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Estratto del documento

A tutti questi problemi si aggiunse il 15 luglio 1820 la questione siciliana. Dopo i moti rivoluzionari

di Napoli, Palermo ha dato vita a una violenta ribellione, alla quale avevano preso parte anche le

masse popolari contadine. Agli operai e agli artigiani si erano subito uniti i componenti

dell'aristocrazia locale che non vedevano di buon occhio la politica accentratrice del governo dei

Borbone. Il re a questa rivolta reagì inviando un corpo militare nell'isola, che riuscì controllare la

rivolta alla fine di ottobre dello stesso anno.

Il successo della rivoluzione napoletana aveva acceso gli entusiasmi dei liberali italiani, che riunitisi

nella Federazione italiana avevano come obiettivo quello di cacciare gli austriaci dal Lombardo-

Veneto per creare così un regno dell'Italia settentrionale. Le loro ambizioni vennero però interrotte

nell'ottobre del 1820, quando gli austriaci scoprirono un'organizzazione carbonara che ne

arrestarono i suoi capi, Silvio Pellico e Pietro Maroncelli, condannandoli a pesanti pene detentive.

In Piemonte moti rivoluzionari scoppiarono nel 1821, quando alcuni reparti dell'esercito si

ammutinarono al re Vittorio Emanuele I costringendolo ad abdicare in favore del fratello Carlo

Felice. Dal momento che quest'ultimo era fuori dal regno la reggenza venne affidata al nipote Carlo

Alberto. Egli si impegnò dapprima a concedere una costituzione sul modello di quella spagnola, ma

poi richiamato all'ordine da Carlo Felice si unì alle truppe che, grazie all'aiuto di un contingente

austriaco, sconfissero i rivoluzionari guidati da Santorre di Santarosa a Novara.

Le ondate di moti liberali che si erano avute in Spagna e in Italia destarono molte preoccupazioni

fra i conservatori di tutta Europa, soprattutto al principe di Metternich che volle convocare un

congresso fra le varie potenze europee nell'autunno del 1820 a Troppau. In tale congresso egli

sostenne la tesi l'intervento armato nel napoletano. Il successivo convegno tenutosi nel gennaio del

1821 a Lubiana, fu lo stesso Ferdinando I ad invocare l'intervento militare all'interno del suo regno.

Così gli stati aderenti alla Santa Alleanza nel marzo del 1821 giunsero a Napoli dove restaurarono il

potere assoluto di Ferdinando I. La risoluzione del problema spagnolo venne affidata alla Francia

che riuscì in poco tempo a restaurare il potere assoluto del re.

La rivoluzione greca contro il dominio turco, cominciata nel 1821 e protrattasi per circa un

decennio, fu l'unica a terminare con un sostanziale successo. Fu anche la sola che, pur essendo nata

su iniziativa delle società segrete, vide una massiccia partecipazione popolare. L'indipendenza greca

fu dovuta fattori di carattere internazionale. L'impero ottomano non era uno stato europeo, non era

cristiano e non faceva parte della Santa Alleanza, alcune potenze lo considerava ancora con un

punto di equilibrio, altre invece erano attratte dalla possibilità di espansione dei suoi territori. In

realtà l'antico impero ottomano faticava molto a tenere riunito il suo vastissimo impero.

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Problematica era la situazione dei Balcani dove l'impero aveva sempre avuto una politica tollerante

sul piano religioso ma discriminatoria su quello politico. Dopo che nel 1815 erano insorti i serbi

conquistando un'ampia autonomia, nel 1821 fu la volta dei greci. Essi svolgevano un ruolo chiave

dell'economia dell'impero ottomano grazie ad un’importante borghesia mercantile che si era

sviluppata nelle isole dell'Egeo. La setta patriottica Eteria che aveva organizzato la rivoluzione

trovò numerosi aderenti sia fra la borghesia sia fra le masse popolari. Da tutta Europa corsero

volontari per partecipare alla guerra greca contro i turchi, e anche varie potenze europee

cominciarono a schierarsi con il popolo greco, per esempio nel 1822 la Russia ruppe le relazioni

diplomatiche con la Turchia.

Nel giugno del 1827, dopo anni di duri combattimenti, il governo turco riuscì ad avere la meglio sui

rivoltosi grazie all'aiuto del pascià di Egitto Mohammed Alì. La situazione fu capovolta

dall'intervento delle potenze europee. Il luglio una flotta aglo-francese distrusse la flotta turco-

egiziana. Ne seguì una guerra fra Russia e la Turchia che si concluse con la firma della pace di

Adrianopoli (1829), con la quale il sultano riconobbe l'indipendenza greca. Al nuovo Stato le

potenze europee imposero un regime monarchico-assolutista.

Fra i 1830 e i 1831 l'Europa fu attraversata da una seconda serie di modi rivoluzionari, che ebbero il

loro inizio in Francia e che portarono delle profonde trasformazioni in tutti i paesi dove esse

scoppiarono. La rivoluzione scoppiò a Parigi nel luglio del 1830 fu la diretta conseguenza del

tentativo messo in atto dal re Carlo X di restringere le libertà garantita dalla costituzione del 1814 e

di mettere in atto una restaurazione integrale.

Nel 1829 sfidando la maggioranza liberal-moderata, Carlo X chiamò al governo il principe di

Polignac, capo degli ultras. Qualche mese dopo, il re, sciolse la camera e convocò nuove elezioni e

contemporaneamente inviò un corpo di spedizione ad Algeri. La spedizione ad Algeri non ebbe

risultati sperati, a questo punto Carlo X e il suo ministro e mandarono quatto ordinanze che

sospendevano la libertà di stampa, che sceglievano la camera appena elette, che convocavano nuove

elezioni e modificavano la legge elettorale rendendola ancora più restrittiva. A questo punto la

popolazione parigina insorse costringendo, dopo tre giorni di duri scontri, il re Carlo X ad

abbandonare la capitale.

