Appunti di Storia Architettura Contemporanea Parte Prima
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14- Self Service Garage (Pittsburgh 1949) for Edgar J. Kaufmann, il parcheggio
ha più piani di forma circolare
15- Jaguar Showroom (New York 1954) la rampa interna è più ridimensionata.
Lo spazio, con una rampa a spirale e gli interni giradischi, è stato progettato
nel 1954 per l'auto importatore pionieristico Max Hoffman. All’inizio lo
showrroom era destinata alla Jaguar, infatti in alcuni disegni di Wright c’è la
pantera, ma successivamente furono esposti modelli misti , tra cui porche
16- Casa in Arizona (1959) in questa casa c’è un impianto a disco con rampa
circolare. Vicinissima alle idee architettoniche sviluppate per la progettazione del Guggenheim Museum di New
York, l’edificio è abbastanza economico per gli standard nelle quotazioni di arte contemporanea. Immerso nella
natura di un luogo tanto ameno da esser stato chiamato Arcadia.
LA LEZIONI DI WRIGHT
La figura di Wright era giunta in Europa già nel 1910 durante il suo primo viaggio che lo condusse fino all’Italia. In
questa occasione raccolse e pubblicò i disegni dei suoi precedenti progetti nei cosiddetti ‘’Wasmuth Volumes’’. Tale
pubblicazione esercitò un grande influsso anche negli architetti europei. In Italia l’attenzione rivolta a Wright si deve
anche a Persico su Casabella n. 123 del 1938, dove fu pubblicato un articolo ‘’l’ultimo Wright’’ nella sua casa sulla
cascata. Un’importante evento che aumentò l’attenzione italiana verso Wright fu la traduzione nel 1945 di un suo testo
intitolato ‘’ architettura e democrazia’’. Sempre nel 1945 Bruno Zevi pubblica il suo ‘’ Verso un’architettura organica’’,
dove in copertina compare la casa sulla cascata di Wright. Zevi era da poco tornato in Itali dopo l’esilio raziale fascista;
aveva soggiornato a Londra e poi in America, dove si laureò in architettura presso la Graduate School of Design di
Harward, diretta a quei tempi da Walter Gropius. Il suo testo rappresenta l’indirizzo indicato per l’architettura italiana,
ispirata all’opera di Wright e capace di superare il razionalismo del periodo fascista. Con intento quasi politico, si trattava
di liberare le forme architettoniche dal funzionalismo, combinando la spazialità di Wright con forme naturali. Collabora
dopo alla collana di monografie guidate dai BBPR, firmando anche la monografia dedicata a Wright. Al rientro in Italia
nel 1944, fonda la rivista Metron e l’associazione APAO. Tale associazione va inquadrata all’interno del dibattito
architettonico postbellico, legato al problema della ricostruzione. Il dibattito sulla ricostruzione coinvolge anche il settore
editoriale, che in questi anni riprese la sua attività: Domus da una parte con Rogers come direttore e Casabella dall’altra
parte con Pagano. Il ruolo degli architetti dell’APAO fu importante per i progetti dei quartieri INA-CASA, editore
economica e pubblica costruita grazie ad un ambizioso programma che non vide mai più vita. Nel quartiere INA-CASA
Tiburtina a Roma, (Quaroni, Ridolfi e altri) si tenta di superare il razionalismo adoperando in pianta una sequenza di
edifici con riferimenti all’architettura vernacolare. A Milano, invece, nel quartiere QT8 (Bottoni, Pollini e altri) ci si allinea
alla maglia della città creando una nuova maglia ortogonale, culminante in una collina artificiale, fatta delle macerie della
guerra. Nel 1951 viene organizzata a Firenze, presso il Palazzo Strozzi, una mostra sull’opera di Wright. Quando arriva
in Italia Wright ha 84 anni, e qui si ferma per qualche settimana; durante tale soggiorno gli viene conferita la laurea ad
honoris causa a Venezia e qui il suo modello diventa fondamentale per lo studio dell’architettura. A Venezia realizza il
progetto per il Masieri Memorial (allievo di Scarpa) ai piedi del ponte dell’Accademia. I coniugi Masieri morirono in un
incidente mentre si stavano recando negli Stai Uniti (Taliesin Ovest) nel 1952. I figli decisero a trasformare il progetto in
un edificio di abitazioni per studenti, ma le polemiche nell’inserimento del moderno in un contesto storico obbligarono ad
abbandonare il progetto. L’importanza della figura di Wright in Italia va letta anche dal punto di vista politico; infatti si
associa la figura dell’architetto come simbolo dell’essere democratico.
CARLO SCARPA (Venezia, 2 giugno 1906 – Sendai, 28 novembre 1978) è stato un architetto, designer e accademico
italiano, tra i più importanti del XX secolo. A Vicenza, per studiare presso l'Accademia di Belle Arti, ambiente in cui
conobbe l'architetto anconitano Guido Cirilli il veneziano Vincenzo Rinaldo, di cui divenne assistente e del quale nel
1934 sposò la nipote Nini Lazzari (Onorina Lazzari). Mentre ancora studiava all'Accademia, ottenne il primo incarico
professionale iniziando a collaborare come progettista con alcuni vetrai di Murano. Nel 1926 si diplomò e sino al 1931
lavorò nello studio veneziano di Guido Cirilli. Al compiere dei suoi trent'anni, tra il 1935 e il 1937, Scarpa realizzò la sua
prima opera impegnativa, la sistemazione della Ca' Foscari di Venezia, sede dell'omonima Università.
Vi sono alcuni temi fondamentali nell'architettura di Carlo Scarpa:
• il progetto basato sulla riflessione visuale e quindi sul disegno;
• l'interesse per l'allestimento di mostre e musei;
• il restauro di edifici preesistenti e la realizzazione di nuovi progetti in antichi contesti;
Scarpa utilizzava il disegno come pensiero, nei disegni dava spazio a riflessioni e ragionamenti,[8] si poteva vedere in
diretta il suo pensiero che si imprimeva sulla carta. La luce dell'architettura di Scarpa consente di comporre
architetture per istituzioni come i musei e le opere che li costituiscono. La particolare luce che fa vedere le statue nei
suoi musei diventa uno straordinario strumento di critica architettonica, lo spazio luminoso diventa uno strumento per
comprendere e far comprendere le sculture.
Mentre Zevi si concentrò soprattutto sull’aspetto ideologico dell’opera di Wright, Scarpa si interessò anche alle soluzioni
formali e siccome conosceva le opere di Wright, continuò per tutta la sua carriera a confrontarsi con l’architetto americano,
oltre che con le opere di maestri europei, come Mies e Aalto. Già la visita di Scarpa alla IV Triennale di Milano del 1933,
doveva avergli aperto numerose possibilità di confronto con le sfaccettature del linguaggio architettonico di Wright. Nel
periodo tra le due guerre ebbe anche la possibilità di consultare alcuni volumi della fondazione Tilesin che gli giungevano
dagli Stati Uniti tramite conoscenti. La concezione spaziale del maestro americano era uno dei motivi di interesse di
Scarpa, che ne riprende in modo evidente la complessità progettuale, complicandola con altre suggestioni. Wright divenne
più volte fonte di riferimento per i progetti di Scarpa.
1- Casa Zoppas (Conegliano Veneto, Treviso 1952/53) Scarpa progettò per Gino Zoppas una villa in un terreno
rettangolare producendo molti schizzi e disegni, e che però non venne mai realizzata. Per tali disegni si può
riconoscere come Scarpa aveva dedicato particolare attenzione allo sviluppo degli elementi strutturali e si era
servito di un metodo compositivo tipicamente wrightiano, sviluppando una forma spaziale a partire dall’interno e
non da un’idea formale preesistente. I suoi disegni mostrano lo studio del modello delle Praine Houses, delle loro
facciate, dei tetti fortemente aggettanti e dalle aperture di varie forme. La seconda versione della pianta mostra
due corpi di fabbrica disposti a L e suddivisi dal punto di vista funzionale in zona giorno e zona notte. Inoltre sono
visibili l’applicazione di forme geometriche, come cerchio e rombo. Alcune caratteristiche planimetriche, come
l’organizzazione dello spazio con segmenti di pareti indipendenti, derivano dai modelli miesiani e De Stjil, ma la
geometria che si estendono oltre il pavimento, derivano dalle Praine Houses, e la concezione a L dalla Usonian
House. Punto caratteristico del progetto di Scarpa è la zona centrale tra le due ali collegata alla zona di ingresso,
tramite un sistema di sostegno circolare che sorregge il tetto, forse derivato dalla Martin House a Buffalo di
Wright. In un altro studio la pianta è concepita attraverso la sovrapposizione di un reticolo romboidale, che
rispecchia le ricerche di Wright nelle forme geometriche, quali l’esagono.
2- Casa Veritti (Udine 1955-61) come casa Zoppes, questa casa fu progettata in tre stadi, accomunati dall’idea del
cerchio come forma base. Nel 1955 l'avvocato Veritti affida a Scarpa, conosciuto nel
1951 tramite suo cugino Angelo Masieri, il progetto per la propria residenza familiare,
da realizzare su un'area rettangolare (m 27x50), collegata mediante una strada
privata a viale Duodo. L'edificio è articolato su quattro piani (seminterrato, piano
rialzato, piano primo e attico) collegati da una scala a chiocciola, il cui volume
cilindrico emerge all'esterno. Il lato nord è chiuso da un muro curvo in cemento
armato, mentre quello sud si presenta in gran parte vetrato. La zona giorno occupa
il piano rialzato, caratterizzato dalla grande living room, a sbalzo sulla vasca d'acqua
a forma di mezzaluna che completa il cerchio su cui insiste l'impianto della villa, e
dal giardino d'inverno, situato nel corto braccio longitudinale. - Al primo piano sono
collocate le camere dei committenti, dei loro figli e della servitù; infine l'attico
comprende alcuni affacci a terrazza, il solarium e una camera di servizio. L'ossatura
strutturale dell'abitazione è formata da tredici pilastri a pianta triangolare composti
da elementi modulari in cemento sagomati a formare un motivo decorativo; nella cavità interna sono inserite le
tubature degli impianti, mentre il tratto di sostegno che spunta dalla copertura ospita delle fioriere e un terminale
metallico per l'illuminazione. I disegni conservati, in numero esiguo, illustrano tre varianti planimetriche. Nella
prima, denominata da Scarpa la casa introversa, una coppia di corpi circolari di differente dimensione collegati
da una galleria vetrata ospitano la zona giorno, affacciata su una vasca d'acqua, e la zona notte; nella successiva
versione, i due corpi cilindrici sono fatti slittare l'uno rispetto all'altro, rimanendo collegati dal passaggio
trasparente. - Entrambe le soluzioni vengono scartate dai committenti per ragioni distributive. La terza variante,
realizzata, prevede un unico volume semicircolare, a sbalzo sulla vasca d'acqua, collegato a un corto braccio
longitudinale corrispondente al giardino d'inverno. Ad essa sono dedicati alcuni studi parziali di pianta e verifiche
grafiche a livello di dettaglio. In principio i due corpi di fabbrica cilindrici erano affiancati ma indipendenti, collegati
da una galleria vetrata. Quest’idea è forse derivata dal Sol Freeman Residence a New York di Wright, osservato
da Scarpa dalle foto esposte alla mostra del 1951. Anche la sovrapposizione di diverse forme geometriche
derivano dal metodo compositivo di Wright. I pilastri a sezione triangolare, con angoli smussati e cavi all’interno
per la canalizzazione degli impianti, consistevano in elementi modulari in cls, che ricordano il sistema texstile-
block sviluppato da Wright a partire dal 1923.
