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Alle norme del sovrano, al diritto civile e positivo, si obbedisce in virtù del consenso prestato. Si
trova qui il primo sintomo della tensione nell’opera di Pufendorf: conciliare la dimensione
dell’obbedienza e quella della libertà individuale. La coattività che è propria del diritto trova la sua
giustificazione sempre e solo in questo consenso prestato dagli individui; così si legittima la pretesa
del sovrano. Per questo motivo Pufendorf distingue fra diritti imperfetti e diritti perfetti: i primi
sono le norme sprovviste di sanzione, i secondi sono provvisti di sanzioni. Questa dimensione serve
per l’autore a distinguere diritto e morale; il diritto è tale solo se provvisto di sanzione.
Altra concezione più importante è l’utilitarismo che si rintraccia in Pufendorf: l’uomo è mosso
dalla volontà di sopravvivere, e il sentimento più forte dell’uomo è l’amore di sé. Questo
sentimento spinge l’uomo ad associarsi agli altri uomini; è conforme al diritto naturale tutto ciò che
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favorisce tale associazione, mentre è contrario tutto ciò che turba la pacifica convivenza e dunque
l’associazione degli uomini. Anche per Grozio il diritto naturale è finalizzato dalla pace nella
società, ma in lui è un impulso naturale associarsi, privo di mire utilitaristiche.
Da luterano Pufendorf osserva che nella Bibbia non si parla di stato di natura. Pufendorf si discosta
da Hobbes nell’immaginare lo stato di natura: non si tratta di uno stato di guerra continua. Non si
capisce però se l’uomo secondo l’autore sia per natura socievole o meno, non c’è guerra ma c’è
utilitarismo. Con il patto di unione gli uomini convergono nella volontà di costituire la società, con
il patto di soggezione è creata l’autorità sovrana. In genere, per chiarire, chi sostiene la socievolezza
dell’uomo in natura sostiene la presenza del solo patto di soggezione: questo deporrebbe a favore
dell’interpretare Pufendorf più vicino ad Hobbes che a Grozio (che appunto non ipotizza un patto di
unione).
È solo con l’istituzione dello Stato che in qualche modo nasce il diritto: i diritti privi di sanzione
che gli uomini hanno nello stato di natura diventano perfetti e muniti di sanzione. Lo Stato ha il
potere di infliggere un male sensibile e presente a chi tenga comportamenti contro l’utilità
comune. Si tratta del potere sanzionatorio. Poiché per Pufendorf in natura esistono diritti, l’uomo li
conserva anche nello Stato (per Hobbes non esistevano diritti nello stato di natura); nel caso in cui
le leggi civili siano in contrasto con le norme dei diritti naturali, i cittadini possono non obbedire
alle leggi del sovrano; anche qui il fondamento è probabilmente religioso: se il diritto naturale non è
ridotto alla legge di sopravvivenza (come invece laicizza Hobbes) essa non può essere violata
volontariamente dall’uomo, in quanto è ciò che Dio vuole gli uomini osservino.
C’è però un’ovvia conseguenza: il diritto naturale, che comprende diritti e libertà, è diritto
imperfetto privo di sanzione. Idealmente dunque il cittadino può disobbedire alla legge civile, ma
non esiste alcuna sanzione per il sovrano che non rispetti le leggi naturali. Si tratta dunque
dell’assolutismo classico: se i diritti sprovvisti di sanzione sono quelli che appartengono alla
morale, i sovrani sono ad essi obbligati solo moralmente, il cittadino non può far valere tali norme
giuridicamente. Il diritto naturale è solo la morale che il sovrano dovrebbe seguire nel governo: si
tratta di assolutismo illuminato.
[Il diritto naturale è tradotto in legge dal sovrano e il cittadino, nella corrispondenza, deve
rispettarlo, ma per il sovrano stesso è solo appello alla sua morale.]
Pufendorf non è d’accordo con Grozio nell’ammettere un diritto delle genti volontario. Non esiste
un diritto delle genti che abbia il significato dell’odierno diritto internazionale; l’autore afferma che
tale diritto è un diritto privato dei popoli. In effetti lo ius gentium romano e medievale non è altro
che quell’insieme di istituti che si trova presso tutte le nazioni, che possono essere anche
privatistici. È vero in effetti che il diritto delle genti non è volto espressamente a regolare il diritto
internazionale, tanto meno si rivolge agli Stati; tanto vero è però che nel Digesto (lex hoc iure) si
intende che la guerra stessa è istituto del diritto delle genti.
Per Pufendorf (vicino quindi a Hobbes) gli Stati vivono secondo il diritto naturale, da questo
discendono uguaglianza e libertà degli Stati. Non è ammissibile alcuna limitazione per gli Stati, per
i quali il principio guida è il mantenimento della propria integrità; in relazione a questo primario
interesse uno Stato non può essere vincolato a trattati che confliggano con il suo interesse.
Distinguere diritto naturale e diritto delle genti come aveva fatto Grozio ha dunque portato
all’inserire il diritto naturale nell’esclusività del foro interno; diritto imperfetto non munito di
sanzione, che il sovrano deve rispettare in coscienza, ma non può essere punito. Per Hobbes poi non
esiste un problema di moralità per il principe, mentre per Pufendorf c’è un metro di giudizio, che
però non comporta sanzioni. 19
CHRISTIAN WOLFF, allievo di Leibniz, insegna a Marburgo e Halle, e scrive l’opera, nel 1749,
intitolata Ius gentium methodo scientifica per tractatum. Wolff usa un metodo rigorosamente
scientifico.
