copie da parte di Windelino da Spira. Un'alta tiratura richiede un alto finanziamento.
G.C e N.J potevano arrivare ad altissime tirature, nonostante fossero ancora nel periodo del
manoscritto. Quando Jenson viene interpellato da Girolamo Strozzi per le stampe dei fiorentini,
egli sa bene il fatto suo e gli chiede altre tirature.
Un altro mercante che investe nella stampa è Niccolò da Francoforte, nel 1478 si fa stampare una
Bibbia e chiede 930 copie. Le tirature possono arrivare ad alti numeri:
i mercanti erano capaci;
disponevano dello spazio per stoccare i fogli;
Abbiamo altri documenti: una società di due stampatori italiani, tra '90 e '91, stampa un catalogo di
opere in volgare, tra cui Il fiore di virtù (500 copie) e la Commedia (1500 copie) con il commento di
Landino.
Venezia:
abbondanza di carta e facilità di reperimento; a Firenze gli stampatori dovevano importare
la carta e pagare dei dazi;
altissimo livello dei tipografi e dei tecnici: i prodotti veneziani sono superiori rispetto a quelli
prodotti in tutto il mondo;
il sistema dei privilegi: esso è una invenzione degli stampatori veneziani. Lavorando uno
vicino all'altro, la concorrenza è durissima. La Repubblica ha interesse che gli stampatori
rimangano nella città perché sono una grande fonte di arricchimento, essi danno lavoro e
creano occupazione.
Gli stampatori, per trovare il modo di farsi concorrenza lealmente, usano un istituto antichissimo,
quello del privilegio, e lo piegano alle loro esigenze. Quando uno stampatore decide di stampare
una nuova opera mai stampata, la sua iniziativa viene proposta. Sono gli stampatori veneziani che
hanno inventato il termine concorrenza.
Gli stampatori piegano l'istituto del privilegio: quando uno stampatore pubblica un'opera nuova
può chiedere il privilegio e ottiene in cambio una garanzia temporanea di mercato protetto.
E' una protezione dell'iniziativa e dell'impresa, è una grazia concessa allo stampatore,
assolutamente non un diritto d'autore.
I privilegi erano dati dal senato veneto, ovvero dalla prima magistratura: gli stampatori chiedevano
privilegi perché così le opere stampate erano protette per dieci anni e non potevano essere
commerciate a Venezia.
La ricchezza del mondo tipografico veneziano è data dai livelli diversi dei finanziatori: c'era un
interesse verso la nuova produzione del libro. Abbiamo una descrizione del mercato del libro, essa
si trova in un dialogo latino dell'umanista friulano Marcantonio Sabellico, egli sarà il primo autore a
chiedere un privilegio. Il testo è il De latinae linguae inventionae.
La stampa dà origine ad un atteggiamento bibliofilo: è la prima possibilità, offerta ad una
popolazione più vasta, di amare il libro.
A Venezia ci si specializza su particolari tipologie di oggetti a stampa, come la stampa musicale.
Venezia è una città internazionale dove esistono mercanti di vario tipo che usano altre lingue ed
alfabeti: gli stampatori veneziani sanno rispondere alle sollecitazioni che arrivano da tali comunità.
Fin dal '400 troviamo stampe in latino, italiano, greco e glagolitico, oltre ad alcune lingue slave.
Tutto ciò culminerà con la stampa del Corano in arabo.
Mercanti- imprenditori che provengono dai paesi slavi, ove la stampa è debolissima, intraprendono
un'iniziativa chiedendo agli stampatori veneziani la produzione di libri di carattere religioso da
portare nelle loro terre. E' facile produrre tali testi a Venezia e da questa città si irradia una
produzione rivolta all'estero.
La stampa non ha a che vedere con la vita cittadina; la storia della stampa musicale non nasce a
Venezia, le prime stampe con parti musicali sono libri liturgici e sono prodotte al di là delle Alpi. La
musica, per tutto il '400, viene riprodotta solo nei libri liturgici con i neumi: sostanzialmente le
chiese si facevano stampare i corali o altri libri liturgici. Al di fuori dei corali, la musica rimase
ristretta ad alcune porzioni di libri, in particolare nelle enciclopedie. Gli stampatori potevano
completare a mano tutte le copie musicali, oppure la creazione di silografie che venivano
impiegate e incastrate nella pagina tipografica, come poi avvenne per le illustrazioni di carattere
grafico.
La stampa musicale conobbe, fin dalle origini, due diversi tipi di soluzione al problema tecnico di
produrre il testo musicale:
con l'uso di matrici silografiche e calcografiche: le intere pagine venivano create come
matrici e poi si procedeva alla stampa del testo musicale;
con un procedimento tipografico: il testo musicale veniva riprodotto tipograficamente ed i
tipi erano le note;
Dal 1490 la stampa domina il campo musicale: a Venezia abbiamo vari tecnici che si occupano di
stampa musicale, così come a Milano. Essi asseriscono di avere messo a punto delle nuove
tecniche.
Il più grande stampatore musicale del periodo è Ottaviano Petrucci: egli si reca a Venezia ed
inizia a stampare con una nuova tecnica la musica polifonica. Nel 1498 egli ottiene un privilegio
alla signoria di Venezia in cui parla della sua invenzione per la stampa del canto figurato.
Egli mette a punto un sistema di tre impressioni successive sullo stesso foglio:
prima imprimeva sul foglio il rigo musicale;
imprimeva le note alle giuste distanze;
imprimeva il testo sottostante;
Per eseguire un madrigale, per esempio, l'esecutore aveva bisogno di tali informazioni. Il tutto
veniva ottenuto con tipi metallici: il risultato era eccezionalmente chiaro ed era importante
combaciare e allineare tutti questi elementi in tre diverse impressioni. Tale sistema era molto
costoso e lento. La stampa del 1501 è conservata in un unico esemplare: questi spartiti musicali
venivano distrutti a causa dell'uso.
Un livello tecnologico elevatissimo che fu raggiunto grazie a maestranze di altissimo livello, ecco
perché da Fossombrone occorreva spostarsi a Venezia, e grandi investimenti. Il mecenate del
Petrucci è Girolamo Donà, un patrizio veneto che viene largamente celebrato nelle stampe del
Petrucci.
Dal punto di vista della storia della cultura, l'esperimento del Petrucci ha un'importanza notevole:
oltre a stampare la musica laica, emerge la presa di coscienza dell'espansione di questa musica
d'arte che, per un certo periodo, era considerata secondaria e inferiore rispetto alle altre.