Museo di Castelvecchio (Verona 1958-64) qui sono combinate diverse fonti. Il Museo di Castelvecchio è uno dei
3- più importanti musei della città di Verona, nonché uno dei più
interessanti dell'arte italiana ed europea [senza fonte]. Il museo venne
restaurato e allestito con criteri moderni tra il 1958 e il 1974 da Carlo
Scarpa, di cui divenne uno degli interventi più completi e meglio
conservati. Carlo
Scarpa considerò
Castelvecchio un
organismo unitario su
cui intervenire, senza
fare distinzioni tra il
restauro dell'edificio e l'allestimento museografico, metodo che
usò anche in importanti lavori precedenti, come per le Gallerie
dell'Accademia a Venezia, palazzo Abatellis a Palermo, la
Gipsoteca Canoviana a Possagno. L'intervento dell'architetto
veneto andò a insinuarsi tra le preesistenze proponendo
ampliamenti, soluzioni distributive inedite e nuovi percorsi. Scarpa decise di impostare la sua opera di restauro e
la realizzazione dell'allestimento con criteri moderni che hanno fondamento nelle teorie del restauro del
dopoguerra. Il primo corpo ad essere restaurato fu la cosiddetta ala della Reggia, cioè la residenza scaligera:
durante i lavori vennero alla luce nuove scoperte archeologiche, furono pensati i percorsi di visita del pubblico,
vennero realizzati i solai, i pavimenti, le scale, il sistema di illuminazione, e fu steso intonaco di calce grezza.
Successivamente i lavori proseguirono nell'edificio ottocentesco presente nella Corte d'Armi, che da allora viene
chiamato ala della Galleria. Il giardino, che venne sistemato solo pochi giorni prima dell'apertura del museo, è un
preludio al museo semplice ma di grande effetto. Si tratta di un prato di forma rettangolare delimitato verso sud
da due siepi che formano un diaframma per chi si avvia in leggera salita verso l'ingresso del museo.
Fondazione Querini Stampalia La Fondazione Querini Stampalia è una fondazione culturale di Venezia con sede a
Palazzo Querini Stampalia; fu voluta nel 1868 dal N.H. Giovanni Querini Stampalia,
che moriva l'anno successivo senza eredi diretti. Ha subito un'importante opera di
restauro da parte dell'architetto Carlo Scarpa tra il 1961 e 1963 combinando pietra e
cemento. Vi sono allestiti una biblioteca, un museo e un'area per esposizioni
temporanee. Nel 1949 il Consiglio di Presidenza della Fondazione Querini Stampalia
decide di dare inizio al restauro di alcune parti del Palazzo. Manlio Dazzi, direttore
della Fondazione, affida a Carlo Scarpa il compito di risistemare una parte del piano
terra ed il giardino sul retro del palazzo che si trovano in uno stato di estremo abbandono e degrado. Il progetto viene
realizzato solo dieci anni dopo con la direzione di Giuseppe Mazzariol, amico e sostenitore del maestro veneziano.
Mazzariol desidera incentivare l'organizzazione di attività culturali e riorganizzare l'ingresso del Palazzo portandolo sulla
facciata e sul Campiello Querini Stampalia. Identifica quindi proprio nel piano terra (e nel retrostante spazio all'aperto)
reso inutilizzabile dalle frequenti invasioni dell'acqua marina, le sale destinate ad esposizioni, convegni ed altre iniziative.
L'intervento di restauro di Scarpa si basa su un misurato accostamento di elementi nuovi e antichi e su una grande
maestria nell'uso dei materiali. L'acqua è protagonista: dal canale su cui si affaccia il palazzo, entra nell'edificio
attraverso paratie che corrono lungo i muri interni; si trova in giardino in un'ampia vasca a più livelli in rame, cemento e
mosaico e in un piccolo canale ai cui estremi si trovano due labirinti scolpiti in alabastro e pietra d'Istria. L'opera del
grande maestro dell'architettura italiana del '900, a Palazzo Querini Stampalia si articola su quattro temi: il ponte, che
rappresenta il più leggero arco di congiunzione realizzato a Venezia negli ultimi secoli; l'entrata con le barriere di difesa
dalle acque alte; il portego e il giardino.
4- Progetto di casa ad appartamenti (Feltre 1949) citazione quasi letterale del progetto di Wright per gli Elisabeth
Noble Apartments. Committente: Eugenio Fondelli. - Scarpa progetta un edificio, elevato per sei piani d'altezza,
da collocare su un'area quadrata di dimensioni limitate. Il piano terra è occupato dai garages e dalle cantine,
mentre i quattro piani superiori ospitano abitazioni unifamiliari; il sottotetto, infine, viene destinato al personale di
servizio. Lastre di pietra a vista rivestono lo zoccolo dell'edificio, mentre il corpo sovrastante, dal quale si staccano
a sbalzo le pensiline in cemento armato, è intonacato. - Nell'articolazione dei volumi, come nei dettagli, Scarpa
riprende le forme del complesso Elisabeth Noble Apartments a Los Angeles, progettato da Wright nel 1929,
offrendone una lettura espressiva del proprio linguaggio personale. I disegni conservati rivelano l'attenzione
scarpiana per la definizione della volumetria delle singole parti, coordinate poi in un sistema unitario. Numerosi
studi sono dedicati, in particolare, all'articolazione delle falde del tetto, che all'inizio dell'iter progettuale si
presentano come due semplici spioventi, per diventare poi un organismo complesso ad alto impatto plastico
Padiglione del Libro (Giardini di Castello, Venezia 1950) si tratta di un padiglione temporaneo con struttura in
5- legno, che ricorda la composizione di travi diagonali di Tilisien West ormai
andato distrutto. Esso di trovava presso la sede delle Esposizioni della
Biennale, tenutasi fin dal 1895 nei Giardini realizzati da Napoleone agli
inizi dell'Ottocento, e ospitante 29 padiglioni di paesi stranieri, oltre al
Padiglione Centrale. Alcuni padiglioni dei Giardini sono stati ideati e
realizzati da celebri architetti: il padiglione dell'Austria, eretto nel 1934, è
una delle ultime opere di Josef Hoffmann, il maestro della Secessione; il
padiglione dell'Olanda è stato costruito nel 1954 da Gerrit Thomas
Rietveld, maestro del movimento De Stijl, ed è basato su rigorosi rapporti
geometrici sulla base del quadrato; il padiglione della Finlandia è un
prefabbricato a pianta a trapezio progettato da Alvar Aalto, montato nel 1956 con parti arrivate dalla Finlandia.
Il Padiglione del Venezuela (Venezia 1954-56) ispirato al tempio Unitario ad Oak Park ed è attribuito al Maestro Carlo
Scarpa, che progettò anche il piccolo Padiglione del Libro, andato distrutto in un
incendio, e diversi altri spazi della Biennale. Artefice dell’iniziativa del governo
venezuelano ed in particolare dell’affidamento del progetto del padiglione a Carlo
Scarpa è Graziano Gasparini – allievo e grande estimatore di Scarpa, pittore e
architetto, Gasparini risiede a lungo in Venezuela, sino a ricevere nel 1954 la
cittadinanza e la nomina a commissiario della Biennale. Carlo Scarpa riceve
l’incarico nel settembre del 1953, ma il padiglione del Venezuela venne
definitivamente ultimato solo il 1° giugno 1956. Le principali caratteristiche spaziali e volumetriche individuano tre
volumi che reciprocamente slittano tra loro mentre le forme strutturali elementari sono semplici e di sollecita
esecuzione. Orientamento nord-est , sud-ovest.
Chiesa di corte a Cadore (1956-61) progettata assieme ad Edoardo Gellner, è ispirata alla forma triangolare
dell’usonian Church, e di molti altri progetti di chiese (Unitarian Church and Madison). La chiesa denominata Nostra
Signora del Cadore, è un gioiello dell'architettura
sacra contemporanea che per gli studiosi e
appassionati merita da sola il viaggio in Cadore.
Caratteristica è la vertiginosa guglia, sottile ed
altissima, che sostiene campane, campanelle,
sfere e simboli religiosi. Assieme al deciso
sviluppo in verticale dell'edificio, contribuisce a
sottolineare il valore di elevazione religiosa del
complesso. La copertura, a due falde fortemente
spioventi, è a travature di legno ricoperte da 'scandole' d'acciao con inserti di ampie
vetrate. La maestosa struttura è trattenuta da un fitto reticolo di corde d'acciaio
ancorate a originali 'scatole' di ferro annegate in pilastrini di cemento. L'originalissimo
pavimento è a rondelle di legno di larice annegate nel calcestruzzo e denotano la grande cura profusa anche nei
minimi particolari di tutto l'edificio. La luce all'interno penetra da due fronti: le falde del tetto e il timpano della facciata
con travature verticali di larice. La luce è soffusa e delicata e le aperture sulle navate laterali permettono l'apertura
visiva sulla rigogliosa natura boschiva circostante. Fu la prima chiesa costruita con l'altare 'versus populum', vale a
dire rivolto verso i fedeli, anticipando, e forse anche stimolando, le scelte avvenute successivamente con il Concilio
Vaticano.
Tomba Brion (San Vito d’Altivole, in provincia di Treviso - 1969/78) riferita al progetto di Wright per la Obolm house,
ma anche ai motivi della Textin Block House e allo studio delle forme piramidali a tronco. è un complesso funebre
monumentale. Venne progettata e realizzata dall'architetto veneziano Carlo Scarpa su commissione (1969) di Onorina
Brion Tomasin, per onorare la memoria del defunto ed amato congiunto
Giuseppe Brion, fondatore e proprietario della Brionvega, e conservarvi le sue
spoglie, e quelle di alcuni parenti. Il complesso funebre è strutturato a forma di
"L ribaltata" ed è composto dai Propilei, da un Acrosolio, da una Cappella, da
un "Padiglione della meditazione" posto su uno specchio d'acqua e da
un'Edicola che ospita le tombe dei parenti.
I Propilei si presentano con una facciata asimmetrica, chiusa a destra da un setto fortemente modellato (simboleggia
la forza), mentre a sinistra da una sorta di pilastro (la bellezza).
L'Arcosolio è il riferimento visivo di tutti i percorsi possibili all'interno del cimitero: dispone di un ricco tappeto a due
file di tessere a scacchi bianchi e neri, la cui linea mediana, l'unica che lascia a destra e a sinistra le luci e le ombre
dell'esistenza comune, collega i due feretri. I sarcofagi sono rivestiti con doghe in ebano e nel loro spazio centrale,
che solo una persona alla volta può attraversare, due rulli in bois de rose offrono un appiglio se il cuore viene meno.
L'Edicola che ospita le tombe dei parenti ha una fenditura continua sulla linea di colmo[1] della copertura: ricorda l'uso
di togliere alcune tegole dal tetto della stanza dei morti per permettere alle anime di salire in cielo.
La Cappella (o tempietto) è situata al centro di una vasca d'acqua nella quale sono collocate forme di calcestruzzo a
gradini, quasi a rappresentare le fondamenta affioranti di antichi edifici. Di fianco vi è un piccolo giardino che ospita il
camposanto dei parroci del paese. Al centro dell'aula una lastra rettangolare indica la posizione del feretro.
Il Padiglione della Meditazione si presenta come una scatola a cui è stata "tagliata via" la parte inferiore, appare quindi
come sospeso nell'aria e sull'acqua. In realtà è sorretto da esili montanti dal profilo spezzato. Luogo magico e dalla
tranquillità mistica è volutamente separato del resto del complesso mediante una porta che si abbassa e scompare
nell'acqua, azionata da un complesso sistema di cavi e pulegge nascosto all'occhio del visitatore.