Wolff nei prolegomena dell’opera definisce il diritto delle genti: è il diritto che è rivolto alle gentes,
considerate come persone singole. È la natura a regolare le relazioni tra le genti, definita da Wolff
ius gentium naturale o necessarium. Questo richiama l’obbligatorietà, ma anche il fatto che i
principi del diritto naturale si ricavano attraverso un ragionamento necessario; è la parte del diritto
naturale che si rivolge alle singole persone giuridiche, cioè gli Stati e i popoli.
Vi sono altri due tipi di iura gentium, strettamente associati, manifestazioni di uno stesso diritto: lo
ius gentium pactivum e lo ius gentium consuetudinario; il primo nasce dai patti, il secondo dalla
consuetudine; hanno origine nella volontà umana e precisamente nel consenso concretamente inteso
nella forma espressa (patto) o inespresso (consuetudine). Questi diritti vincolano solo coloro che il
consenso l’hanno prestato dunque.
Il diritto delle genti volontario di cui parla Wolff: l’aggettivo richiama l’origine da una volontà,
ma solo fino ad un certo punto; la volontà alla base di questo diritto delle genti è praticamente
involontaria. Esso si fonda su un consenso presunto di tutte le nazioni. Per Wolff i popoli e le genti
non sono liberi di aderire o meno, ma si presume che abbiano già acconsentito a che i loro rapporti
siano regolati da tale diritto. Questo è ausiliario al diritto naturale, in quanto questo diritto consente
l’applicazione degli istituti di quello naturale. Il diritto volontario si rende necessario a causa della
corruzione degli uomini (sfondo pessimistico-religioso tipico del protestantesimo); il diritto
naturale, essendo ideale e vigente nel Paradiso terrestre, ha bisogno di essere applicato tramite esso.
Uno Stato che pretendesse di non osservare il diritto volontario, starebbe violando il diritto naturale.
Passaggio decisivo in Wolff, che è più vicino a Grozio che a Hobbes, è la considerazione di quale
sia la vera natura umana: la natura spinge gli uomini ad associarsi, ma anche le gentes; esiste
dunque per natura una grande società degli Stati. Poiché l’invito a questa società proviene dal
diritto naturale, esso è obbligatorio, esattamente come lo è partecipare al diritto delle genti
volontario. Gli Stati che non vogliano sono come bambini, da costringere a partecipare. Si tratta di
una società che ha il fine di mutuo aiuto tra gli uomini e finalizzata anche al perfezionamento
morale dell’uomo. Non esiste in Wolff la dottrina del contratto sociale: non è necessario un atto di
volontà che sia cesura tra prima e dopo.
Quella che teorizza Wolff è una civitas maxima: non si usa il termine societas e l’aggettivo è
appunto maxima. Potrebbe trattarsi di un richiamo alla dottrina medievale: dalla Lex omnes populi
c’erano le teorie della permissio e della iurisdictio (concessione e autonomia). Bartolo in particolare
parlava di iurisdictio minima e maxima; la persona dell’imperatore aveva la seconda, con un potere
massimo di amministrazione del diritto (non creazione, visto che non è assoluto). Altro punto che
Wolff potrebbe aver richiamato è il principio dell’ubi societas, ibi ius, e questo diritto è il diritto
volontario della civitas. Per Baldo degli Ubaldi è il diritto naturale a consentire l’esistenza delle
civitas, che però è retta da un proprio diritto, e se vi è un’autorità superiore, questa non concede il
permesso di legiferare, può intervenire solo se le norme che la civitas si dà sono contrarie al diritto
naturale.
Il diritto delle genti volontario non si discosta molto dal diritto naturale, ma non coincide con esso,
sostiene Wolff. La legge nel Digesto intitolata ius civile, di Ulpiano, sostiene che il diritto civile è
quello che non si discosta troppo dal diritto naturale, ma nemmeno coincide con esso. Wolff
riprende alla lettera il passaggio. Per i medievali e i romani il diritto civile è qualcosa in più e
qualcosa in meno del diritto naturale; toglie ad esempio con l’usucapione (che bilancia per
efficienza il diritto naturale di proprietà), aggiunge ad esempio con le forme, come il matrimonio
(che aggiunge alla congiunzione sessuale). Il diritto delle genti volontario è dunque il diritto civile,
che aggiunge e toglie, a cui non si può non prestare il consenso, perché viene dalla natura. È una
sorta di coazione della ragione.
Questa civitas ha uno status popularis: ciò equivale ad una costituzione democratica. Tutti gli stati
sono uguali, e il diritto non deriva dalla forza, tutti concorrono alla determinazione del diritto delle
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genti volontario; la civitas maxima ha costituzione democratica. Naturalmente non esiste un
consilium o un parlamento mondiale, né un’espressione storica precisa, né un particolare
governatore mondiale. Si tratta di una fictio giuridica; si finge che il consenso sia stato prestato,
che sia l’espressione della volontà della maggioranza. Il quadro che ne esce è quello di una societ