Gli umanisti erano disinteressati alla musica, essa dilaga nella vita dei contemporanei e ciò lo
dimostrano gli inventari delle case dopo i decessi: anche nelle case popolari erano presenti
strumenti musicali di bassa fattura.
Il più importante stampatore del '500 è francese e si chiama Antonio Gardant, egli pubblica il
madrigale e altre forme musicali profane ad uso dei dilettanti. Questo stampatore si imparenterà
con una grossa dinasta di stampatori presenti a Venezia da tempo, sarà attivo dal '38 al '70 e
pubblicherà 371 edizioni di musica profana.
Venezia si fa riconoscere anche nel campo dell'illustrazione: un grande bibliofilo ottocentesco ha
scritto una biografia dei più importanti libri veneziani. Il procedimento tecnico è inventato insieme
alla stampa: il primo libro illustrato è stampato in Germania nel 1460. Per tutto il '400 ed il '500
verranno usate matrici di legno.
Nel 1471, a Venezia, compare il primo libro illustrato: Rattold riusciva a stampare in quattro colori.
Fino agli anni '90, però, i libri illustrati sono abbastanza rari: i miniatori disponibili sul mercato
illustravano a buon prezzo e personalizzando i testi. I libri erano dei semi-lavorati e venivano
spesso ornati da miniatori.
Quando cambia la generazione, cambiano anche i lettori: si preferiscono le illustrazioni rispetto
alle miniature. Siamo in un'epoca in cui la cultura visiva è molto raffinata.
I libri illustrati diventano una merce particolare, ciò si evince dai cataloghi dei libri in vendita e sono
definiti libri istoriati.
La predicazione religiosa, in contrapposizione, colpevolizza il senso della vista come erotico e
peccaminoso. L'edizione, tradotta in volgare, delle Metamorfosi di Ovidio, viene stampata da
Lucantonio Giunti nel 1497 ed intensamente illustrata, scatena un caso significativo. Tale edizione
era illustrata da moltissimi nudi: lo scandalo è tale che si muove perfino l'arcivescovo, e lo
stampatore si impegna a velare d'inchiostro alcune parti delle figure.
L'illustrazione è fondamentale per la medicina, la geografia, la botanica e la zoologia: si avvia il
secolo delle grandi scoperte geografiche e, nel 1543, abbiamo il primo grande trattato
sull'anatomia umana.
Un quarto delle prime edizioni scientifiche sono stampate a Venezia: emerge un impulso verso
l'affinamento delle conoscenze e il progresso.
Sarà Aldo Manuzio a dare alla stampa veneziana un prestigio unico. 27 ottobre 2015
Manutius network 2015 (6 febbraio 1515 – 2015)
Manuzio '500
E' il più grande editore mai apparso: abbiamo un sito che elenca tutte le manifestazioni
organizzate in giro per il mondo e le mostre. Abbiamo inoltre un francobollo.
Aldo Manuzio nasce nel 1449 a Bassiano (Latina), egli non è né un tecnico né un marcante, ma
un umanista. Dopo '500 anni la cultura del libro riconosce di dovere molto ad Aldo: il senso della
sua eredità ci diventa sempre più chiaro: tutte le biblioteche più importanti al mondo possiedono
edizioni aldine e dei suoi discendenti Paolo e Aldo.
Le aldine sono state oggetto di un collezionismo poco dopo la morte del Manuzio: questa
tendenza cresce nel tempo, ma ha una svolta nell'età postrivoluzionaria francese e neoclassica,
quando iniziamo a vedere non solo le più grandi collezioni che si formano, ma anche la
soppressione di alcune biblioteche. Nel mercato antiquario abbiamo molti libri antichi: l'aristocrazia
inglese, in particolare, acquisirà tali testi.
Le più grandi collezioni di edizioni aldine si trovano:
- in Italia: non abbiamo una biblioteca che abbia l'intera produzione dei tre Manuzio. Abbiamo
collezioni alla Marciana, alla Vaticana, alla Ambrosiana e alla Biblioteca nazionale di
Firenze;
- San Pietroburgo: messa insieme da un ambasciatore russo in Svezia;
- Manchester;
- Oxford;
- Cambridge;
- Los Angeles: UCLA è una biblioteca che ha iniziato a collezionare edizioni aldine a metà del
'900. Abbiamo presso tale biblioteca la più importante collezione di testi manuziani.
Le tappe degli studi Manuziani
Della prima metà dell'800 sono gli Annali di Renouard, esso è il volume più completo delle
edizioni del Manuzio che comprende anche i testi imitati. Tale libro, ancora oggi, è perfettamente
utilizzato e ricco di dati interessanti.
Nel '900 abbiamo degli studi in Italia: Ester Pastorello, grande bibliotecaria, aveva studiato a
Padova ed aveva un curriculum di codicologa, è una donna che si impone nel mondo del lavoro.
Arrivò ad essere direttrice della Biblioteca nazionale di Torino e, prima dei bombardamenti, dovette
presiedere al trasferimento del materiale in altre sedi più sicure. Ester nel '47 va in pensione: si
dedicò tutta la vita alla Repubblica Serenissima. Essa ha studiato Manuzio ed ha messo a
disposizione un enorme numero di documenti sconosciuti, rinvenuti presso l'Archivio di Stato, ma
anche attraverso la consultazione di carteggi e manoscritti.
E.P ha pubblicato due monografie sull'Epistolario dei Manuzio e un articolo fondamentale dove ha
messo a disposizione, nel 1965, i documenti su Aldo.
Il mondo di Aldo Manuzio di Martin Lowry è una monografia su Manuzio molto nota e completa.
Negli ultimi decenni del '900 abbiamo avuto importanti scoperte da parte di filologi classici ed
umanisti: in particolare il Polifilo è stato analizzato.
Il più importante catalogo pubblicato è il Murphy della UCLA.
Fondamentale è Carlo Dionisotti (1908-1998) è uno storico della letteratura italiana, egli ha una
lunghissima militanza nell'ambito della letteratura italiana del '400 e del '500. Egli è stato studioso
ed insegnante a Londra: la British Library, biblioteca nella quale si recava ogni giorno, è stata alla
base dello straordinario contributo di tale studioso.