6- Banca Popolare di Verona (1973) è un edificio progettato da Carlo
Scarpa con la collaborazione di Arrigo Rudi, il quale ha completato l'opera del
maestro dopo la sua morte. La collaborazione tra la Banca Popolare di Verona
e Carlo Scarpa iniziò nel 1973 e si concluse nel 1978, anno della sua morte,
mentre l'edificio venne completato nel 1981 secondo il progetto originale
dell'architetto veneto. È situato in pieno centro storico a Verona, e si affaccia
su piazza Nogara e vicolo Conventino. in facciata il motivo scalettato è ispirato
a Wright. Il lavoro di Scarpa consistette in un continuo ridisegno del progetto e
nel controllo critico delle modifiche che apportava, modifiche spesso appena percettibili. Si trattò di un lavoro
molto raffinato, che portò alla sistemazione della composizione tramite piccoli aggiustamenti. Questo metodo di
lavoro era tipico del modo di progettare dell'architetto veneto
MARCELLO D’OLIVO (Udine, 27 febbraio 1921 – Udine, 24 agosto 1991) è stato un architetto, urbanista e pittore
italiano. Ripresi gli studi conseguì la licenza media nel 1939 e nel 1942 il diploma al liceo artistico di Venezia. Nello
stesso anno s'iscrisse all'Istituto universitario di Architettura di Venezia, dove si laureò nel 1947. Il suo operato in
campo architettonico e urbanistico viene definito organico sperimentale per i continui riferimenti all'interazione fra
natura e tecnologia, con l'ambizioso tentativo di omologare quest'ultima con lo studio delle leggi genetiche e
morfologiche della natura stessa. La sua opera più famosa è la spirale, detta "la chiocciola", di Lignano Pineta
realizzata nel 1955. L'impianto urbanistico del nuovo villaggio turistico destò l'interesse di Ernest Hemingway che
venne a conoscere l'architetto D'Olivo.
Scarpa, che insegnava alla IUAV, influenzò molti dei suoi studenti (tutti laureati nel 1946) promuovendo un indirizzo
didattico a favore di un’architettura organica. Tra questi brillanti studenti ci furono Marassuti, Gellner, Masieri e
Marcello d’Olivo. Quest’ultimo già alla fine degli anni ’40, si era indirizzato verso soluzioni spaziali che riproponevano
le forme geometriche presenti nelle invenzioni di Wright. Certamente la mostra fiorentina del 1951 continuò ad
alimentare le sue ricerche progettuali. In questi anni compaiono infatti dei progetti di d’Olivo con forme poligonali e
parallelepipedi tridimensionali, spesso sovrapposti e ruotati, sia concentrici che curvilinei, costituite con diversi raggi.
In particolare, fra i progetti di Wright pubblicati nel numero di Metron, che servì da catalogo alla mostra del 1951,
spiccano i progetti di Wright degli anni ’40, che furono usati da d’Olivo nei suoi progetti degli anni seguenti. Il suo
operato in campo architettonico e urbanistico viene definito organico sperimentale, per i continui riferimenti
all'interazione fra natura e tecnologia, con l'ambizioso tentativo di omologare quest'ultima con lo studio delle leggi
genetiche e morfologiche della natura stessa. La sua opera più famosa è la spirale, detta "la chiocciola", di Lignano
Pineta realizzata nel 1955. L'impianto urbanistico del nuovo villaggio turistico destò l'interesse di Ernest Hemingway
che venne a conoscere l'architetto D'Olivo. Nel 1950 fece parte dell'A.P.A.O. , l'Associazione Per l'Architettura
Organica fondata da Bruno Zevi . A Lignano Pineta D'Olivo realizzò anche tre originalissime ville che fecero scrivere
allo storico dell'architettura Bruno Zevi "D'Olivo è il Wright italiano".
Villa Mainardis (Lignano Pineta 1954-55) ricorda gli esperimenti
1-
circolari per la Mc Cord House e la david Wright House. Villa Mainardis, la
residenza estiva di Ivana Cimolai a Lignano Pineta, è stata progettata dall’ arch.
Marcello D’Olivo nel 1954. La struttura architettonica dalle linee sinuose è
immersa nel verde di fronte al mare. In uno spazio interno,
esattamente nella parete lunga 12 metri che si riflette sulla piscina,
si decide di realizzare una decorazione musiva che si integri e che
dialoghi in modo armonico, con lo spazio architettonico della casa,
e con quello naturale della marina. Il progetto si fonda sulle emozioni
che il mare ci trasmette quando noi lo guardiamo con gli occhi
dell’anima. Riflessi e colori che mutano a secondo della luce e del
movimento dell’acqua sono proiettati nel cortile interno della casa.
La magia del mare è stata resa possibile e realizzata in forma
compiuta mediante lo splendore dei colori, e dalle traiettorie delle tessere musive in smalto Veneziano.
2- Villa Spezzotti (Lignano Pineta 1955—57) con le sue circonferenze spezzate e intersecate, ricorda invece la
Burlinghton House di Wright. ((d 3- Villa Farsura (Sirmione 1958-60)
sembra una citazione letteraria della Clewelly Wright House.
Villaggio del Fanciullo (Opicina, Trieste 1950-57) Il Villaggio del
Fanciullo è l’opera che rivela D’Olivo all’attenzione della critica
architettonica: Bruno Zevi vi individua un superamento dell’architettura
razionalista e giudica la mensa del Villaggio uno dei risultati più maturi
della “tendenza organica” in Italia.
Il committente è il prete triestino Mario Shirza, che realizza sull’altopiano di Opicina sopra Trieste un complesso edilizio
per accogliere giovani disadattati, orfani e profughi di guerra. La struttura subisce varie elaborazioni, accomunate
dalle forme aspre e taglienti degli edifici, che sembrano ispirate al paesaggio carsico circostante.Le tre direzioni e la
geometria in cui si articola la Charhondi house (1950) di Wright sembrano aver suggerito a d’Olivo l’articolazione
planimetrica del suo villaggio ad Opicina. Il villaggio è costituito da più edifici pensanti in stretto rapporto con la natura
brulla circostante, che formano una piccola città. D’Olivo lavorò al progetto per 7 anni e realizzò il refettorio, un corpo
rettilineo contenuto tra due torri quadrate; la topografia con un’originale pianta a quadrifoglio ospita i dormitori,
ambienti di soggiorno e aule in due ali disposte a 120’, e a nord del complesso tre nuclei abitativi. Nella disposizione
planimetrica delle diverse parti, nella composizione spaziale dei singoli elementi, nei motivi decorativi è evidente la
presenza del repertorio formale wrightiano.
4- Progetto per Fermi Meomorial ( Chicago 1957) è evidente il riferimento del grattacielo alto un miglio, con una
torre alta un chilometro.
5- Progetto per città universitaria a Riad (Arabia Saudita 1958) anche a scala territoriale e urbana, i tracciati di
d’Olivo, sono riferiti agli schemi circolari di Wright, come il piano per Bagdad.
Piano di lottizzazione di Lignano Pineta (1952-53) Alcune tavole relative al progetto per
Lignano Pineta forniscono i indicazioni sulla spirale che è diventata il segno più importante
del nuovo insediamento. Inizialmente i soci della Lignano Pineta avevano pensato a
realizzare un campeggio, ma in seguito si orientarono verso un villaggio per le vacanze; in-
fatti la loro idea era quella di far vivere gli ospiti in mezzo a un paesaggio naturale. Il concorso
indetto dalla neonata Società Lignano Pineta fu vinto da Marcello D’Olivo Alcune tavole
relative al progetto per Lignano Pineta forniscono indicazioni sulla spirale che è diventata il
segno più importante del nuovo insediamento.
6- Studio di città satellite (Roma 1955) anche qui propone delle forme a spirale
7- Progetto per la colonia Olivetti (Brusson, Aosta 1956)è una colonia estiva. Adriano
Olivetti, direttore generale della omonima fabbrica, e Enrico Mattei, presidente dell’ENI sono impegnati nel
favorire il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita degli operai nelle aziende da essi controllate, favorendo
occasioni di svago e riposo per i dipendenti e le loro famiglie. Qui avviene la reinterpretazione, mediata dalla
scelta dei materiali e delle tecniche, dei temi tipici locali.
8- Monumento al milite ignoto (Bagdad 1979-82) riferito forse allo sport club a Hollywood di Wright. Il complesso,
commissionato dall’ex dittatore iracheno Saddam Hussein si configura come un rialzo artificiale, con una
piattaforma di granito rosso che conduce alla cupola ellittica che si schiude come una conchiglia a copertura della
scultura cubica posta sotto ad essa. La cripta sottostante è quella del sacrario del Milite Ignoto.
In quest’opera, attraverso l’accostamento di materiali quali l’alluminio,
marmi pregiati, pezzi cromati, e l’arditezza della struttura, D’Olivo ha
dato vita a un'opera che riassume l’intero orizzonte delle proprie
capacità plastiche ed espressive
LEONARDO RICCI (Roma, 1918 – Venezia, 29 settembre 1994) è stato un architetto italiano. Leonardo Ricci aspira
a rendere l'uomo il protagonista della sua architettura: egli sostiene, infatti, che la "prima vera operazione
architettonica non è prendere un pezzo di carta e disegnare forme e schemi distributivi. È immaginare nello spazio il
movimento di coloro che lo abiteranno." creando spazi in grado di stimolare nuovi rapporti sociali all'interno della
società. Per questo contesta l'opera di Le Corbusier, definendo l'Unité d'Habitation una sorta di albergo, un contenitore
che non si pone il problema dell'abitare.[2] Ricci invece predilige un'architettura tesa a valorizzare i rapporti della
comunità e il rapporto col paesaggio; a tal fine, nei suoi progetti, egli adotta tipologie conventuali, strutture collegate
tra loro tramite percorsi e passaggi attrezzati, così da favorire le relazioni tra le parti e quelle sociali.
1- Villaggio di Monterinaldi (Firenze 1949-65) Nelle intenzioni del suo autore, il villaggio doveva assumere un
carattere sperimentale e comunitario, la cui crescita è stata impostata sulla base di un programma "aperto”; nel
1948 Ricci aveva acquistato un vasto terreno scosceso in
prossimità di una zona di pietra abbandonata a Monterinaldi,
un luogo aspro e brullo con un’incantevole vista su Fiesole e
Firenze. Qui decidi di costruire la sua casa completata nel
1952, poi ampliata a più riprese negli anni successivi,
concepita come un organismo naturale in continua evoluzione.
Una seconda casa di dimensioni minori fu costruita tra il 1951-
52 per l’amico e collaboratore Gianfranco Petrelli. Attirati più
per la bellezza del luogo che per le caratteristiche
dell’architettura, si presentarono presto altri committenti ai
quali Ricci cedette lotti di terreno assicurandosi l’incarico dei
progetti. Secondo le intenzioni di Ricci, Monterinaldi doveva
essere un esperimento, non semplicemente un residence per
sé e pochi privilegiati in un ambiente straordinario, ma un’occasione per sperimentare nuovi modelli abitativi per
un nuovo modo di vivere, libero da convenzioni. Tale intenzione utopica aveva le sue radici nel fervore di
rinnovamento e impegno sociale che nel secondo dopoguerra ammirò i giovani architetti fiorentini, influenzati
dalla carismatica figura di Giovanni Michelucci. Ricci si era lamentato a Firenze nel 1942. Nel 1947 aveva
progettato il centro comunitario valdese ad Agape per iniziativa del pastore Tullio Vinoy, costruito da giovani
volontari utilizzando la pietra locale, risente dell’insegnamento di Michelucci per la ricerca della non forma e di
un’architettura del lasciar essere. Mentre sorgeva, Agape, l’attività del pittore aveva condotto Ricci a Parigi.
Questo soggiorno segna una svolta nella formazione ideologica di Ricci, che si orientò verso un espressionismo
mistico. Tra il 1951 e la metà degli anni ’60, il villaggio conta 15 abitazioni, caratterizzati da un’omogeneità
linguistica ma distributiva senza un vero e proprio piano. Ricci, infatti, progetta sul posto, sulla base di progetti
preliminari continuamente modificati.
Ciottoli del litorale toscano, insieme a pezzi di vetro e scarti delle produzioni industriali, diventano materia per
realizzare mosaici e rivestimenti. La pianta di Casa Ricci a forma di L irregolare, ha la zona giorno ancorata nella
collina e il blocco scale è come un perno della composizione. Il volume che ospita la zona giorno, in facciata è
sostenuta da esili pilastri di cemento, sembra staccarsi dal suolo, quasi sospesa sopra i resti della casa.
La pietra domina nella zona alta, mentre cemento, intonaco e vetro caratterizzano il volume del soggiorno, che si
sviluppa attorno ad una lunga parete in pietra, una sorta di spina dorsale che termina nel camino. Sullo studio si
affaccia una piccola biblioteca, sorta a quota maggiore. A questo livello sono collocate le camere dei ragazzi.
