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GUERRA DI SECESSIONE AMERICANA

Settembre 1864. Stati dell'Unione del Nord contro i Confederati del Sud. Sherman e Grante (nordisti) avanzano in Georgia, vincono una battaglia contro i confederati ed entrano ad Atlanta: la città viene radono al suolo, bruciandola. Di fronte a questo atto, il capo di Stato Maggiore delle truppe confederate del Sud mostra il suo pieno stupore, evidenziando come si tratti pur "la guerra è crudeltà e non è sempre di Americani". Risposta di Sherman: "È possibile renderla migliore di quello che è. So di non aver avuto parte alcuna nello scatenamento di questa guerra, voi l'avete avuta, io la sto solo combattendo. La responsabilità è di chi ha scatenato la guerra. Voi che nel bel mezzo della pace e della prosperità, avete trascinato la nazione in guerra".

L'argomento di Sherman è spietato: "la guerra è crudeltà". È l'opinione dei generali filosofi.

statisti).(abbiamo visto anche quella di eUn generale prussiano, Carl von Clausewitz, aveva diffuso qualche decennio prima,la responsabilità è di chi la scatena. La guerra non la si ferma più,una sua tesi: “una volta scatenata ”. Impossibile frenarla e razionalizzarla. Il generale si ponenella posizione di chi obbedisce, ha il solo incarico di vincerla; è il politico che dicequando farla.

GUERRA FEUDALE IN CINA Sung Chu638 a.C., Cina centrale. Due Stat i feudali sono in guerra ( vs ). Letruppe dello Stato di Sung sono guidate dal loro signore (Hsiang) e sono schierateal nord di un fiume. Dal sud arrivano le truppe di Chu che devono guadare il fiume.Un ministro di Hsiang chiede al suo signore di attaccare, visto che le altre truppesono molto più forti e se ne potrebbe approfittare. Hsiang rifiuta. Le truppe di Chupoi guadano il fiume, ma non sono ancora schierate; il ministro richiede di dare ilsegnale, ma il duca Hsiang rifiuta. Solo

quando sono schierate allora il duca diHsiang dà il segnale d'attacco. Stravincono le truppe di Chu e il duca Hsiang vieneferito e fatto prigioniero; inoltre è accusato di non aver dato ascolto al ministro.

Mao Tse TungQuesto fatto lontano è stato recuperato in uno scritto da . Ad uncerto punto Mao dice che non è il duca di Sung e che non ha il tempo di applicareguerra chela sua "etica da asino". Sono cambiati i tempi: prima c'era unarispettava delle regole, guerra finalistica,anche a costo di una sconfitta e unasecondo cui non ci sono vantaggi a seguire l'etica. L'episodio pone dei problemiStato come una cosa propria,seri: probabilmente il duca di Sung pensava al suodi cui poter disporre; anche Machiavelli aveva lo stesso punto di vista: per salvarelo Stato il signore deve essere disposto a perdere la propria coscienza, salvezza,anche ignorando la legge naturale, divina.

RIFLESSIONIAbbiamo visto che la guerra non ha limite

E la responsabilità è di chi dà inizio alla guerra. Sherman e von Klauserwitz parlavano di guerra. Inferno tirannia per la violenza che scatena, in tutti quei casi in cui delle persone sono costrette controvoglia a combattere. Esprime un aforisma: "tu puoi non mostrare interesse per la guerra, ma la guerra prima o poi si interesserà a te". ("Il mitragliere della torretta sferica")

Una poesia americana "Dal ventre di mia madre venne" esprime un concetto simile: catapultato direttamente nello Stato, accoccolato nel suo ventre col giubbotto allacciato. A sei metri da terra, sciolto dal suo sogno d'amore, mi destai dalla contraerea, all'incubo nero dei caccia. Mi lavarono dalla torretta con getti di vapore.

Walzer parla anche di un'altra tirannia che pervade la guerra, in relazione al fine (anche lodevole) di una difesa. Churchill, tornando al

Discorso di lo si può accostare ad un'altra testimonianza della guerra, quella di Eisenhower. Siamo nel 1942, i Tedeschi sono sconfitti nel Nord Africa e il Generale tedesco (von Armin) catturato. Alcuni vanno da Eisenhower e gli ricordano che c'è una consuetudine per cui il capo delle truppe si deve stringergli la mano e rendere onore alle armi. Eisenhower rifiuta chi da lui, motivando che era tradizione antica perché non si conservava astio per il nemico, e tutti i militari erano fratelli d'armi in fondo; ma fino a quei giorni. La II WW aveva "ci siamo confrontati un lato diverso, era una guerra per il bene dell'umanità: con una cospirazione assolutamente diabolica, con un nemico con cui non si sarebbe dovuto accettare alcun compromesso." Si richiama ancora una parte che combatte per l'umanità, per i diritti, e un'altra che li viola, li distrugge. Questa di Eisenhower sarà l'idea degli Stati Maggiori russi.

americani e inglesi: non risparmiare la Germania nazista, la distruzione del regime era necessaria. Walzer dice "non bisogna solo saldare i conti col nemico, ma lo si deve sconfiggere e abolire, per evitare una futura repressione. Una volta che si arriva a combattere per un fine simile, diventa necessario vincere". La vittoria è moralmente importante. "La guerra è un inferno perché oltrepassati certi limiti, il carattere infernale della guerra ci porta ad ignorare qualsiasi forma di controllo, pur di vincere. Questa è la vera tirannia: chi resiste all'aggressione (parte ragione), si trova ad essere costretto ad emulare, se non superare, le atrocità dell'aggressore". Riassumendo piano: inizialmente abbiamo visto un frammento di Eraclito, molto astratto e teorico: in certi casi, quest'aforisma di Eraclito, è stato ripreso e traspare nelle riflessioni del XVIII-XX secolo. Poi la guerra è.