Dionisotti ha studiato Aldo Manuzio: egli ha sentito per Aldo una affinità umana ed intellettuale, dal
suo primo studio del 1960, fino alla morte, egli ha voluto sempre occuparsi di tale stampatore.
L'ultimo libro pubblicato da Dionisotti in vita è Aldo Manuzio editore. Aldo prese tutta la cultura
greca mai stampata, ne diede una realizzazione tipografica eccellente, e fu lui a diffondere
l'umanesimo ellenistico.
Nel 1960 Dionisotti si accosta ad Aldo Manuzio perché in quegli anni sta studiando Pietro Bembo:
ad Aldo attribuisce la statura di editore umanista eccezionalmente corresponsabile della sostanza
stessa delle sue pubblicazioni. Aldo non si limita a prendere un manoscritto, ma sceglie la politica
editoriale, il catalogo dell'edizione, la veste esterna dei libri e il testo in quanto filologo. Manuzio è
un editore che ha un controllo totale della sua produzione.
Visione determinante del Dionisotti:
- Aldo viene visto come maestro e grammatico : egli era precettore di una famiglia nobile.
Dionisotti, storico della scuola umanistica e medioevale, vede in Aldo il maestro e analizza
l'inquadramento della sua attività editoriale all'interno dei rapporti tra editoria e scuola.
- Editoria manuziana pedagogica: i libri vengono pubblicati non per le esigenze del
mercato, ma per avere un messaggio e dei valori da dare.
- Il legame tra Pietro Bembo e Aldo Manuzio;
Una volta compreso il nesso tra Aldo Manuzio e la famiglia Bembo, Dionisotti ha creato un solco
che nessuno aveva visto prima.
Per Dionisotti i punti più alti di riferimento culturale di Aldo sono tre:
- Angelo Poliziano e gli studi di filologia greca esistenti in Italia;
- Pietro Bembo;
- Erasmo da Rotterdam: grande intellettuale che entrerà in contatto con un Aldo molto
maturo, e darà al Manuzio una dimensione più universale e di un messaggio umanistico
rinnovato rispetto all'umanesimo quattrocentesco italiano.
Il rapporto tra Manuzio ed Erasmo è problematico: gli studiosi si sono chiesti quanto Manuzio
potesse essere simpatizzante verso i protestanti. Sicuramente dobbiamo riconoscere che
nell'incontro tra Erasmo e Manuzio, fu il primo ad imparare di più dal secondo. Erasmo si laurea in
teologia e diventa un prolifico scrittore del '500. Erasmo chiederà sempre ai suoi stampatori di
replicare le edizioni aldine: i libri non sono solo testi, il nesso tra caratteri e impaginazione è
fondamentale.
Erasmo impara da Aldo che il libro è un prodotto e che bisogna capire come il lettore leggerà il
libro: per tutta la sua vita cercherà di riprodurre il modello di Aldo, anche falsificando le edizioni. I
suoi stampatori saranno di Basilea e Lovanio: i suoi stampatori non conoscevano il latino, ma lui
falsificherà le loro lettere di presentazione.
Noi sappiamo poco della prima parte della vita di Bembo, conosciamo il suo luogo di nascita ed il
suo cursus di studi. Aldo studiò a Roma, si interessò all'ebraico: oltre a greco e latino, era
necessario studiare la lingua ebraica. Aldo avrebbe voluto stampare una Bibbia in ebraico.
Egli fu studente universitario a Roma e fra i 30 e i 40 anni visse la vita oscura, ma non priva di
potenziale, del piccolo maestro nelle corti principesche. Aldo andò a Ferrara, dove studiò greco da
Battista Guerino, egli gli trovò un posto di lavoro presso la famiglia Pico (Mirandola) e dai Pio
(Carpi).
Aldo va dai Pio, la madre di tale famiglia era Caterina Pico, sorella di Pico della Mirandola. La
sorella rimane vedova ed ha bisogno di un maestro per i suoi figli Alberto e Lionello. Aldo li ha resi
immortali, essi hanno finanziato ampiamente le sue imprese. Egli fu il loro praeceptor
grammaticae, ma essendo loro orfani di padre e giovanissimi, hanno con lui un rapporto molto
stretto. Manuzio per Alberto e Lionello fu un padre: i giovani ebbero per lui un legame
profondissimo, gli diedero una casa attigua al grande palazzo dei signori, essa era molto più
grande di quelle del paese. Aldo fece venire a vivere con lui le sue sorelle, e si ritirò lì con la
famiglia.
Più tardi verranno donate ad Aldo delle terre, ovvero una reddita sicura. Aldo, addirittura, si
chiamerà Aldo Pio Manuzio.
Aldo doveva avere una personalità straordinaria, ben poche persone che lo incontrano non ne
vengono cambiate. La forza che lo sorregge è la straordinaria ed enorme fiducia nella cultura e nel
valore fondante della cultura greca. Egli supera l'Umanesimo latino, per giungere invece al
recupero della fondamentale cultura greca.
Quando Aldo si reca a Venezia, intorno al 1490, vuole riprodurre tipograficamente i fondamenti
della cultura e della conoscenza degli antichi. Manuzio decide di stampare esclusivamente in
greco: un campo tipografico che a Venezia era quasi del tutto scoperto, nonostante l'abbondanza
di manoscritti e studiosi greci.
Fino ad Aldo nessuno stampatore era stato un vero umanista: era contemporanea di Aldo la prima
generazione di umanisti come Poliziano e Barbaro, essi si muovevano agilmente in greco e latino.
Dal punto di vista delle prime stampe prodotte in Italia in greco sono state prodotte a Milano e
Firenze. La forza di Venezia è quella di prestarsi molto meglio di tutte queste città alla stampa in
greco, un uomo come Aldo non aveva un legame con tale città, ma la sceglie per la sua
propensione alla cultura.
Aldo aveva bisogno di capitale e di investitori: egli sapeva che molti patrizi avrebbero investito
volentieri nella stampa in greco. Egli giunge presso le case dei patrizi che lo accoglieranno come
un nobile, egli era iscritto al registro nobiliare.
Quote nella società editoriale di Aldo:
- Pier Francesco Barbarigo nobile veneziano 50%
- Andrea Torresani, stampatore 40%
- Aldo Manuzio 10%
A.M nel 1495 crea una società editoriale con Pier Barbarigo, egli era un patrizio veneziano
figlio di un doge e proprietario di cartiere.