Graduando la luce dell’interno, Ricci riesce a caratterizzare le diverse parti della casa: lo studio è illuminato da alte e
strette aperture alternate e lame di cemento, la zona da pranzo, da cui emerge un’ampia vetrata, l’ingresso da feriroie
disposte irregolarmente. Caratteristica del villaggio è l’inserimento di opere d’arte che dialogano con il paesaggio e
l’architettura.
IGNAZIO GARDELLA (Milano, 30 marzo 1905 – Oleggio, 15 marzo 1999) è stato un architetto, ingegnere e designer
italiano. Nato in una famiglia di architetti, il capostipite è l'omonimo bisnonno Ignazio Gardella (senior), si laurea in
ingegneria al Politecnico di Milano nel 1928 (mentre ottenne la laurea in architettura allo IUAV, Istituto Universitario
d'Architettura di Venezia nel 1949). Nel periodo universitario entra in contatto con gli altri giovani protagonisti della
scena milanese assieme ai quali prende parte attiva alla creazione del Movimento Moderno italiano. L'attività di
Gardella ha avuto un ruolo determinante anche nel campo del design, già dal 1947 quando fonda, insieme a Luigi
Caccia Dominioni l'azienda Azucena, la prima che inaugurò la produzione italiana di design di qualità. Gardella ha
progettato principalmente mobili d'arredamento. L'architettura di Gardella mantiene sempre una compostezza che si
potrebbe definire classica. Ciò lo si desume sia dalla estrema raffinatezza del dettaglio, che lo accosta talvolta al
contemporaneo amico Franco Albini, sia dal controllo del disegno complessivo dell'edificio e dello spazio
architettonico. Nella sua architettura c'è la preoccupazione di distaccarsi dall'immediato, dalla moda del momento, e
di ricercare un altrove senza tempo. omplementare a questo aspetto è invece la capacità di cambiare registro, di
adattarsi al genius loci (lo spirito del luogo), come pochi altri architetti sono riusciti ad esprimere. Se si confrontano le
quasi contemporanee case Borsalino ad Alessandria con la casa alle Zattere a Venezia ci si rende conto di una
differenza enorme. Cambiano i materiali, gli elementi, l'impostazione dei volumi. Ciò è dovuto evidentemente alla
volontà di accogliere influenze dal contesto dell'ambiente costruito.
1- Mensa Olivetti (Ivrea 1953-59) Il servizio mensa organizzato dalla Olivetti viene istituito nel 1936, anno in cui il
numero dei dipendenti arriva a circa 2000. La mensa viene pensata principalmente per i lavoratori che provengono
da fuori Ivrea e che non hanno la possibilità di rientrare a casa durante la pausa per il pranzo. Il nuovo servizio
aziendale occupa il piano sotterraneo di un’intera ala di fabbrica e
prevede anche una piccola area dotata di una serie di fornelli che
permettono di riscaldare gli eventuali cibi portati da casa. Ben presto,
però, la sede occupata dalla mensa non fu più in grado di accogliere il
numero sempre crescente di dipendenti, scelta del luogo in cui realizzare
la nuova mensa cadde su una vasta zona verde ai piedi della collina
presso il Convento di Ivrea, antica abitazione della famiglia Olivetti, a
poche decina di metri dalla fabbrica. L’Azienda riteneva importante che i
dipendenti, oltre a poter godere di un buon pasto, potessero anche
distrarre la vista e la mente, ritrovandosi immersi in un’area ricca di
vegetazione, a contatto con la natura. Per rendere ancora più vivibile e
rilassante il momento del pranzo, la mensa venne dotata di grandi vetrate da cui poter ammirare il panorama
circostante. L’edificio, inaugurato nel settembre del 1959, venne strutturato su due piani interrati e due fuori terra,
costituiti rispettivamente dalle cucine e dalle sale dove distribuire e consumare i pasti.
LUIGI FIGINI (1903 – 1984) E GINO POLLINI (1903 – 1991) sono stati due architetti Italiani del XX secolo legati da
un sodalizio durato più di 50 anni. Le loro storie professionali sono quindi inscindibili l'una dall'altra e sono legate alle
opere che congiuntamente hanno progettato e realizzato.
Entrambi laureatisi in architettura al Politecnico di Milano negli anni venti del Novecento, aprono assieme lo studio
professionale nel 1929 a Milano mentre divengono tra i fondatori del Gruppo 7 e membri del M.I.A.R.. Nel 1930
presentano la Casa Elettrica alla IV Triennale di Monza a cui segue la Villa-studio per un artista presentata alla V
Triennale di Milano del 1933 che in qualche modo si riallacciava al disegno del padiglione di Ludwig Mies van der
Rohe di Barcellona di quegli anni. Nel 1934/35 realizzano le officine Olivetti ad Ivrea con le quali iniziarono una
collaborazione che si protrarrà sino a tutti gli anni cinquanta del Novencento: 1939/40 - Asilo-nido e casa popolare al
Borgo Olivetti; 1940/42 - Case per impiegati; 1954/57 - Fascia di servizi sociali; interventi quest'ultimi che assumevano
rilevanza anche urbanistica. Figini e Pollini sono di chiara fede razionalista e la loro scelta iniziale è portata avanti con
coerenza tramite un lavoro continuo, che si legge nelle loro costruzioni e progetti e si estrinseca costantemente nella
ricerca dell'equilibrio tra gli ideali propri del Movimento Moderno forma, funzione, economia, ma anche armonia e
bellezza nuovi. La loro opera si inquadra in quello che sono stati gli architetti italiani soprattutto del secondo
dopoguerra del 900 e cioè un'architettura dell'eccellenza del progetto come evento irripetibile, scelta personale,
funzionalismo originale e di elevato valore. Nella loro opera si può leggere una semplicità formale, nel disegno
planimetrico e prospettico, che parla di luce e di spazio architettonico, di tempo, di spiritualità e di poesia,
Servizi Sociali Olivetti (Ivrea 1954-58) Il progetto fu presentato ad un concorso ad inviti in due versioni: una basata
1- sulla geometria dell'esagono ed una variante secondo l'angolo retto, più aderente alla logica razionalista. La
scelta definitiva per la soluzione esagonale fu presa anche con la partecipazione di Adriano Olivetti, direttamente
coinvolto nello sviluppo del progetto. Il reticolo esagonale "apre" l'edifico
verso la strada, coinvolgendo lo spazio urbano in una continuità fra
interno ed esterno di matrice organica.
La relativa rigidità della maglia esagonale costringe i progettisti ad alcune
forzature nelle soluzioni funzionali e distributive interne, comunque
bilanciate dalla "permeabilità" spaziale dell'edificio che, da centro sociale
di un'impresa privata diventa quindi centro civico della città di Ivrea,
prolungando la sua funzione ed integrando il proprio spazio con quello del
tessuto circostante.
L'edificio, realizzato solo per due terzi, è circondato da ampie terrazze
che accentuano la "dilatazione" e il prolungamento dello spazio interno
anche ai piani superiori, annullando così il tema della "facciata" e
ponendosi in contrappunto con gli antistanti fronti delle Officine.
Nel portico al piano terreno i pilastri sono blocchi monolitici di sienite.
Luminosa palazzina di interesse storico nata da un'idea di Adriano Olivetti
e progettata dai celebri architetti Figini e Pollini nel 1960 come sede per uffici e centro sanitario privato. Disposta su
tre livelli più piano interrato, dispone di ampi terrazzi, area verde e zona parcheggio privata. A soli 250 metri dalla
stazione e a pochi chilometri dall'uscita autostradale, questa struttura è l'ideale per una clinica o casa di riposo per
anziani non autosufficienti. Acquisto diretto dalla società proprietaria. I due edifici, arretrati rispetto al filo stradale, si
sviluppano su due piani e sono collegati a livello della strada mediante un ampio e continuo percorso pedonale,
coperto per un lungo tratto da un porticato a difesa dal sole e dalla pioggia. I volumi dei livelli superiori si aprono verso
l’esterno per mezzo di grandi superfici terrazzate e porticati. Il secondo piano presenta corpi ulteriormente arretrati.
Ampie terrazze accentuano la "dilatazione" e il prolungamento dello spazio interno anche ai piani superiori, annullando
così il tema della "facciata" e ponendosi in contrappunto con gli antistanti fronti delle Officine. Gli interni dei due corpi
di fabbrica si pongono in un rapporto di continuità con l’esterno di matrice organica, che arriva a coinvolgere lo spazio
urbano per mezzo di grandi superfici terrazzate e porticati. Schema planimetrico costruito su un reticolo di esagoni di
6 metri per lato, che "apre" l'edificio verso la strada. I due corpi di fabbrica, separati per ottenere una netta
differenziazione funzionale, vengono poi unificati dalle vie di comunicazione, dai lunghi porticati, dalle terrazze.
Le Corbusier, pseudonimo di Charles-Edouard Jeanneret-Gris (La Chaux-de-Fonds, 6 ottobre 1887 – Roquebrune-Cap-
Martin, 27 agosto 1965), è stato un architetto, urbanista, pittore e designer svizzero naturalizzato francese.
Tra le figure più influenti della Storia dell'architettura, viene ricordato – assieme a Ludwig Mies van der Rohe, Walter
Gropius, Frank Lloyd Wright e Alvar Aalto – come maestro del Movimento Moderno. Pioniere nell'uso del calcestruzzo
armato per l'architettura, è stato anche uno dei padri dell'urbanistica contemporanea. Membro fondatore dei Congrès
Internationaux d'Architecture moderne, fuse l'architettura con i bisogni sociali dell'uomo medio, rivelandosi geniale
pensatore della realtà del suo tempo.
Il principale contributo di Le Corbusier all'architettura moderna consiste nell'aver concepito la costruzione di abitazioni ed
edifici come fatti per l'uomo e costruiti a misura d’uomo [senza fonte]: "solo l'utente ha la parola", afferma in Le Modulor,
l'opera in cui espone la sua grande teorizzazione (sviluppata durante la II guerra mondiale), il modulor appunto. Il modulor
è una scala di grandezze, basata sulla Sezione aurea, riguardo alle proporzioni del corpo umano: queste misure devono
essere usate da tutti gli architetti per costruire non solo spazi ma anche ripiani, appoggi, accessi che siano perfettamente
in accordo con le misure standard del corpo umano. Albert Einstein elogiò l'intuizione di Le Corbusier affermando, a
proposito dei rapporti matematici da lui teorizzati: «È una scala di proporzioni che rende difficile l'errore, facile il suo
contrario». La produzione standardizzata, basata su un modulo replicabile all'infinito, è un concetto che domina tutta la
produzione di Le Corbusier. Nel suo testo teorico Vers une architecture Le Corbusier aveva enunciato i cinque punti
dell'architettura moderna, basati sulla sostituzione dei muri portanti con uno scheletro in cemento armato:
• I Pilotis (pilastri) sostituiscono i voluminosi setti in muratura che penetravano fin dentro il terreno, per fungere
infine da fondazioni, creando invece dei sostegni molto esili, poggiati su dei plinti, su cui appoggiare poi i solai
in calcestruzzo armato. L'edificio è retto così da alti piloni puntiformi, di cemento armato anch'essi, che elevano
la costruzione separandola dal terreno e dall'umidità. L'area ora disponibile viene utilizzata come giardino,
garage o – se in città – per migliorare la viabilità facendovi passare le strade.
• Il Toit terrasse (tetto a terrazza) ha la funzione di restituire all'uomo il suo rapporto con il verde, che non è solo
sotto l'edificio ma anche e soprattutto sopra. Tra i giunti delle lastre di copertura viene messo il terreno e vengono
seminati erba e piante, che hanno una funzione coibente nei confronti dei piani inferiori e rendono lussureggiante
e vivibile il tetto, dove si può realizzare anche una piscina. Il tetto giardino è un concetto realizzabile anche grazie
all'uso del calcestruzzo armato: questo materiale rende infatti possibile la costruzione di solai particolarmente
resistenti in quanto resiste alla trazione generata dalla flessione delle travi (gravate del peso proprio e di quanto
vi viene appoggiato), molto meglio dei precedenti sistemi volti a realizzare piani orizzontali.
