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Estratto del documento

L’Inghilterra, durante il XVII secolo è travagliata dai sussulti regi verso l’assolutismo, i quali incontrano

tuttavia varie resistenze: dopo varie lotte civili, il potere regio si vede ormai ridimensionato, e limitato dal

ruolo del parlamento; situazione che rende l’Inghilterra la madrepatria del parlamentarismo moderno,

secondo tuttavia una prospettiva di Stato non perfettamente assoluto, nel quale il potere legislativo sta

nelle mani dei due rami del parlamento e non in quelle del re.

In questo periodo si vengono meglio delineando le funzioni dello Stato. Inoltre, seppur lo Stato tende

ancora ad indentificarsi col principe, il processo di spersonalizzazione dalla Corona comincia a prendere

passo. Tra il XVII e il XVIII secolo, le politiche dinastiche e dello Stato patrimoniale, portano la politica

europea alle note guerre “di successione”, che impegnano le potenze europee dell’epoca, dimostrando una

concezione ancora del tutto patrimoniale del territorio europeo. Nel XVII secolo anche il diritto subisce

alcuni cambiamenti: l’ampia diffusione dei libri giuridici e la vasta gamma di opinioni dottrinarie, rendeva

difficile scovare la soluzione da dare ai singoli casi: per limitare queste situazioni intervennero i giuristi ma

anche la legislazione. Tuttavia, il Seicento non riuscì a trovare risposte efficaci nel campo del sistema

giuridico, ma ne offrì di buone in quello istituzionale e dell’ordinamento pubblico.

2. Il principe e lo Stato

La concezione pubblicistica moderna del XVII secolo, non considera più il principe come al vertice di una

piramide feudale di vassalli e sudditi, ma lo vede titolare diretto di un potere “sovrano” illimitato su tutti i

sudditi, e libero da ogni intermediazione di ceti o istituzioni. Le funzioni dello Stato sono rappresentate da

Bodin con il concetto di sovranità. Lo Stato moderno, tuttavia, non aveva tutte le funzioni di uno Stato dei

nostri tempi: ma si accontentava di assicurare ai sudditi l’ordine interno ed esterno; lo Stato garantiva

sicurezza, ed il suddito obbediva. A tal ragione, il governo del principe, composto dai ministri e funzionari

regi, provvede: alla legislazione per fissare le regole della pacifica convivenza; all’attività amministrativa per

assicurare la difesa del territorio; all’amministrazione della giustizia per punire chi non rispetta tale

situazione. Ordine pubblico e giustizia diventano dunque poteri diretti del principe e dello Stato: tali poteri

42

vengono delegati a funzionari e militari il primo, ed ai giudici statali la seconda. Esercito e finanze sono

comunque i punti in cui si fonda l’affermazione dello Stato in età moderna.

Successivamente, il sovrano oltre ad assicurare al suddito ordine e protezione, deve fornire anche “felicità”

e “benessere”. Dallo “Stato patrimoniale” si passa infatti allo “Stato di polizia” che mira ad offrire al suddito

un miglio livello di vita, e ciò secondo un programma fissato dal sovrano. Tuttavia, tanto più il sovrano si

impegna a garantire l’ordine, tanto si trova di fronte a spese, che farà certo sostenere ai sudditi.

3. Stati italiani più significativi

La penisola italiana a partire dalla metà del XVI secolo, non è più il centro politico-giuridico dell’Europa. In

questa situazione di regresso, meritano qualche osservazione i territori di dominio spagnolo (per via della

loro particolarità), i territori pontifici (per le innovazioni introdotte dalla Controriforma), ed i territori

sabaudi (per via del programma accentratore iniziato dal duca Emanuele Filiberto).

3.1. Domini spagnoli

Del Regno di Spagna del XVI e XVII secolo facevano parte la Sardegna, la Sicilia, il Regno di Napoli, e la

Lombardia: queste terre dipendevano dal regno spagnolo in modo diverso, perché ciascuno era legato alla

Spagna da un’unione “personale” nella figura del re, e conservava un proprio ordinamento locale ed una

propria posizione rispetto alla Corona; va inoltre osservato che tra questi territori non sussisteva,

nonostante la loro dipendenza comune con la Spagna, nessun legame. Come già detto, poiché ciascun

territorio era dotato di un proprio ordinamento, le norme generali emanate dalla Spagna dovevano essere

pubblicate in ciascuno dei quattro domini italiani per potervi entrare in vigore. L’assenza fisica del re,

insediato in Spagna, fu superata dalla previsione di alcuni Viceré, cioè un funzionario statale; la Lombardia

era invece retta da un Governatore, cioè da un militare avente anche funzioni civili. La previsione del

Governatore il Lombardia è giustificata dal fatto che questa, non essendo un regno ma un ducato, non

poteva essere amministrata da un Viceré; ed inoltre, poiché si trattava dell’unico territorio con minaccia di

guerra, un militare poteva essere più adatto. Viceré e Governatori erano di nomina regia, rimanevano in

carica per tre anni, ed avevano poteri pressoché limitati durante il periodo del mandato; inoltre,

rispondevano del loro operato al Supremo Consiglio d’Italia. Questi, erano inoltre assistiti da uno o più

Consigli locali con funzioni consultive: conseguentemente, sotto questi stava la burocrazia locale. Viceré e

Governatori avevano una carica abbastanza breve e conoscevano poco la zona: pertanto, ne consegue che i

membri di tali Consigli locali potevano avere un ruolo sufficientemente importante nel coadiuvarli nelle

decisioni di politica locale.