Andrea Torresani è uno stampatore di Asola (Mantova), tale città rimarrà un polo di interesse della
famiglia Manuzio. Aldo avrà solo il 10% della società editoriale, eppure la società porterà il suo
nome. E' un caso unico che un nobile investitore voglia che il suo nome sia a capo della società.
Manuzio avrà un vantaggio dal punto di vista legale: la Repubblica di Venezia avrà sempre un
occhio di riguardo nei confronti di Aldo.
Torresani è stato fondamentale: egli era un esperto della produzione del libro e del commercio.
Egli era stato vicino a Nicholas Jenson e conosceva la trama di rapporti finanziari, tecnici e
professionali che teneva insieme il mondo del libro a Venezia.
Aldo rimane il polo intellettuale di tale impresa, anche se impara il funzionamento della produzione
del libro. Nel 1495 abbiamo la prima edizione datata di Aldo, essa è una grammatica greca di
Costantino Lascaris. Egli era il più famoso di insegnante di greco in Italia, egli insegnava a
Messina e fu insegnante di Pietro Bembo. Il giovane Bembo torna dopo un anno e ritorna a
Venezia con una edizione affinata di grammatica greca. Aldo pubblica per la prima volta, come
primo libro, la grammatica greca.
Centrale per la visione della cultura greca di Aldo non è la letteratura, ma due settori del pensiero
greco: la filosofia e la scienza. Queste sono i baluardi della cultura greca che Aldo vuole rimettere
alla luce e diffondere. Nella filosofia e nella scienza, anche per gli umanisti latini, era evidente la
supremazia dei greci: la cultura greca era superiore.
Nell'Europa contemporanea la filosofia aristotelica era alla base del pensiero filosofico e
dell'assetto della conoscenza, attraverso la sintesi del pensiero scolastico. L'Aristotele studiato in
Europa, però, era quello studiato in latino: la tradizione scolastica latina era particolarmente rigida
sul testo aristotelico.
Gli scienziati e i filosofi italiani non erano in grado di accedere al testo greco: non vi era nulla di
Aristotele, non c'era un mercato di queste opere, nonostante a Padova, Pavia e Bologna si
studiasse il pensiero aristotelico.
Esiodo, Teocrito, Esopo, erano tra i primi autori pubblicati, seguiti da Omero. La componente
letteraria e non scientifico-filosofica. All'inizio degli anni '90, quando Aldo era già a Venezia, a
Milano si pubblicano le orazioni di Isocrate. Benché i testi stampati siano soprattutto letterari, inizia
a sorgere un interesse per i testi greci.
Tra '94 e '95 Aldo inizia a stampare e nel 1491 incontra Poliziano: quest'ultimo va a Venezia e vi
giunge con Giovanni Pico. Abbiamo un appunto del Poliziano dove elenca le persone che ha
conosciuto a Venezia, dove compare Manuzio.
Ci sono una serie di preparativi impegnativi: per il carattere greco le sperimentazioni furono molto
lunghe. L'antigrafo prescelto da Aldo fu quello della scrittura dei copisti a lui contemporanei, tra i
quali si ritrovano i suoi collaboratori. Il carattere greco di Aldo, che ha avuto molti successori, è
stato tenuto come antigrafo dagli stampatori successivi. Tale carattere è difficile da leggere, era
molto meno difficile quello del de Alopa che viene cancellato da A.M.
Le varie serie di caratteri greci di Aldo rimandano ai copisti: l'ultima serie di greco era la sua
propria scrittura greca.
Prima di conoscere esattamente la formulazione della società editoriale di Manuzio, tutti gli
studiosi hanno ritenuto che l'unico finanziatore dell'impresa fosse Alberto III Pio. Egli nel '95
aveva vent'anni, era un giovane politico: egli si fece ritrarre con una edizione in mano (il dipinto è
di Bernardino Loschi).
Alberto III Pio era il discendente di una antica famiglia litigiosa, egli era rimasto orfano, ma era
stato messo in contatto con le più importanti menti umanistiche del periodo. Il suo monumento
funerario si trova al Louvre: egli è rappresentato mentre legge ed è vestito da generale romano.
Alberto farà l'ambasciatore per due potenze schierate l'una contro l'altra: prima per il Papa e poi
per il re di Francia.
Il periodo è segnato da conflitti politici violenti, alla fine di questi episodi guerreschi i principi Pio
perderanno il loro piccolo stato, che verrà inglobato dagli Estensi. Aldo ebbe su di lui un'enorme
influenza ed egli finanziò in modo massiccio l'attività del Manuzio.
La più importante edizione che apre il catalogo di Aldo è l'edizione completa delle opere di
Aristotele in greco.
NB. Et amicorum: formula usata dagli umanisti nelle note di possesso, l'amicizia è aristotelica,
ovvero di coloro che condividono gli stessi valori. 28 ottobre 2015
• Edizione dell’Aristotele aldino (1495), di Aldo Manuzio: esclusione della Retorica e della
Poesia (che non interessavano al libraio).
•
• L’allestimento del testo richiese un grandissimo sforzo (impiego di numerosi testimoni); per
motivi ignoti, a Manuzio non fu però concesso a Manuzio di consultare la donazione di Bessarione
(principale fonte per quanto riguarda la cultura classica a Venezia).
• Documento: Primo volume dell’Aristotele aldino, esemplare annotato da Gian Vincenzo
Pinelli.
• Il fatto che quest’edizione consti di 10 volumi e non di 5 (così come l’edizione originale) si
spiega considerando che i volumi interfogliati: ogni foglio presenta anche un foglio bianco, per
annotazioni, commenti e riflessioni.
• I lettori di queste grandi edizioni sono persone colte ed erudite, che studiano le opere.
• L’edizione di Aristotele è una delle opere più importanti di Manuzio; egli decise d’ispirarsi a
un carattere molto particolare e complesso. Manuzio si rivolse a Francesco Griffo, un grandissimo
incisore di caratteri. Agli inizi del Cinquecento, questi si sarebbe staccato da Manuzio poiché
convinto che il libraio gli stesse rubando la scena. Nel 1496 (all’inizio della realizzazione dell’opera
aristotelica) Manuzio richiese un privilegio per la protezione di lettere greche di summa bellezza,
oltre che per una serie di titoli che egli intendeva pubblicare. Manuzio ottenne un privilegio
ventennale dal Consiglio dei Dieci.