• Il Plan libre (pianta libera) è resa possibile dalla creazione di uno scheletro portante in cemento armato che
elimina la funzione delle murature portanti che 'schiavizzavano' la pianta dell'edificio, permettendo all'architetto
di costruire l'abitazione in tutta libertà e disponendo le pareti a piacimento.
• La Façade libre (facciata libera) è una derivazione anch'essa dello scheletro portante in calcestruzzo armato.
Consiste nella libertà di creare facciate non più costituite di murature aventi funzioni strutturali, ma
semplicemente da una serie di elementi orizzontali e verticali i cui vuoti possono essere tamponati a piacimento,
sia con pareti isolanti che con infissi trasparenti.
• La Fenêtre en longueur (o finestra a nastro) è un'altra grande innovazione permessa dal calcestruzzo armato.
La facciata può infatti ora essere tagliata in tutta la sua lunghezza da una finestra che ne occupa la superficie
desiderata, permettendo una straordinaria illuminazione degli interni ed un contatto più diretto con l'esterno.
Questi canoni esposti da Le Corbusier verranno applicati in una delle sue più celebri realizzazioni, la Villa Savoye a Poissy,
nei dintorni di Parigi.
LE CORBUSIER nel secondo dopoguerra
Tra il 1945 e la sua morte, avvenuta nel 1965, Le Corbusier realizza una serie di capolavori di difficile catalogazione.
Ognuno caratterizzato da una complessa correlazione tra vecchi temi e nuovi motivi espressivi. Parte della ricchezza della
sua opera tarda si deve proprio alla tensione tra formulazioni consolidate e nuovi schemi di forma e significato. Negli
anni’40 si allontanò da Parigi per ritirarsi sui Pirenei; al suo rientro alla fine della guerra aveva circa 60 anni e non costruiva
da circa un decennio. Adesso il problema fondamentale era quello della ricostruzione della città, legato al tema della
questione abitativa. Egli si propose in qualità di architetto-urbanista, per porre le basi alla questione della ricostruzione.
Già negli anni ’30 aveva provato ad avvicinarsi a Mussolini nella speranza di mettere in pratica le sue idee a grande scala).
Si dovette accontentare singole e limitate dimostrazioni : progetti di edifici prototipi per abitazioni collettive e interi quartieri,
basati sul principio di concentrazione di tali edifici in porzioni: come le UNITE’S D’ HABITATION di Marsiglia. Riuscì a
realizzare solo pochi casi, ma il tipo divenne il punto di partenza per le riflessioni successive.
Unitè D’Habitation (Marsiglia 1945-53)
conosciuta anche come Cité Radieuse è un edificio
realizzato a Marsiglia ma fu un caso frammentario
rispetto alle sue aspettative. Si erge nei dintorni del
boulevard Michelit, alla periferia di Marsiglia; il
complesso residenziale si estende su un'area di
circa 3.500 metri quadrati e misura 137 metri di
lunghezza per 24 metri di larghezza e può
contenere più di 3.000 abitanti. Osservando le foto
d’epoca la prima impressione è quella di una
scogliera della superficie lavorata svettante su un
brullo paesaggio punteggiato di arbusti, rocce e
alberi. L'edificio si sviluppa su 18 piani, per
un'altezza complessiva di 56 metri e osservando il
basamento si può notare l’adozione di grandi pilotis
di forma tronco-conica che, sorreggendo tutto il corpo di fabbrica, sostituiscono i setti portanti. Inoltre, la loro funzione
strutturale separa volutamente l'edificio dal suolo e, soprattutto, elimina definitivamente la presenza di abitazioni
penalizzate dall’oscurità e dall’umidità derivanti dalla collocazione a terra. Una veduta degli interni dove si nota l'assenza
di setti portanti sulla facciata L’arretramento degli stessi pilastri rispetto al filo dei solai consente, inoltre, il libero sviluppo
della facciata con l'impiego di ampie finestre "a nastro" lungo le pareti perimetrali a tutto vantaggio di un ottimale livello di
illuminazione interna, uno degli aspetti fondamentali dell'opera di Le Corbusier. I prospetti delle facciate sono scandite da
ripetuti moduli rettangolari costantemente caratterizzati dalla presenza del colore in netto contrasto con l'uniformità
cromatica del cemento armato che caratterizza l'intera struttura. Ogni appartamento dispone di un soggiorno a doppia
altezza con terrazza e una parte passante di altezze inferiori, che si sviluppa fino ai piccoli balconi nel lato opposto.
L’accesso è garantito da lunghi corridoi, che seguono l’asse longitudinale. Vi sono 23 tipi di appartamenti, destinati a
diversi fruitori: dal singolo individuo alla famiglia con quattro figli. Le unità abitative sono inserite nei telai strutturali, come
se fossero bottiglie di vino in uno scaffale. Sotto l’edificio, i colossali pilastri, una versione affusolata di quelli dei Padiglione
Svizzero del ’30, definiscono uno spazio comune creando una zona d’ombra. Esternamente i principali accenti verticali
sono definiti dall’ascensore, dalla torre dei servizi, dalle scale e dai due muri di testate all’estremità. A metà della facciata
è inserita una zona con negozi, un ristorante e perfino un hotel. Il tetto a terrazza è contraddistinto da alcuni effetti scultorei:
la palestra, l’asilo e la bizzarra forma a ciminiera del volume tecnico per l’aerazione. Questa terrazza comune, che ospita
anche la pista da corsa e la piscina, è sicuramente un ulteriore celebrazione del mito mediterraneo di Le Corbusier e del
suo sogno per una vita come antidoto allo squallore della città industriale. L’inaugurazione dell’Unitè del ‘ 53 coincise con
il IX incontro del CIAM (congresso internazionale di architettura moderna) e si svolse nel tetto terrazzo dell’edificio. Qui
vide concretizzarsi le idee discusse nell’incontro del ’39, svoltosi nella nave che li condusse da Marsiglia ad Atene, sul
tema della città e che portò alla formulazione della Carta di Atene. Secondo il pensiero di Le Corbusier non esisteva una
sostanziale distinzione tra l’urbanistica e l’architettura. La sua attenzione era principalmente rivolta a studiare un sistema
di relazioni che, partendo dalla singola unità abitativa intesa come cellula di un insieme, si estendeva all'edificio, al
quartiere e all'intero ambiente costruito. Essa venne quindi concepita come una vera e propria "città verticale"
caratterizzata da spazi individuali inseriti in un ampio contesto di aree comuni; questo equilibrio fu supportato dall'impiego
delle più moderne tecniche progettuali e costruttive già scoperte in precedenza dal Razionalismo e dall'esperienza del
Bauhaus. L'edificio rappresenta quindi una sorta di contenitore che racchiude in esso uno spazio urbano, trascendendo la
funzione meramente abitativa di un semplice condominio e concependo l'edificio come una sorta di "macchina per abitare"
per un elevato numero di persone
1- Cappella di Notre Dame Du Haut (Ronchamp 1950-55) è una cappella situata a Ronchamp, presso Belfort in
Francia realizzata dall'architetto Le Corbusier secondo i canoni dell'architettura brutalista in calcestruzzo armato.
La cappella è inserita in un contesto naturale in una cima di
una collina, su cui sorgeva già una cappella in onore della
nascita della Madonna, distrutta dai bombardamenti.
Si decise, quindi, di ricostruire la chiesa più grande, capace
di ospitare 200 persone più i pellegrini che due volte all’anno
si recano al santuario; luogo di celebrazione e accoglimento.
Le Corbusier cominciò a lavorare al progetto già nel 1950, con
soluzioni che sembrano rispondere alle linee del
paesaggio. Qui parla di Acustica Spaziale, rispondente tra
le forme dell’oggetto architettonico e lo spazio circostante.
Sembra inoltre, che per il progetto si riferì all’architettura
locale di Algeri. Infatti nel 1951 durante un suo viaggio,
rimase molto colpito da quell’architettura con muri molto
spessi per isolare dal caldo e le facciate bianche per
riflettere la luce del sole. Dall’esterno la cappella appare
con un’ampia copertura scura dalla curvatura complessa che poggia scomodamente su muri bianchi rastremati,
concavi e convessi. La fluidità della composizione è controbilanciata da tre torri incappucciate orientate diversamente.
L’interno è svuotato come una caverna, e presenta un pavimento in pendenza che focalizza l’attenzione verso l’altare.
All’interno delle torri, le cappelle minori ricevono luce dalle alte feritoie, mentre le sala liturgica dalle coperture
strombate di diversa dimensione e colore della parete meridionale e dalle luce che corrono lungo il pavimento e
sembrano far fluttuare la pesante copertura. Esternamente sul lato orientale Le Corbusier colloca un altare a cielo
aperto, sotto il tetto che appare una chiglia di nave; un pulpito e un’immagine della Madonna, inserita in una nicchia,
nella parete retrostante e visibile attraverso una la finestra anche dall’interno. Sul fronte chiuso colloca una vasca con
diversi oggetti definiti ‘’ oggetti a reazione poetica’’ (riferimenti concreti per la definizione della forma architettonica),
subito al di sotto di un ampio e scultoreo doccione, che riversa l’acqua nella vasca.
Tende inoltre a simulare la struttura portante, come ad esempio il pilone sul fronte orientale nascosto dal volume
rettangolare, che ospita il ripostiglio. Tutto intono vi è una distesa d’erba e non distante una ziggurat di antiche pietre
che segna l’area dove sorgeva l’originaria cappella. Al suo completamento la cappella attirò qualche polemica, infatti,
i critici lo considerarono una caduta nell’irrazionalità, nell’imperfezione e nel non senso. Le Corbusier, maestro
dell’architettura moderna, aveva cambiato profondamente direzione; le invenzioni di Ronchamp trovano precedenti
nei dipinti di L. Corbusier, nelle sue sculture degli anni ’40 e negli schizzi di conchiglie e navi dei primi anni ’30. La
forma del tetto sembra, infatti, ispirarsi alla forma del guscio di un granchio.
Convento di sante Marie de La Tourette (Eveux, Lione 1953-60) durante la costruzione di Ronchamp Le
2- Corbusier venne incaricato di progettare un’altra struttura religiosa, il convento domenicano di La Tourette, vicino
a Lione. Paolo Couturier, che contribuì all’assegnazione dell’incarico a L. C, era uno dei numerosi domenicani
che auspicavano al ritorno alla qualità senza tempo delle chiese romaniche rurali francesi. Egli raccomandò a L.
C. di visitare il monastero cistercense del XI secolo di La Thoronet in Provenza, che egli riteneva esemplificasse
al meglio la regola monastica, e inviò degli schizzi all’architetto, che suggerivano un impianto quadrato tipico con
chiostro centrale. I monasteri avevano certamente avuto una certa influenza sull’immaginazione di L.C., a partire
dalla sua visita alla Certosa di Ema in Toscana, durante il suo viaggio d’ oriente nel 1907. Qui era rimasto
profondamente impressionato dall’ordinata regola architettonica, dell’equilibrio tra zona pubblica e privata,
nonché della veduta del contesto naturale che si scorgeva dalle celle. Durante tale viaggio aveva anche visitato
la comunità monastica del Monte Athos in Grecia, caratterizzata da corti interne e balconi aggettanti verso il
paesaggio. Nel suo progetto utilizzò quindi il tradizionale recinto chiuso impiegando il cemento a vista, come
equivalente delle murature in pietra degli edifici antichi. Anche in questo caso si trova in un contesto naturale sul
punto più alto del colle, e appare stagliato contro il cielo dall’ingresso posto ai piedi della collina. L’idea base è
sempre quella del chiostro, e il complesso è il risultato di un assemblaggio di forme plastiche (come il corpo
laterale che ospita le cappelle minori) e forme geometriche
pure (come la piramide che copre l’oratorio). Il complesso
conventuale comprende una chiesa, un chiostro, una sala
capitolare, aule, biblioteca, sala da pranzo, varie sale,
cucine e un centinaio di singole celle. È costruito in una valle
in forte discesa circondata da foreste e da pianura; per dare
un aspetto meno massiccio alla struttura si è scelto di
appoggiare la massa del convento su pilastri di varia altezza
data la pendenza del terreno. Al suo interno vi sono cento
celle per i monaci. Ancora sotto si trovano le sale studio, più
in basso i refettori e infine, a contatto con il suolo, le cucine.