Il 29 luglio le camere riunite in seduta comune dichiararono decaduta la dinastia dei Borbone e

nominarono luogotenente del regno Luigi Filippo d'Orleans. Tale scelta andava incontro alle

richieste del popolo di deporre la dinastia borbonica, ma venne anche fatta per bloccare quel

processo rivoluzionario che molti temevano.

Il 9 agosto Luigi Filippo venne nominato re. Fu varata una nuova costituzione che ricalcava quella

del 1814 ma che accresceva il controllo del parlamento sul potere dell'esecutivo, allargava il diritto

di voto, realizzava una più netta separazione fra Stato e Chiesa. Alla guida dell'esecutivo venne

chiamato il banchiere Leffitte, la guardia nazionale venne affidata al generale La Fayette.

Con il successo dell'insurrezione di luglio la Francia cessava di essere quelle pilastro della politica

conservatrice d'Europa, ma anzi proclamava, per bocca dei suoi governanti, la sua ostilità a ogni

intervento straniero alle vicende interne di altri paesi.

Il primo scossone e si ebbe in Belgio, paese a maggioranza cattolica che dopo il congresso di

Vienna era stato ammesso al regno protestante d'Olanda. Il 25 agosto l'insurrezione scoppiò a

Bruxelles è si diffuse nelle settimane successive in tutto il paese. Il governo olandese chiese aiuto

Francia e Gran Bretagna che però non glielo accordarono. La questione venne discussa nella

conferenza che si tende a Londra dal 1830 e il 1831. In questa conferenza si riconosceva

l'indipendenza del Belgio e le venne affidata la corona al principe tedesco Leopoldo di Sassonia

Coburgo. Era una decisione storica non solo perché riconosceva l'esito vittorioso di una rivoluzione

ma anche perché andava contro uno dei punti cardine della deliberazione finale del congresso di

Vienna, facendo cessare così esistere tutti gli equilibri che si erano creati subito dopo il 1815.

Sfortunati, invece, furono i moti rivoluzionari scoppiati in Italia settentrionale e in Polonia entrambi

repressi dalle forze dell'impero austriaco che riportarono queste nazioni ai vecchi equilibri stabiliti

dal congresso di Vienna. 22

Nonostante la monarchia francese fosse nata per volere del popolo, essa mantenne sempre una base

di consenso abbastanza ristretta e precaria. La monarchia di luglio finì col identificarsi dell'alta

borghesia e gli affari che vide costantemente crescere il suo peso economico e la sua influenza

politica. Sul fronte dell'opposizione molto importanti furono i gruppi democratici-repubblicani che

erano collegati ai primi nuclei socialisti già attivi nei grossi centri urbani. La ricorrente minaccia

rivoluzionaria provocò una involuzione conservatrice della monarchia di luglio, che venne

accentuata quando, nel 1840, salì al potere Francois Guizot. Egli aumentò i poteri della borghesia e

accentuò i caratteri oligarchici del regime monarchico orleanista, creando così un profondo fossato

fra la classe dirigente è la società civile. Tale spaccatura si sarebbe rivelata fatale per la monarchia

orleanista.

Nello stesso periodo in cui in Francia nasceva e si consumava l'esperienza della monarchia di luglio

la Gran Bretagna vive un periodo di rivoluzione liberale della monarchia, grazie all'affermazione

dell'ala più aperta del partito conservatore guidata da George Canning e Robert Pee. Cunning fu il

principale artefice del distacco della Gran Bretagna dagli equilibri venuti fuori al congresso di

Vienna, mentre Peel emanò la legge che permetteva ai lavoratori di unirsi in libere associazioni

favorendo così ulteriore crescita delle organizzazioni di mestiere (Trade Unions). Il principale nodo

da sciogliere era quello dell'allargamento del diritto di voto, allora rispetto ad una piccola

minoranza, è il ridimensionamento delle circoscrizioni elettorali, disegnate secondo i criteri di un

secolo prima, quando ancora il paese non era stato investito alla rivoluzione industriale. La nuova

legge elettorale approvata nel 1832 dal parlamento allargò il corpo elettorale di oltre il 50% è

ridimensionato le circoscrizioni, aumentando il numero di quelle urbane. Le riforme sociali

riguardarono soprattutto il lavoro nelle fabbriche e i poveri.

Né allargamento del suffragio politico né le riforme sociali bastarono a far tacere la protesta

dell'opposizione democratica che, anzi elaborò un documento in sei punti, la Carta del popolo, che

chiedeva, il suffragio universale maschile, la garanzia della segretezza del voto nella nuova riforma

dei collegi elettorali. Il movimento cartista restò attivo anche negli anni successivi, ma finì con

l'esaurirsi.

Altra battaglia fu quella per l'abolizione del dazio sul grano. Questa rivendicazione, da un lato,

chiamava in causa il bisogno dei ceti popolari, dall'altro esprimeva gli interessi della borghesia

industriale, desiderosa di veder eliminati tutti gli ostacoli che non permettevano ai sui prodotti di

affermarsi sui mercati stranieri. Il dazio venne definitivamente abolito nel 1846.

Al dinamismo politico e sociale manifestato dalla Gran Bretagna e dalla Francia faceva riscontro il

sostanziale immobilismo di certe monarchie europee. In Russia l'avvento dello zar Nicola I coincise

con una dura repressione di una cospirazione d

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A.A. 2018-2019
48 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher salvosmarket di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Scienze Storiche Prof.