• La genialità e l’ambizione di Manuzio non risiedono unicamente nella volontà di ricreare
un’opera che solamente in pochi possedevano, ma anche nell’utilizzare i privilegi ai propri fini.
Manuzio decise inoltre di tutelare la propria tecnica tipografica.
•
• Alle stampe greche, Manuzio affiancò delle stampe latine (comunque in connessione con il
programma latino): molto spesso, veniva richiesta dai collaboratori dello stampatore (come
Niccolò Neoniceno) la stampa di alcune opere in particolare.
•
• Pietro Bembo: pubblicò il De Aetna assieme a Manuzio. Si tratta della descrizione
dell’Etna. Il carattere latino nell’opera è di un’eleganza straordinaria (anch’esso realizzato da
Griffo).
• Recentemente si è scoperta un’edizione di un’opera sconosciuta di Bembo, intitolata
Sogno. Essa risale al periodo antecedente la permanenza di Bembo a Messina e all’inizio
dell’attività tipografica di Manuzio.
• Il padre di Bembo pagò personalmente per la pubblicazione di quest’opera, scritta nel
periodo giovanile.
• E’ interessante raffrontare il De Aetna con il Sogno: spiccano soprattutto le diverse
impaginazioni e i due distinti tipi di carta (nel primo caso più pregiata, nel secondo più grezza).
• Tornato da Messina, Bembo trascorse un periodo a Padova, durante il quale compose
un’opera intitolata Priapo (dal contenuto osceno).
•
• Grazie a Manuzio, l’Europa viene a conoscere un vero e proprio mercato dei testi greci;
verso la fine del Quattrocento, la sua produzione venne però rallentando. Il suo primo catalogo
editoriale (conservato in sole due copie, a Parigi e a Vienna) risale al 1498, in cui elenca tutti i libri
da lui stampati sino a quel momento. Nell’introduzione, egli dichiara di aver intrapreso il suo
ambizioso progetto per finalità didattiche (per aiutare gli studiosi e gli eruditi).
• L’élite di eruditi cui le opere di Manuzio si rivolgevano dovevano essere raggiunti
singolarmente, affinché questi fossero a conoscenza dell’esistenza di simili opere. Caratteristica
della rete di distribuzione di Manuzio era inoltre la comunicazione reciproca tra i vari intellettuali,
cosa che agevolava ulteriormente la diffusione delle sue opere.
• Ognuno dei primi tre cataloghi (1498-1503-1513) di Manuzio riporta puntualmente le
opere realizzate: essi dimostrano che i libri greci avevano lunghi tempi di vendita. Mentre tra un
catalogo e l’altro molte edizioni latine risultano esaurite, ciò non accade con gli scritti greci. Non
bisogna però pensare che Manuzio non vendesse molti testi.
• E’ noto che a un certo punto egli iniziò a stampare libri diversi: nel 1490 egli decise di
stampare un libro edito già numerose volte, ossia la Cornucopia di Niccolò Perotti. Si tratta di una
sorta di dizionario di latino; l’opera presenta un lungo frontespizio e un indice particolarmente
accurato. L’opera è un trattato di lessicografia, scritto però in forma continua. E’ in quest’opera che
per la prima volta nella storia si vedono i numeri di pagina (e non i numeri di carta). Manuzio non
si limita a questo, ma, per facilitare la consultazione di un’opera così corposa, decide di numerare
anche le righe. Dopo la pubblicazione dell’opera fu possibile citare la produzione del Perotti con
due dati, ossia il numero di pagina e quello di riga.
• Anche pubblicando un’opera comune e già conosciuta, Aldo è in grado d’imprimervi il
proprio genio editoriale.
•
• Il fenomeno delle prefazioni e delle lettere di dedica è quello che più influenzerà
l’editoria successiva.
• L’area del paratesto veniva spesso utilizzata da Manuzio per annotazioni o addirittura per
dialoghi con il lettore. Anche nella Cornucopia è presente una lettera ai lettori: in essa, Manuzio
parla del suo programma, spiegando quali fossero la funzione dell’opera e i suoi motivi
d’interesse, oltre a indicare quali sarebbero state le sue future pubblicazioni; egli fu pertanto il
primo editore a presentare un proprio programma. Il corpus degli interventi dell’autore costituisce
un canale di comunicazione tra editore e lettore dalla forza straordinaria. Gli acquirenti imparano
in questo modo a conoscere Manuzio e gli ideali che sorreggono la sua opera. Le figure interposte
dei dedicatari forniscono una fonte altrettanto rilevante, poiché rivelano ulteriori aspetti dell’editore.
• Attraverso le lettere ai dedicatari, Manuzio espone inoltre quali siano le grandi difficoltà
nella sua opera: nonostante i tempi difficili (anni delle guerre d’Italia), egli riesce comunque a
procedere nella sua impresa.
• Machiavelli criticò duramente l’oligarchia veneziana dopo la disfatta di Agnadello,
sostenendo che la Repubblica avrebbe potuto conservare e rinsaldare il proprio potere solamente
investendo negli eserciti e non nel mercato librario. Nei momenti più difficili della storia veneziana,
Manuzio fece spesso ritorno a Carpi.
•
• Nel 1499 si apre un periodo di crisi nell’editoria greca di Manuzio: si registrano dei
rallentamenti nella vendita dei libri. L’editore riuscì comunque a destreggiarsi brillantemente anche
in questa situazione. In questo stesso anno, Manuzio pubblicò la sua prima edizione illustrata:
l’Hypnerotomachia Poliphili, un romanzo d’amore allegorico scritto in un volgare fitto di allusioni
erudite ed esoteriche (oltre che di termini inusuali). Il testo fu pubblicato anonimo e, nonostante la
maggior parte degli studiosi sia concorde nell’assegnarne la paternità a Francesco Colonna, dal
punto di vista documentario e dei documenti posseduti, non si ha ancora la certezza sull’identità
dell’autore.
• E’ una delle opere più diffuse tra i bibliofili, il che si spiega considerando soprattutto
l’elevatissima qualità delle sue illustrazioni xilografiche. Persino l’autorità dell’artista xilografo è
sconosciuta, ma quel che è certo è che egli apparteneva a una già ricca tradizione.
• Per molti versi, quest’opera appare decisamente particolare: la lingua, anzitutto, risulta
fortemente latinizzata. Non bisogna dimenticare infatti che la fine del Cinquecento è un periodo di
forti sperimentazioni linguistiche. Il contenuto dell’opera non è affatto perspicuo e chiaro, tant’è
che essa necessita di una traduzione e di un commento. L’opera non presenta alcuna
connessione con i testi fino allora stampati da Manuzio (o con quelli successivamente realizzati).