Nelle zone adiacenti si trovano la chiesa e la sagrestia. È
presente un cortile interno collegato direttamente con l'esterno. Le celle dei monaci, posizionate ai livelli più alti,
sono distribuite su tre dei quattro lati estremi ed espresse in facciata da strombature rettangolari corrispondenti
ai balconi delle celle. Le zone comuni sono poste ai livelli più bassi, mentre gli ambienti pubblici, come l’oratorio
(con tetto piramidale) sono in prossimità dell’ingresso al complesso. Il refettorio è collocato al livello più basso
rispetto al piano di ingresso, ma grazie alla mancata pendenza del sito, sembra sospeso al di sopra del prato. La
chiesa principale ha l’ingresso ad una quota ancora inferiore, ed il suo volume copre una tripla altezza. Un volume
a doppia curvatura ospita le cappelle laterali, con gli altari per le messe quotidiane dei monaci, illuminate da
cannoni di luce di forma cilindrica. La chiesa risulta illuminata da una lunga feritoia verticale, dietro all’altare e da
strette vetrate colorate orizzontali. In facciata è visibile un sistema di brise soleil in sottili elementi di cemento
armato, più presenti nell’Unitè d’ Habitation.
Chandigarh (India 1951-65) Il grande sogno di poter realizzare la città ideale delle utopie rinascimentali e
3- illuministe si concretizza nel 1951. Il primo ministro indiano, Nehru, chiamò Le Corbusier e suo cugino Pierre per
destinare al "più grande architetto del mondo" l'edificazione della capitale del Punjab. Iniziano i lavori per
Chandigarh (la "città d'argento"), probabilmente il punto d'arrivo dell'ardito e pionieristico sviluppo di Le Corbusier.
La divisione degli spazi qui giunge a chiudere definitivamente il divario tra uomo e costruzione: la città segue la
pianta di un corpo umano; gli edifici governativi e amministrativi nella testa, le strutture produttive ed industriali
nelle viscere, alla periferia del tronco gli edifici residenziali - tutti qui molto bassi - vere e proprie isole autonome
immerse nel verde. Si concretizza anche la sua grande innovazione del sistema viario, con la separazione delle
strade dedicate ai pedoni e quelle dedicate al solo traffico automobilistico: ogni isolato è circondato da una strada
a scorrimento veloce che sbocca nei grandi parcheggi dedicati; un'altra strada risale tutto il 'corpo' della città fino
al Campidoglio ospitando ai lati gli edifici degli affari; una grande arteria pedonale ha alle sue ali negozi della
tradizione indiana, con in più due strade laterali automobilistiche a scorrimento lento; una grande strada, infine,
giunge fino a Delhi. La città di Chandigarh fonde tutti gli studi architettonici compiuti da Le Corbusier nei suoi
viaggi giovanili per l'Europa e le sue innovazioni del cemento e della città a misura d'uomo. Simbolico il
monumento centrale della città, una grande mano tesa verso il cielo, la mano dell'uomo del Modulor, «una mano
aperta per ricevere e donare» Il progetto della nuovo città di Chandigarh impiegò L. C. dal 1951 fino all’anno della
sua morte. Nel 1948 il Punjab occidentale e la sua capitale Lahore, furono ceduti al Pakinstan, stato di recente
formazione, lasciando il Punjab nella necessità di avere una nuova capitale. Un primo schema generale fu redatto
da Albert Mayer e Methew Novicki, che nel 1950 morì in un incidente aereo. Su suggerimento degli architetti
britannici Jane Drew e Maxwell Fry, che poi ebbero un ruolo di primo piano nella progettazione dei settori
residenziali, e dell’ingegnere capo Vaima e l’incaricato dei lavori pubblici, si rivolsero a L. C. Nel febbraio del
1951, nel giro di pochi giorni il progetto di massima delle nuove capitali era già pronto. Il corpo principale delle
città fu improntato su una griglia di circolazione, con percorsi gerarchici, che la suddividono in aeree rettangolari
contenenti unità di vicinato, formate da abitazioni basse, una sorta di città giardino. Nel caso del tempo sarebbero
state studiate per le diverse fasce sociali numerose tipologie residenziali per climi caldi; realizzati con materiali
economici. Nel cuore del corpo urbano vi era il centro commerciale collocato di fianco alle arterie principali, che
conduceva alla testa della città, con i più importanti edifici governativi: il Palazzo del Governatore, il Parlamento,
l’Alta Corte e il segretariato. L’università, lo stadio, il museo e le altre attività per il tempo libero erano disposte
lungo l’asse trasversale che si estendeva verso nord, mentre a sud est si trovava la stazione ferroviaria. Gli
aspetti razionali di questo piano generale, incarnavano i più significati principi lecorbusieriani: distinzione ordinata
delle funzioni urbane, giochi essenziali di luce, spazio e aeree verdi, razionalizzazione e ordine sociale, sogno di
una polis abitata da tecnocrati lungimiranti. Chandigarh inoltre, incarnava le idee provenienti da Parigi come i
grandi boulevard e i punti focali, dell’antica Pechino, invece, la forma geometrica complessiva e di New Delhi. Le
Corbusier dedicò gran parte delle sue attenzioni al Complesso del Campidoglio, nel quale lasciò scorrere
liberamente le proprie idee sull’espressione monumentale. Il Parasole a mezzaluna, emblema di autorità e
fertilità, divenne una sorta di Leit motiv comune a Chandigarh. Lo si trova in cima al Palazzo del Governatore e
nel Segretariato, nel portico del Parlamento. L. C. a Chandigarh ha trasformato il suo vocabolario formale
attraversi un processo di astrazione, fondendo il sistema di forme del c.a. con gli elementi della tradizione indiana
(terrazze trabeate, balconi, logge). Il Campidoglio era un sistema di gerarchie istituzionali, con il Palazzo del
Governatore in testa, il Parlamento e l’Alta Corte collocati
più in basso, uno di fronte all’altro, e il Segretariato in
posizione subordinata; edifici collegati tra loro da assi visivi
e geometrici. Gli edifici e gli spazi tra essi compresi, erano
concepiti come parti integranti di una sorta di paesaggio
con l’Himalaya che fa da sfondo. Disseminati in questa
grande piazza si trovano monumenti, tra cui la MANO
APERTA, bizzarra sintesi tra le colombe della pace di
Picasso e una grande mano sinuosa, monumento carico di significati simbolici, indicati dallo stesso architetto
(simbolo di altruismo, di pace e di riconciliazione) L’Alta Corte è costituita da una scatola aperta in facciata e con
una monumentale copertura, con all’interno una
seconda scatola chiusa da un sistema di brise soleil dal
disegno geometrico. L’entrata principale è posta
lateralmente al lato lungo del rettangolo, segnata da tre
monumentali pilastri di colore sgargiante, seguiti da una
rampa che sale a zigzag fino alla terrazza. L’edificio del
Parlamento è una grande scatola scandita in pianta da
una maglia di colonne (foreste di colonne) in cui erano inseriti i grossi volumi delle camere dell’Assemblea
generale e del Senato. Questi risultavano visibili all’esterno attraverso forme scultoree delle coperture, una
piramide inclinata per il Senato e una forma dinamica a
ciminiera di nave per l’Assemblea. Alcuni confrontano la
pianta del Parlamento con quella dell’Altes Museum di
Schinkel, per elementi simili quali il portico di ingresso,
l’impianto regolare con colonne e la sala circolare
interna. L’intera facciata di ingresso è caratterizzata da
un lungo portico con la copertura aggettante a forma di
mezzaluna. La sezione di questa copertura, che ricorda
le corna di un toro, ha una forma simbolica fortemente
legata alla tradizione indiana.
LEZIONE DI LE CORBUSIER
LUIGI FIGINI Architetto italiano (Milano 1903 - ivi 1984). Membro del Gruppo 7 e successivamente del MIAR
(Movimento italiano per l'architettura razionale), partecipò all'impegno per l'affermazione dell'architettura moderna in
Italia.
Casa al Villaggio dei Giornalisti (Milano 1933-34) la casa richiama con fedeltà i 5 punti dell’architettura di L. Corbusier.
E’ evidente l’ispirazione al modello della casa progettata da L.C. per il Weissnhof di Stoccarda nel 1927, così come
alla villa Savoye del 1927. La struttura si regge su 12 pilastri che sollevano l’edificio da terra di circa 4 metri. L’accesso
all’abitazione al piano rialzato avviene tramite una scala esterna che conduce al soggiorno aperto nel terrazzo. Al
piano superiore sono disposte le camere da notte e il solarium. La villa dell’architetto Figini è una piccola costruzione
all’interno del Villaggio dei Giornalisti, nella zona a nord est della città. Venne realizzata nei primi anni '30, e oggi, sia
pur con qualche traccia del tempo, non perde la sua unicità all’interno del minuto tessuto cittadino che con gli anni è
venuto a saturarsi. Concepita secondo i principi dell’architettura razionalista, ne diviene essa stessa manifesto.
La pianta della casa è inscritta in un rettangolo aureo (una proporzione che misura l’intera composizione) di 18m x 5,5m.
Il sottoportico ed i pieni e i vuoti soprastanti sono legati tra loro da rapporti armonici semplici, un modulo costante lungo
l’asse delle ascisse ed uno lungo le ordinate ne determinano le dimensioni. La struttura è costituita da una gabbia portante
di cemento armato su pilastri isolati, equidistanti nelle due direzioni, con muri perimetrali a sbalzo. Le soluzioni tecniche,
che Figini appuntava come “note tecniche e pratiche” si fanno “note estetiche” e l’organizzazione del quotidiano diventa
ispirata. La costruzione è orientata secondo l’asse eliotermico a garantire il miglior rapporto aero illuminante. Sono aperte
grandi finestre a est per sfruttare la luce mattutina, a nord per evitare gli eccessi dell’insolazione estiva mentre a sud sono
protette da tettoie a schermare i raggi nelle ore più calde. Altri accorgimenti tecnici ed espedienti naturali sono stati adottati
per garantire il massimo comfort alla “casa thermos”: il “terrazzo isotermico” a ventilazione naturale a doppio solaio con
intercapedine, ventilato mediante bocchette poste nel
muro nord a livello del suolo e la disposizione dei vani
interni a diverse altezze facilita la ventilazione naturale.
Al primo livello, oltrepassati la cucina ed una stanza da
letto di servizio, si accede direttamente al grande
soggiorno che si apre sul terrazzo a doppia altezza. Il
piano superiore, più contenuto in pianta, è dedicato alla
zona notte con camera da letto e bagno, entrambi
affacciati su due terrazze solarium, una attrezzata come
palestra, l’altra dotata di una piccola vasca marmorea a
pavimento. Le facciate a perimetro dell’edificio sono ad
intonaco civile con tinteggiatura finale bianca; all’interno
dei terrazzi le superfici ci sono trattate al rustico, con
tinteggiatura, originariamente verde, identica alle pareti esterne. Le facciate sono caratterizzate dal segno netto delle
finestre a nastro del primo livello, con serramenti avvolgibili colorati in verde, solco che viene replicato in alto nella muratura
che diventa aerea, lasciando sospesa la linea di travatura lungo il perimetro.
La villa, un prisma perfetto che abbraccia le sue grandi terrazze, è una sorta di giardino dentro la casa, ma allo stesso
tempo una casa dentro il giardino; in perfetto equilibrio tra forma e funzione: come un diaframma che, attraverso le
aperture, si libera nello spazio circostante e da questo si lascia penetrare, insieme all’aria, al sole, al paesaggio che al
momento dell’edificazione era aperto in ampi spazi verdi e coltivati.