Vista come un momento necessario della storia universale (in alcuni casi più concreto come fattore di progresso). Su un abbiamo riscontrato una visione più prosaica che ci ha presentato la guerra come fenomeno non regolabile, non limitabile. C'è qualcosa che accomuna queste due da un lato la guerra, dall'altro visioni? Se prendiamo questi due fenomeni, il diritto, in tutti questi casi il diritto si dissolve nella pura violenza: o descritta apertamente come incontrollabile questa violenza è o, nella combattendo per alti fini, per la difesa del diritto, migliore delle ipotesi, questo viene messo da parte. Laddove parlano le armi, il diritto e la "morale tacciono". In quest'ottica la visione si è incentrata sul fenomeno della guerra. Ora bisogna ragionare di più sul diritto, provare a vedere se il peso poi resterà solo sul lato della guerra o se anche il diritto ha qualcosa da dire.

MORALE E DIRITTO NELLA GUERRA

Walzer

Parte da un'idea di netta separazione tra morale e diritto, anche se "Se dobbiamo agire in qualche ragionamento parallelo sembra essere possibile. Accordo con i nostri interessi, guidati dalla paura l'uno dell'altro, allora un discorso sulla giustizia non può essere nulla di più che un discorso". Ciascuno ha le proprie ragioni, è guidato da paura e interesse personali, e in questo caso i discorsi sulla giustizia non trovano spazio. Poi cita Hobbes, uno di quelli che ha letto di più: "homo hominis lupus". Le parole sono vuote, non ci sono riferimenti, non essendoci la possibilità di un dialogo reale (es. generali ateniesi a Melo). Per Hobbes le parole vanno sempre riferite alla persona che ne fa uso, dato che esprimono paure, relazioni e interessi della persona. Nel Leviatano (1651) "perché uno chiama saggezza quello che un altro chiama timore", evidenzia ciò: uno chiama crudeltà quello che...

"Un altro chiama giustizia; uno prodigalità quello che l'altro intende magnanimo, e così via. Tali nomi non possono essere fondamento di un ragionamento", anche se "non ha senso parlare di giustizia, almeno fintanto che il sovrano, suprema autorità linguistica, non dia un significato morale a queste parole".

Per Hobbes, è giusto ciò cui il sovrano attribuisce quel significato. Serve l'autorità che fissi il significato, altrimenti ognuno dà il significato che vuole; ed è il sovrano che dice cosa sia giusto e cosa no. Problema: nella visione hobbesiana, nella guerra non c'è il sovrano tra due Stati egualmente, in quanto combattuta sovrani. Hobbes ritiene che diritto e giustizia siano trattabili, ma solo in presenza di sovrano, quindi non al di fuori dello Stato, nei rapporti tra Stati. Da qui nasce l'idea, che durerà per tutto l'800, secondo cui,"

nei rapporti tra gli Stati si trovi in uno stato di natura. È la stessa ipotesi che nasce dallo stato di natura e si affida ad un sovrano (il Leviatano). Ma questo non è possibile nei rapporti tra gli Stati: manca un'autorità che dia un contenuto alle parole che sono vuote e servono solo per nascondere inganni e frodi. Per questo le norme del diritto internazionale non sarebbero norme giuridiche: manca un sovrano che le faccia valere. Walzer fa altre affermazioni per cercare di provare l'esistenza di una realtà morale anche nel diritto. Nel tempo di guerra, e potremmo pensare, Persu alcune nozioni fondamentali. Walzer sostiene che quel disaccordo che Hobbes registra (es. giustizia, significato diverso tra le persone), non ha i caratteri che vi attribuisce Hobbes. Non è vero che tra gli uomini, quando si parla di cosa giusta, ci sia per forza di disaccordo. Per il disaccordo si rivela.

Quando dal concetto si ragiona in termini di morale, si inizia a scendere nel concreto. Ma è un meccanismo molto simile a quello del diritto; è dall'applicazione del caso concreto che possono sorgere dei problemi. Secondo Walzer è possibile instaurare un ragionamento sulla base di questi termini: le possibilità di manipolare questi concetti sono limitate, non si può affermare qualsiasi cosa si voglia, a prescindere dalla buona o mala fede di chi parla. La giustizia, in qualche modo, non è una parola vuota senza conseguenza. A tal punto che i casi estremi di rifi...

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Publisher
A.A. 2020-2021
89 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/13 Diritto internazionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher CriUniTn di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di storia del diritto internazionale e delle dottrine internazionalistiche e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Marchetto Giuliano.