Nell’opera non appare la sua prefazione e il privilegio riguardo l’opera fu richiesto da un terzo,
Leonardo Crassi.
• Un elemento molto importante e significativo dell’attività di Aldo Manuzio, anch’esso di
difficile interpretazione, è il suo progetto di fondazione di un’accademia. La maggior parte degli
studiosi si dice oggi scettica riguardo la veridicità di tale progetto.
• Si possiede uno statuto dell’Accademia Aldina, contenente le norme e i principi ideate
dalle persone vicine a Manuzio (ad esempio, quella di parlare unicamente in greco, considerata da
alcuni come un contenuto ironico).
• Riflettendo sull’autenticità di questa organizzazione, è necessario considerare che la casa
editrice di Manuzio costituisce il primo esempio di una casa editrice scientifica, che necessita di un
numero fisso di collaboratori. Essa infatti pubblica delle edizioni critiche; Manuzio doveva
stabilizzare i propri collaboratori, mentre questi ultimi volevano formalizzare il proprio rapporto,
creando un’impresa con un assetto ben definito. L’accademia è il tentativo di presentarsi come un
gruppo marcatamente distinto da quello delle Università (Manuzio non perse mai l’occasione per
ribadire questa distinzione), i cui membri non erano solamente eruditi ma addirittura produttori di
cultura.
• Il fatto che l’Accademia Aldina si riconoscesse nell’attività di un’impresa editoriale
suggerisce anche la volontà di distaccare questa impresa da quelle coeve e dedite al profitto.
Manuzio vuole assolutamente differenziarsi da queste e infatti egli rappresenterà il prototipo
umanista per tutti coloro che vogliono curare l’aspetto puramente culturale dell’editoria. Proprio gli
umanisti sono i più coinvolti nell’iniziativa del libraio.
• Ulteriore scopo dell’Accademia era quello di dare all’impresa editoriale di Manuzio una dimensione
d’interesse pubblico: non si tratta di una casa editrice dedita al profitto; essa si pone come un centro di
cultura che, in quanto tale, merita l’appoggio pubblico. L’impresa editoriale non ha più una dimensione
puramente economica, bensì di promozione e diffusione culturale. Si forma così un istituto culturale
formalizzato che si basa sui finanziamenti dei sostenitori; è una visione lungimirante, che anticipa a quello
che sarà il futuro dell’editoria sorretta dalla mano pubblica. Nel 1500, Manuzio pubblica due opere molto
importanti: il De Rerum Natura di Lucrezio e le Epistole. Malgrado sia interessato agli argomenti trattati da
Lucrezio, Manuzio ne rifiuta l’ateismo. A tal proposito, sono state avanzate numerose ipotesi circa il credo
osservato da Manuzio (sono addirittura attestate delle lettere tra lui ed Erasmo da Rotterdam).
• 29 ottobre 2015
La grande svolta – Le lettere di Santa Caterina (1500)
Quest’opera era già stata pubblicata ne 1473; tuttavia, a differenza della prima edizione, quella
aldina contiene ben 368 lettere. Il testo è finalizzato a uno scopo comunicativo forte; è scritto nella
lingua volgare dell’antigrafo venduto a Manuzio da Margherita Ugelheimer, moglie di Peter.
L’edizione è inconsueta, eppure Manuzio vi devolve la maggior parte del suo impegno morale e
religioso. L’opera è impreziosita da una xilografia iniziale, raffigurante una copia della Statua di
Santa Caterina conservata a Siena. In questa xilografia appaiono per la prima volta delle lettere in
corsivo: Iesu dolce, Iesu amore.
E’ la prima sperimentazione in assoluto del corsivo: dopo circa una quarantina d’anni dall’avvento
della stampa, i vari caratteri si erano consolidati in proprie famiglie (caratteri gotici e romani). Il
corsivo esisteva solamente nei manoscritti. Aldo non crea il corsivo come esperimento tipografico,
ma come copia del manoscritto: quest’ultimo costituisce ancora un modello di riferimento unico.
Gli studiosi hanno individuato come possibili fonti, cui Manuzio fece riferimento, Bartolomeo
Sanbito e Pomponio Leto.
Manuzio osserva i manoscritti di questi copisti nella biblioteca del padre di Pietro Bembo. Questi
codici presentavano probabilmente un contenuto poetico; nel marzo del 1501, Manuzio richiese un
privilegio per i caratteri corsivi. Egli dichiarò l’intenzione di pubblicare una serie di opere dal
contenuto religioso. Con questo nuovo carattere, Manuzio non pubblicò testi inconsueti (come le
opere greche), bensì le opere principali per i lettori dell’epoca: la prima opera in corsivo,
pubblicata nell’aprile del 1501, fu uno scritto di Virgilio. Seguirono Orazio, Petrarca e Dante.
Questi libri presentavano un formato del tutto nuovo: si tratta di un formato portatile e che
presuppone dei lettori che siano liberi. Fino a quel momento, Virgilio era sempre stato pubblicato
con i commenti (stampati attorno al testo), poiché indirizzati all’insegnamento. Manuzio rivoluzionò
questa concezione, introducendo la lettura del gentiluomo: è una lettura libera, che non ha finalità
professionali (poiché lo stesso Manuzio affermava che i suoi lettori erano uomini colti ed eruditi,
che non necessitavano dei commenti). Il formato in ottavo, impiegato da Manuzio era già stato
utilizzato, ma solamente per testi di carattere devozionale (che non avevano le caratteristiche di
una lettura informale).
I libri portatili, o enchiridi (che stanno nella mano) come Manuzio li definisce, sono rivolti a
personaggi in vista (senatori, ministri e generali), affinché questi potessero leggerli (forma di
svago) nei momenti di riposo. La scelta del formato in ottavo sarebbe dettata, secondo alcuni,
dalla volontà di Manuzio di creare un libro popolare a basso costo (risparmio sulla quantità di
carta). Tuttavia, ciò è stato confutato.
Questi libri erano pensati per un pubblico colto, che si riconosce in una forma del libro molto
elegante. Prima comparvero i testi latini e successivamente anche quelli greci.