GIUSEPPE TERRAGNI (Meda, 18 aprile 1904 – Como, 19 luglio 1943) è stato un architetto italiano. Nel 1927, escono
sulla rivista "Rassegna italiana" i quattro articoli del Gruppo 7, considerati il manifesto del Razionalismo italiano. Terragni
è uno dei sette firmatari di tale manifesto, assieme a Luigi Figini, Adalberto Libera, Gino Pollini, Guido Frette, Sebastiano
Larco e Carlo Enrico Rava. Perché Terragni seppe superare di fatto, con le sue strategie compositive e decompositive,
rimettendo in primo piano la scrittura della facciata, lo statuto funzionalista alla ricerca di nuove forme architettoniche,
postulato dell'architettura razionalista
Negli anni successivi diventerà il maggiore esponente del Movimento Italiano di Architettura Razionale (MIAR). Nel 1933
fonda insieme ai compagni astrattisti la rivista "Quadrante" che verrà poi diretta da Pier Maria Bardi e Massimo
Bontempelli.
Gli architetti italiani già dalla pubblicazione di Verso un’architettura nel 1923, presero in considerazione l’opera di L.
Corbusier, i suoi 5 punti e il concetto di casa come macchina dell’abitare. Il gruppo 7 con a capo Terragni, nei loro primi
articoli, che poi rappresentarono il vero e proprio manifesto Razionalista in Italia, dichiaravano la loro volontà di voler
fondare un’architettura basata sul principio di uno spirito nuovo, concetto molto probabilmente derivato da L. C. ,
nonostante il suo libro non fosse ancora stato tradotto in italiano. Il tema del telaio compare per la prima volta all'interno
della produzione di Terragni nei volumi dei forni dell'Officina del Gas (1927). Qui l'architetto tratta la facciata attraverso la
struttura a telaio, ma non separa quest'ultimo dal resto dell'edificio, come nelle opere milanesi o nella villa Bianca; Terragni
opera come opererà nella facciata della Casa del Fascio, cioè relazionando il telaio in maniera asimmetrica rispetto
all'edificio.
1- Villa bianca (Seveso 1936-37) Edificio di forma
rettangolare, su griglia di pilastri in calcestruzzo armato e
muratura di tamponamento in laterizio; solai in latero-
cemento; copertura piana a terrazza. Il fabbricato, di due
piani fuori terra più un livello seminterrato, occupa una
piccola parte di un lotto rettangolare molto ampio, per lo più
a giardino. Assecondando le indicazioni del committente,
Terragni colloca l'edificio a sinistra del lotto; in questo modo
la villa potrà essere vista completamente anche dal viale
Vittorio Veneto, che si immette diagonalmente sulla
provinciale. Probabilmente, dalla posizione della villa, così
realizzata, possono essere derivate quelle soluzioni
progettuali che consentiranno la vista sui dettagli importanti
della moderna abitazione. Scale, rampe, setti, velette e travature, tagli che rimangono impressi sulla carta sin
dalla prima elaborazione, volta a volta "aggiustati", quotati e resi con coerenza all'interno di un programma
compositivo e spaziale. Il prisma è caratterizzato da asimmetrie e dissonanze. Al contrario della villa progettata
da Terragni a Rebbio (1936-37), quartiere periferico di Como, l'esito è inverso: il volume è in basso, quasi
staccato, aggettante sulla piattaforma ancorata al suolo, mentre in alto svetta la veletta che sembra disarticolata,
libera come un autonomo elemento che solo in qualche punto denuncia il legame strutturale con l'edificio
sottostante. Poi la scala, il balcone centrale e le finestre; tagli nella superficie muraria con gli infissi appena
sporgenti. Diversamente dalle soluzioni adottate in edifici contemporanei, la struttura dell'edificio non si basa su
una griglia di pilastri e travi ma su murature portanti, "ritagliate" per aprirvi finestre a nastro e vetrate. Solo in
copertura compaiono esili pilastri, sormontanti le murature a sostenere le piastre orizzontali, forse elementi di
maggiore caratterizzazione dell'edificio. Qui il telaio compie un altro passo della sua evoluzione. Diviene un
elemento antagonista al volume, si svincola così dagli usi precedenti per affiancarsi agli altri elementi «liberi»
della casa. La rampa, le scale, le pensiline, il balcone insieme al telaio cospirano la messa in crisi del volume.
Progetto di Villa sul Lago (1936) entrambi i progetti si ispirano ai 5 punti
2- di L. C. con pilastri e finestre a nastro, tetto giardino. Ma qui Terragni
inserisce elementi, poi ripresi nell’asilo Sant’ Elia, come gli incroci di
finestre orizzontali e verticali. Il telaio è trasformato in un macro-
contenitore. I modi diversi con cui le pareti della casa sono trattate non
si rivelano mai direttamente all'esterno, ma tutte si alimentano del
contrasto chiaroscurale e geometrico con il telaio-gigante che ne
racchiude le variazioni.
ATELIER 5 è uno studio di architettura e urbanistica fondato a Berna nel 1955 da Erwin Fritz, Samuel Gerber, Rolf
Hesterberg, Hans Hostettler e Alfredo Pini. Essi in precedenza avevano lavorato presso lo studio di Hans Brechbühler,
collaboratore di Le Corbusier negli anni '30.
Di Siedlungg halen (Berna 1955-61) questo gruppo di progettazione è formato da architetti svizzeri, interessati molto
alle soluzioni per residenze collettive. Per ogni progetto realizzato, almeno un componente del gruppo doveva abitare
in quel complesso per analizzare e comprendere se il progetto è effettivamente funzionante. Hanno poi raccolta una
sorta di memoria con le loro ricerche sulle abitazioni collettive. Le residenze italiane sono tra le prime abitazioni con
zone di vita collettive; si tratta di un insediamento nel lato di una collina a verde, che sfrutta la pendenza del terreno
per creare dei terrazzamenti con stecche abitative. Può essere interpretato come il risultato di un processo di
montaggio delle Unitè d’ Habitation. Sono in particolare gli insediamenti abitativi dell'A5, caratterizzati da una
differenziata definizione di spazio privato e comune, a godere di fama mondiale. Cinque giovani architetti e una radura
boschiva: iniziò così, nella metà degli anni Cinquanta e alle porte di Berna, la storia del successo dell'Atelier 5
Autodidatti, tutti quanti seguaci di Le Corbusier, in questa zona costruiscono il complesso residenziale di Halen,
proprio a Herrenschwanden, nel comune rurale di Kirlindach.
Halen è composto da cinque case a schiera, con circa 80
Concepito coerentemente come un insediamento cittadino,
abitazioni, piscina, impianti sportivi, lavanderia e deposito comuni. Il cuore è la piazza del villaggio, con un negozio e uno
spazio di svago comune. Con questo progetto gli architetti dell'Atelier 5 trasformano l'idea verticale di struttura residenziale
di Le Corbusier – l'Unitè d'Habitation - in un concetto orizzontale e lo inglobano in un paesaggio verde leggermente
inclinato. Le caratteristiche erano però le stesse: la sobria estetica del calcestruzzo, un compatto insieme urbanistico con
installazioni comuni, i passaggi tra spazi comuni, semi comuni e privati definiti in modo marcato. Lo scalpore internazionale
fu grande, le reazioni degli abitanti del luogo spesso ostili: "Migliaia di interessati videro queste case d'avanguardia – si
ricorda Fritz Thormann, uno dei fondatori dell'A5 - ma la maggior parte di loro storse il naso". Il "beton", ossia il
calcestruzzo, è sempre stata la materia prima preferita degli architetti dell'A5. Una preferenza di cui parlò anche Jacques
Blumer in occasione di una conferenza.
RICHARD MEIER (Newark, 12 ottobre 1934) è un architetto statunitense. Si laurea alla Cornell University nel 1957
per poi intraprendere un viaggio per l'Europa, dove ha modo di conoscere Le Corbusier. Tornato negli Stati Uniti,
insieme agli architetti Peter Eisenman, John Heiduk, Michael Graves, Charles Gwathmey fonda il gruppo New York
Five, con l'intenzione di portare avanti le idee di Le Corbusier e che nel 1967 arriva ad esporre al MoMa.
1- Saltzman House (New York 1967-69) alla metà degli anni ’60, si assiste ad una sorta di revival delle opere di L.
C., Meier ad esempio, recuperò il repertorio lecorbusieriani degli anni ’20 della villa La Roche- Jeanneret,
rielaborando e spesso complicando i suoi elementi. Riesce a riprendere la
ricchezza poetica degli interni di L.C. La casa è pensata come residenza
estiva per le vacanze ed è composta da due volumi separati: l’abitazione
padronale e, collegato tramite una passerella, l’alloggio del personale di
servizio con annesso magazzino. Il progetto prevede una suddivisione
programmatica degli ambienti in zone “private” e “pubbliche”, separate da
una scala diagonale orientata sull'asse nord-est. La complessa
distribuzione interna si rispecchia all’esterno, attraverso una disomogenea
composizione delle facciate. Gli spazi privati, che occupano i prospetti
nord e ovest, sono concentrati e raccolti, a differenza di quelli pubblici che
sono più ampi e luminosi. L’edificio è stato realizzato con struttura portante
lignea utilizzando il sistema costruttivo del balloon frame nella parte nord-
ovest, mentre la parte sud-est è sostenuta da colonne in tubolari di acciaio.
2- Smith House (Connecticut 1965-67) adopera diverse fonti di luci e semplici elementi geometrici accostati in modo
poetico. E’ una residenza nel comune di Darién (Connecticut) situata su una collina, la struttura è un prisma
bianco che emerge tra gli alberi creando un forte contrasto visivo. Fu il primo lavoro realizzato dall'architetto
Richard Meier. L'architetto organizza la planimetria con la zonizzazione, una caratteristica delle sue prime case:
le camere e le aree private si trovano nel prisma rettangolare chiuso, mentre il servizio, e le aree di accesso
sociale si trovano al piano terra aperto. L'edificio, posto su tre piani, i cui superiori sono soppalcati, si fonda sul
principio di base del rapporto con l'ambiente circostante, in questo caso il lago, essendo la casa posta proprio in
riva, vicino a un piccolo approdo. Il fronte è
completamente svuotato attraverso grandi
vetrate a tutta altezza, mentre il retro è
chiuso e presenta poche e piccole aperture.
Il fronte, fra l'altro, è rivolto verso il mare ed
è concepito per essere il luogo di ritrovo
pubblico della casa, con il soggiorno a
pianterreno, la sala da pranzo al primo
piano e una sala giochi per i bambini sul
soppalco del secondo piano. La parte
posteriore dell'edificio ospita invece tutte le
stanze di carattere privato, quali le camere
da letto, i bagni e lo studio. In fatto di vista esterna, l'edificio è notevolmente variegato, con una continua
alternanza di chiari-scuri, vetri, muri e elementi di spicco come la scala esterna, arrotondata, e il camino
emergente. Sul retro, una lunga passerella porta all'ingresso principale, posto al primo piano e non al pianterreno,
che risulta, su questo prospetto, parzialmente interrato a causa del terreno molto movimentato. La passerella
conduce quindi a un garage raggiungibile da una strada privata che si distacca dalla principale, posta più a nord.
Il progetto utilizza esclusivamente il legno e l'acciaio, quest'ultimo riservato ai soli quattro pilastri portanti in
facciata. L'unico elemento in muratura è il camino, anch'esso posto sul prospetto frontale.