Come ben sappiamo, il dominio spagnolo mantenne l’impostazione feudale, lasciando ai singoli domini

ampia autonomia: ciò favorì sicuramente la quiete locale, ma rallentò l’affermazione statale, frenata dal

controllo del territorio da parte dei signori feudali.

Quindi, nel complesso, di domini italiani furono guidati da Viceré e Governatori, che non furono tuttavia

affiancati in modo organico da altri funzionari periferici nelle terre dei singoli regni per istituire una

capillare rete di burocrazia statale. Pertanto, gli ufficiali spagnoli di nomina regia, si limitarono a dirigere le

dalle diverse capitali tutto il territorio di ogni regno, affidandosi per il governo, controllo, e per l’ordine dei

singoli territori all’attività dei signori feudali.

3.2. Stato pontificio

La monarchia pontificia era praticamente senza esercito, interessata solo ai problemi della religione

cattolica e al controllo del territorio politicamente soggetto. Tra il XV-XVI secolo, vengono a costituirsi

domini feudali quasi esclusivi, grazie alla politica di “grande nepotismo” attuata da parecchi papi, i quali

portarono a infeudazioni di parte dei territori pontifici a membri del proprio casato. Le crisi conciliari del XV

secolo, e quelle relative alla riforma luterana del XVI secolo, indebolirono come ben si sa la Chiesa sul

versante religioso europeo, ed influirono al contempo sul suo controllo politico dei domini dell’Italia

centrale. La Controriforma che aveva altri ben scopi, indirettamente favorì un miglioramento nel controllo

territoriale dello Stato della Chiesa. La costituzione delle 15 “congregazioni” riformò tutta l’organizzazione

centrale romana e creava dei “ministeri” competenti per argomento sui principali problemi che la Chiesa

era chiamata a risolvere. Tra queste congregazioni, una attendeva al “buon governo” del territorio, ed 43

aveva quindi lo scopo di evitare gli abusi passati. In questo periodo, inoltre, una bolla pontifica abolì il

“grande nepotismo” vietando infeudazioni di terra ai parenti dei pontefici.

Il territorio pontificio era suddiviso in vari feudi e comuni, i quali conservavano i loro privilegi, pur nel

rispetto dell’autorità pontificia.

Sparito il grande nepotismo, se ne manifestò uno più modesto: tale “piccolo nepotismo” consisteva

nell’affidamento di alcune cariche a parenti del papa; spesso, ad esempio, la politica ecclesiastica era

affidata ad un cardinale della famiglia del papa, il c.d. “cardinal nepote”. Le tendenze accentratrici

dell’epoca hanno portato poi alla riorganizzazione di altri importanti uffici centrali: basti pensare al

Tribunale della Sacra Rota, o a quello delle Segnature. Tali uffici centrali danno alla Chiesa una struttura che

dal periodo della Controriforma ha conservato sino al XX secolo, e che all’epoca la rendeva come modello

da seguire per via della sua efficacia organizzativa.

3.3. Stati sabaudi

La pace di Cateau-Cambrésis di fine XVI secolo, restituì ad Emanuele Filiberto le terre del ducato di Savoia,

che i Francesi avevano sottratto al padre, Carlo II, morto a Vercelli (praticamente l’ultima città rimastagli). Il

ducato di Savoia, inizialmente, non era altro che un insieme di domini feudali acquisiti dalla medesima

casata agli inizi dell’XI secolo. Nel XIV secolo, i Savoia divennero duchi per concessione imperiale ad

Amedeo III, il quale aveva anche dato una disciplina organica abbastanza importante ai suoi domini. Il

ducato, riceveva dunque una prima organizzazione centrale e locale, secondo un progetto di controllo del

territorio tuttavia molto disomogeneo, feudale, basato su privilegi locali, e privo di una capitale fissa. Verso

la metà del XV secolo, la dinastia dei Savoia si vide praticamente privata di quasi tutti i possedimenti

dall’invasione francese e dalla guerra franco-spagnola ivi combattutavi. Emanuele Filiberto, ripresosi i

domini dopo la pace di Cateau-Cambrèsis, li riorganizzò militarmente e secondo una prospettiva

accentratrice tipica di quel periodo storico, tantoché può essere considerato il rifondatore dello Stato;

tuttavia, per le differenze istituzionali tra un territorio o l’altro del ducato, si tende a definire il ducato con il

termine di “Stati sabaudi”. Emanuele Filiberto scelse per prima cosa una Capitale fissa: infatti per garantire

una corretta organizzazione e funzionamento dello Stato era necessario determinare un centro di potere

fisso, sede delle principali strutture governative; a tal ragione fu scelta Torino. Per potersi risollevare, lo

Stato aveva però bisogno di finanze: venne abbandonata quindi, su spunto degli altri Stati, la classica

“donativa” dell’assemblea dei tre Stati, e furono introdotte contribuzioni fisse, con cui poter finanziare le

spese statali ed in particolar modo l’esercito. Per il funzionamento dello Stato il duca si coadiuvò della

collaborazione di tre Segretari, con competenze agli Interni, agli Esteri, e all’esercito, e di un Consiglio di

Stato con competenza consultiva, formato da membri di sua nomina. Inoltre, fu sentita la necessità di

organizzare meglio l’amministrazione giustizia: furono creati corti sulla base del modello francese, in modo

tale da garantire la giustizia del duca su tutto il territorio del ducato. Per provvedere ad una migliore

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A.A. 2015-2016
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SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher rock-mitic di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto medievale e moderno e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Siena o del prof Colao Floriana.