Immagine: Bronzino, Ritratto di giovane uomo con libro (1540). L’opera mostra come il rapporto tra
lettore e libro sia cambiato; esso è trasportabile e non più appoggiato sulle scrivanie (paragonabile
alla rivoluzione attuata con i telefoni cellulari, non più vincolati alla rete domestica ma
comodamente trasportabile). Bronzino realizzò diversi ritratti dei personaggi della corte medicea
(sempre raffigurati con questi libri, che divengono strumenti di conoscenza fondamentali e
facilmente consultabili).
Edizione del Petrarca (1501) e di Dante (1502)
E’ un’edizione che presenta una cura incredibile per i particolari (a partire da quelli linguistici e
d’interpunzione). Già nel De Aetna, Bembo aveva specificato il significato dei segni
d’interpunzione da lui utilizzati: il punto, la virgola, i due punti (che fino ad allora avevano avuto la
funzione del punto e virgola), il punto interrogativo e le parentesi (suo marchio distintivo). L’uso
delle parentesi è particolarmente interessante con Bembo; questi la usa per enfatizzare gli incisi, o
per sottolineare l’atto del ricordo. Le parentesi presuppongo quasi, da parte di Bembo, il suo
precedente tentativo di esecuzione orale. Ciò che è fondamentale nella riforma della
punteggiatura di Bembo sta nel fatto che essa risolve molti problemi per i tipografi (i quali hanno
finalmente un modello di riferimento superiore, di cui tutti i letterati contemporanei accettano la
logica). Non mancano però critiche e contestazioni di dissenso.
Tra i principali estimatori di Bembo ci fu Ludovico Dolce, uno dei principali stampatori del
Cinquecento, che contribuì in maniera sensibile alla diffusione delle innovazioni del Bembo.
Poiché i testi di Dante e Petrarca sono affiancati alle opere latine e greche, assumono anch’essi il
ruolo di testi classici. Manuzio crea un insieme di testi che da quel momento sarebbe divenuto un
modello irrinunciabile per i lettori colti. Manuzio doveva avere qualche perplessità nell’iniziare a
stampare Dante e Petrarca in questo formato: fu Bembo a spingerlo, creando addirittura una
società con Manuzio per la sola realizzazione di questi due libri. Bembo investì personalmente in
quest’opera, ottenendo anche dei privilegi.
Il successo enorme di quest’impresa si spiega considerando che chiunque poteva entrare nel club
dei lettori di Manuzio; grazie a Bembo vi fu un enorme ampliamento del pubblico di lettori. Si tratta
di un aiuto determinante.
Le edizioni di Dante e Petrarca furono realizzate in tirature altissime (1500-3000 copie); ciò
dimostrava quale fosse, da parte dell’editore, il desiderio di realizzare un oggetto unico, duraturo
nel tempo e protetto dal privilegio. Il successo commerciale di questa operazione è dimostrato dal
fatto che allora iniziarono per Manuzio le più amare delusioni nell’ambito della concorrenza sleale.
La competizione sugli ottavi aldini fu molto accesa (a differenza delle edizioni greche e latine,
altamente costose): in quest’ambito si mossero le famiglie dei Giunti e dei Gabiano. Il formato
degli scritti in ottavi e il disegno del carattere erano facilmente imitabili: per quanto riguarda il
secondo, esso era realizzato da Francesco Griffo (autore anche del carattere corsivo). Griffo alla
fine, spinto anche da altri editori, decise di abbandonare la partnership esclusiva con Manuzio.
I Giunti e i Gabiano avevano già proprie sedi a Lione. I Gabiano in particolare riuscivano a
realizzare delle copie perfette delle edizioni aldine. Sono opere talmente simili che addirittura nelle
biblioteche in cui sono conservati esemplari di entrambi gli editori le catalogazioni risultano spesso
errate. Tuttavia, a un’analisi più accurata, il carattere dei Gabiano risulta semplificato rispetto a
quello del Manuzio (poiché essi non avevano potuto consultare gli antigrafi).
E’ probabile che i caratteri tipografici utilizzati dai Giunti siano stati realizzati a Firenze: il
rappresentante fiorentino dei Giunti produsse dei caratteri corsivi su imitazione di quelli di
Manuzio.
La reazione di Aldo Manuzio non tardò ad arrivare: questi si rivolse direttamente al Senato veneto,
poiché indignato del fatto che il suo privilegio sul carattere corsivo era stato sistematicamente
violato.
I Giunti avevano anche tentato d’importare propri libri in ottavi nella Repubblica fiorentina: il
responsabile fu addirittura incarcerato e poi esiliato (poiché il privilegio di Manuzio vietava, tra
l’altro, d’importare e vendere gli stessi libri da lui realizzati).
Manuzio pubblicò una lettera al lettore in cui illustrava le differenze tra le sue stampe e quelle della
concorrenza, volendo mostrare quali fossero gli errori che permettevano di distinguere l’originale
dal falso. Anzitutto, egli sostiene che i Giunti e i Gabiano utilizzassero una carta scadente e dal
cattivo odore.
E’ necessario chiedersi se, nelle contraffazioni, il contenuto testuale fosse mantenuto invariato. Al
99% esso risultava inalterato; quindi è anche in virtù della diffusione dei falsi che si spiega il
successo di Manuzio. Dal punto di vista della diffusione del nuovo modello librario, anche le
repliche ebbero un forte impatto.
Immagine: Lettera al Lettore. Nel documento è presente anche il marchio editoriale di Manuzio (il
delfino, simbolo di agilità, e l’ancora, emblema di fermezza; l’immagine affianca volutamente due
elementi contradditori e sarà utilizzata anche dagli eredi di Manuzio). Fu lo stesso Bembo a
suggergli di adottare questo marchio.
Con i primi tre anni della pubblicazione della collana in ottavo, i tempi sono maturi per la ripresa
della pubblicazione delle opere classiche. Manuzio pubblica nuovamente dei commenti aristotelici,
per poi iniziare a realizzare stampe delle opere di Tucidide e Erodoto. In questo modo, la sua
collana di ottavi in corsivo diverrà la nuova proposta di lettura d’avanguardia per il lettore colto,
allora in grado di leggere in latino, greco e volgare. Molto rare saranno le sue sortite nella
letteratura contemporanea: particolarmente importanti furono le sue edizioni dell’Arcadia di Jacopo
Sannazaro e quella de Gli Asolani di Pietro Bembo.
Nei primi decenni del Cinquecento, Manuzio collaborò addirittura con Erasmo da Rotterdam: frutto
di questa collaborazione fu la raccolta dei proverbi latini (fondamentale per lo sviluppo della
fonologia e della conoscenza del mondo romano). Erasmo scrisse anche un dialogo, il De
opulentia sordida, riguardante il periodo speso a lavorare con Manuzio: questi viene
sarcasticamente descritto come un capo avaro e, spesso, dispotico con i propri sottoposti. Molti
intravedono però in questa descrizione la personalità di Andrea Torresani e non quella di Manuzio.
Questa collaborazione fu però interrotta dalla catastrofe della Battaglia di Agnadello, con la
conseguente crisi veneziana; in questo periodo venne a mancare anche la carta, la materia prima
fondamentale per i libri. L’ultimo progetto di Manuzio fu quello di una Bibbia poliglotta, che tuttavia
non fu mai realizzata. Infatti, come sottolineano gli storici, le bibbie poliglotte necessitarono
sempre di una grande protezione (come quella realizzata in Francia, grazie al finanziamento di
Francesco II). 3 novembre 2015
Adelphi – L’editoria come forma
Il libro è una raccolta di saggi: le prime due parti del testo trattano del libro unico e della storia
della casa editrice. Nella terza, Calasso espone la biografia di quelli che sono stati autori per lui
molto influenti. Nella quarta parte, propone invece la trattazione di alcune tematiche riguardanti
l’editoria contemporanea.
Questa casa editrice nacque nel giugno 1962, per iniziativa di Roberto Calasso, Roberto Balsen e
Luciano Foà.
Il catalogo Adelphi comprende 2500 titoli (dei quali 2300 sono ancora acquistabili), che riguardano
gli ambiti più svariati (dai trattati scientifici ai testi di letteratura e antropologia).
La prima collana dell’Adelphi comprendeva diversi classici, tra cui opere di Kant, Stendhal,
Marlowe e soprattutto Nietzsche.
Vi sono i cosiddetti libri unici, che hanno segnato un passaggio irripetibile nella carriera dell’autore,
del tutto distinti dalle opere precedenti e successive. Il discorso del libro unico va a chiarirsi in
contrapposizione al libro del narratore: per Calasso, non contano i narratori impegnati nella
produzione di molteplici testi, ma solamente gli autori di opere uniche. Sono questi i libri che
l’Adelphi ricerca.
Una volta trovato il nome per la casa editrice, i fondatori rivolsero la propria attenzione all’aspetto
più prettamente materiale del libro: per quanto riguarda la cornice grafica, un’influenza
determinante fu quella di Audrey Beardsley. Il criterio di scelta della copertina corrispondeva alla
volontà di trovare un’immagine che rappresentasse il contenuto del testo: è ciò che si definisce
ecfrasi al contrario.
Quando Adelphi mosse i suoi primi passi, nel 1962, la cultura italiana aveva già conosciuto il
predominio di Einaudi. In quegli anni, andò manifestandosi la consapevolezza che sulla scena
italiana mancava ciò che Calasso interpretava come il materiale essenziale. I punti forti di Adelphi
furono la collaborazione con personaggi noti, quali P. Citati e A. Arbasino, nonché la lontananza
dall’egemonia culturale della sinistra e del perbenismo borghese. Non mancarono delle critiche
alla casa editrice: infatti, molti sottolinearono il carattere elitario assunto dalla Adelphi e il fatto che
essa fosse attiva soprattutto nella pubblicazione di opere appartenenti alla tradizione
mitteleuropea.
Nella storia della casa editrice, fu la prima edizione de La cripta dei cappuccini, di J. Roth, a
segnare un punto di svolta fondamentale; si tratta di un successo editoriale che per Calasso e i
suoi collaboratori giunse in maniera del tutto inaspettata.
Anni ’70, la rivista Controinformazione: Calasso fu sbalordito dalla capacità degli intellettuali
affiliati alle Brigate Rosse di analizzare in modo critico e arguto l’attività di Adelphi. Questi furono i
primi a comprendere e riconoscere l’effettivo potenziale di questa casa editrice, malgrado non ne
appoggiassero l’attività.
Visto il successo di Roth e l’inaugurarsi del filone mitteleuropeo, gli editori di Adelphi scelsero
sempre degli autori molto particolari (come la grande scrittrice danese Blixen, oppure Nabokov e
Borges).
Secondo Calasso, l’editoria è l’arte di pubblicare i libri; vendere buoni testi non ha sempre reso
ricche le persone, proprio perché l’editoria è, a suo dire, un mestiere pericoloso. L’editore rimane
comunque una figura che, pur non dovendo essere necessariamente collegata alla venalità, riesce
sempre a suscitare un certo prestigio nell’immaginario collettivo.
Stando all’interpretazione di Calasso, Manuzio è l’inventore dell’editoria come forma d’arte:
Manuzio considera infatti tutti i libri pubblicati come parte di un unico libro ideale (quasi come gli
anelli di una catena). Il libro dev’essere visto come un oggetto dall’indubbia singolarità. Per
questo, Calasso ritiene che ogni buon editore, per potersi definire come tale, deve
necessariamente imitare Manuzio.
L’editoria è prima di tutto un gioco, in cui ci si può divertire e in cui si può anche perdere tutto.
Aspetto fondamentale è la relazione editore-pubblico, che dev’essere sempre tenuta presente: la
casa editrice deve saper rispettare i propri lettori (e acquirenti), essendo spesso costretta a
rifiutare alcuni testi. Un buon editore deve fondamentalmente leggere e apprezzare i libri che
pubblica (una cosa che spesso non accade); inoltre, i testi scelti devono essere degni di poter
essere ristampati in futuro.
Il nome della casa editrice, Adelphi (fratelli), si spiega considerando come essa si basi soprattutto
sull’affinità.
Simenon è un editore altamente commerciale: è autore di libri che vendono molto. Nell’editoria
contemporanea, secondo Calasso l’editoria contemporanea non si sofferma molto sulla qualità di
un libro (un aspetto spesso delicato). Il rischio è quello di pubblicare delle opere che inizialmente
possono rivelarsi dei successi commerciali ed editoriali, ma che dopo qualche anno vengono
dimenticate.
E’ necessario combattere per l’editoria moderna, poiché negli ultimi anni la soglia del pubblicabile
è cresciuta notevolmente e molti libri aspettano solamente la forma editoriale più adatta.
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