REM KOOLHAAS detto Rem (Rotterdam, 17 novembre 1944) è un architetto, urbanista e saggista olandese, tra i più
noti sulla scena internazionale. Tra i più influenti e discussi teorici dell'architettura contemporanea, alcuni dei suoi
libri sono diventati veri e propri best seller. Nel 1975 fonda con Madelon Vriesendorp ed Elia e Zoe Zenghelis l'Office
for Metropolitan Architecture (OMA), di cui nel 1977 diverrà socia anche Zaha Hadid. Oltre alla progettazione di edifici
in tutto il mondo con OMA, Koolhaas lavora a discipline non architettoniche – che includono la politica, l’editoria, i
media, la moda e la sociologia – attraverso il suo think tank e unità di ricerca, AMO, fondato nel 1999. Archistar per
eccellenza, abituale frequentatore di eventi mondani[4], dal suo legame con Miuccia Prada[5] è nata una lunga
collaborazione che lo ha portato a realizzare gli stores della maison a New York e Los Angeles nonché numerosi
allestimenti in occasione delle sfilate. Nel 2014 è direttore della XIV Biennale di architettura di Venezia da titolo
Towards a New Avant Garde[6
1- Villa deal’Ava (Parigi 1937) si riferisce chiaramente a Villa Savoye di L. C. , infatti sovrappone al primo livello
vetrato un volume ispirato alla casa di L.C. Nonostante Villa dall’Ava, completata nel 1991, sia distante
cronologicamente dal Villa Savoye, risulta esserlo meno dal punto di vista concettuale e della formazione dello
spazio dell’edificio. A causa dell’inclinazione del terreno, Villa Dall’Ava, risulta incassata in esso. Il vero
pianterreno infatti è al piano superiore (primo piano), allo stesso livello della parte alta del giardino. L’architetto
sceglie di non creare grandi fronti che si sviluppano in verticale e che possono ostacolare la continuità visuale
del dislivello del terreno. Il gioco di disgregazione e ricostruzione, decostruzione e aggregazione inizia al
pianterreno. Per quanto riguarda gli spazi e le forme volumetriche potremmo affermare che la sagoma di questa
villa degli anni ‘90 richiama alla mente “una Villa Savoye
aggressiva e malandata”. Villa Dall’Ava si organizza in un
corpo longitudinale delimitato alle estremità da due corpi
trasversali, impostati su pilotis. L’ingresso pedonale
principale è riparato e delimitato superiormente dal primo
volume trasversale. Il volume longitudinale è costituito da
un muro in cemento armato, da un basamento con
rivestimento in pietra e grandi superfici vetrate nei fronti
verso il giardino privato. I volumi trasversali sono rivestiti
invece da lamiera grecata e possiedono grandi finestre a
nastro. Il corpo longitudinale di forma leggermente
trapezoidale rappresenta il centro della casa, la zona
giorno, con la cucina e il living. Il volume giorno costituisce il trait d’union tra gli ambienti notte, per altro accessibili
in maniera completamente indipendente attraverso due scale collocate nelle due distinte zone notte.
Villa Dall’Ava incarna, in un certo senso, il fantastico metropolitano, il desiderio di diversità sociale. Come Villa Savoye,
il tetto è sede delle attività di svago. La zona giorno e la zona notte si articolano attorno alla grande terrazza scoperta
e al vano di distribuzione verticale, centrale rispetto all’intero impianto distributivo. L’unica marginale differenza è
rappresentata dall’assenza sul tetto di Saint Cloud, di muretti e ringhiere che avrebbero disturbato la purezza dei
volumi scatolari.
OSCAR NIEMEYER (Rio de Janeiro, 15 dicembre 1907 – Rio de Janeiro, 5 dicembre 2012) è stato un architetto
brasiliano. È stato uno dei più noti e importanti architetti a livello internazionale del XX secolo. Tra i pionieri
nell'esplorazione delle possibilità costruttive ed espressive del cemento armato, collaborò per diversi anni con Le
Corbusier. Sebbene difensore dell'utilitarismo in architettura, le sue creazioni non hanno la blocky coldness
frequentemente criticata dai critici postmoderni. I suoi edifici riflettono l'uso di forme dinamiche e curve così sensuali
che molti ammiratori hanno visto in lui uno scultore di monumenti più che un architetto. A volte, alcuni critici hanno
considerato questa sua cifra stilistica come un difetto. Oscar Niemeyer e i suoi contributi alla costruzione della città di
Brasilia sono ritratti e trasformati in parodia nel film francese del 1964 L'uomo di Rio, a cui partecipò l'attore Jean-
Paul Belmondo. il sud America subì l’influenza dell’architettura moderna europea attraverso la mediazione delle sue
figure più carismatiche. L’attività di L. C., finalizzata alla diffusione della buona novella di Villa Radiuse, lo condusse
fino in Brasile Uruguay e Argentina nel 1929, dove stende schematicamente i piani per le unità di San Paolo, Rio de
Janeiro, Montevideo e Buenos Aires. Proprio in tale occasione entra in contatto con Lucio Costa, giovane architetto
brasiliano e con il suo collaboratore Oscar Niemeyer. È stato tra i pionieri nell'esplorazione delle possibilità costruttive
del cemento armato. Ha collaborato per diversi anni con Le Corbusier. Sebbene sia un difensore dell'utilitarismo in
architettura, le sue creazioni non hanno la blocky coldness frequentemente criticata dai critici post-moderni. I suoi
edifici riflettono l'uso di forme dinamiche e curve così sensuali che molti ammiratori esprimono il parere che più che
un architetto sia uno scultore di monumenti, a volte alcuni critici lo considerano un difetto.
1- Ministero dell’educazione e della sanità (Rio de Janeiro 1936-42) dopo la rivoluzione brasiliana del 1930, Costa
e Niemeyer ricevono questo importante incarico, precedentemente affidato ad
architetti più tradizionalisti. Essi si rivolsero a L.C. per una consulenza, e l’esito fu la
prima architettura moderna in Brasile. In Brasile è ideale di progresso nazionale fu
infatti affiancato da una ricerca di origine nazionale, non come una copia del passato,
ma come il rinnovamento di schemi spaziali purificati dalle forme straniere del XIX
secolo. Il ministero dell’educazione costituì di fatto uno spartiacque nella storia
dell’architettura brasiliana, che apre un periodo di intensa sperimentazione,
definendo un modello capace di inglobare e omogenizzare qualunque altro tipo di
ricerca. Costa presentò la nuova architettura non come un’alternativa, bensì come
la conclusione di tutte le ricerche degli anni ’20. L’edificio poggia su alti pilastri,
scandito in facciata da un fitto brise soleil e concluso in copertura da volumi curvilinei.
Il sostegno dato da L. C. all’utilizzo di lavorazioni tipiche delle tradizioni coloniali
portoghesi, come i rivestimenti in ceramica colorata, detti “azulejos”; fornisce ai
giovani architetti un elemento capace di caratterizzare la loro opera in senso
autenticamente nazionale. L’edificio era infatti, una pubblica affermazione di
materiali locali. I muri pieni e i pavimenti erano rivestiti in granito locale e piastrelle di ceramica tipiche portoghesi,
mentre la complessità delle curve racchiudono sia un ritmo sensuale sia un’eco del barocco brasiliano. I pilatis
che sollevano l’edificio si alzano oltre i 10 metri, permettendo all’aria di circolare sotto il blocco e incorniciando
delle vedute sul disegno del paesaggio tropicale, realizzato da Roberto Paule
Marx.
2- Casa Henrique Xavier (Rio de Janeiro 1936) nelle sue prime opere Niemeyer
assorbì il principio della pianta libera e lo utilizzò con vivacità. Il suo percorso
fu segnato fin dall’inizio dell’incontro con L.C., come si nota nei disegni di
queste abitazioni, che imitano
anche lo stile del maestro.
Padiglione Brasiliano
3-
(Fiera mondiale di New York del
1939) Nel 1939 gli venne affidata, insieme a Lucio Costa, la
progettazione del padiglione brasiliano alla Fiera mondiale di New
York si tratta di una scatola chiusa perforata in facciata e sollevata da
terra con pilatis, dotata di una rampa di accesso pubblica e da fluidi
passaggi da una parte all’altra.
4- Palpulha (Belo Horizonte 1940-43) Pampulha è un sobborgo di Belo Horizonte; all’inizio degli anni ’40 Niemeyer,
impegnato in politica e nella militanza comunista, incontra Juscelino Kubitschek , futuro presidente del Brasile,
che ne sarà un sostenitore e committente di molte opere dell’architetto. In qualità di sindaco di Belo, Kubitschek
incaricò Niemeyer di progettare un insediamento a Palpulha. Il programma era ambizioso ma, allo stesso tempo,
semplice. Prevedeva cinque edifici : un casinò (Cassino), un club nautico (Iate Clube), una sala da ballo (Casa
do Baile), una chiesa (Igreja de São Francisco), un hotel. Quest’ultimo, insieme con la residenza privata del
prefetto – che, costruendo la sua casa del fine settimana a Pampulha, voleva dare l’esempio alle classi agiate
della capitale – rimasero solo allo stato di progetto. La strategia dell’insediamento di Pampulha era chiara : si
trattava, infatti, di realizzarvi, all’inizio, degli edifici che avrebbero richiamato una utenza ampia e differenziata,
condizione essenziale per una futura lottizzazione residenziale del bairro.
Nel Casinò tradusse l’idea di movimento in sequenza in una serie di piroette coerenti con la bella vita ospitata
dell’edificio. Il casinò è composto di tre corpi collegati fra loro, destinati ad alloggiare le principali funzioni (sala da
gioco, ristorante, bar, pista di danza e palco). I tre corpi sono chiaramente distinti : quello rettangolare maggiore con
le funzioni principali, il rettangolare minore con i servizi, il corpo cilindrico con il ristorante e la pista di danza. Se la
distinzione dei volumi è di marca ancora funzionalista, le interconnessioni tra i corpi creano una profonda continuità
distributiva e formale. Mentre gli esterni sono rivestiti in pietra locale e travertino, gli interni sono delicati e luminosi.
La scultura di Zamoiski, collocata all’entrata del casinò, ribadisce questa dialettica tra gli opposti, recuperando un altro
“espediente” già di Mies nel padiglione di Barcellona (la scultura di Kolbe). I pilotis, le rampe, la scala elicoidale erano,
invece, tutti elementi desunti da Le Corbusier. Questo edificio, come nel Padiglione, coniuga il rigore della griglia
strutturale con la libertà delle forme curve e serpeggianti. In particolare le pensiline, come quelle della Sala da
do Baile), sono l’incarnazione della tendenza ad abbandonarsi al gioco sensuale delle curve, in sintonia
ballo(Casa
con il clima, il paesaggio e la stessa indole brasiliana. L’edificio si pone in più diretto contatto con il paesaggio. Qui, il
rapporto con il luogo sembra fondare le ragioni stesse dell’architettura,
dove tutto è concepito in termini di circonferenze e di curve, dal volume
principale con il ristorante e la sala da ballo, a quello secondario dei
servizi, con la passeggiata coperta che collega i due corpi, facendo eco,
nel disegno, alla curva del bordo del lago. È proprio questo elemento di
collegamento che meglio esprime l’idea del rapporto con il luogo in
Niemeyer : come una cornice per inquadrare il paesaggio, una cornice
materiale, certo, ma anche metaforica; in quanto metafora dell’architettura
che si fa dispositivo per interpretare e reinventare, il paesaggio. Il rapporto
con il paesaggio è mediato magistralmente dalla chiara impostazione della
relazione interno-esterno.
La piastra ondulata di copertura del percorso nella Casa do Baile diventerà uno dei riferimenti canonici del
modernismo brasiliano e sarà in seguito reimpiegata dallo stesso Niemeyer nella sua casa a Rio de Janeiro (1952),
a conferma della centralità del tema della “forma libera” nella sua ricerca, ossia della forma architettonica come
“scenario per una multipla esperienza sensoriale” .Nella Chiesa di S. Francesco la sensualità delle forme diventa
l’elemento dominante. Qui scompare l’ossatura verticale. Cinque volte paraboliche autoportanti in cemento armato di
diversa altezza e curvatura, generano una voluttuosa composizione di volumi, che sembrano riprodurre i paesaggi
naturali del Brasile e contribuiscono la cornice ideale per le “azulejos” nel fronte posteriore. Alcuni elementi
evidenziano ancora la chiara influenza di Le Corbusier, la scala elicoidale anzitutto. La logica progettuale può, anzi,
dirsi ancora tutta corbusieriana. A ciascuna funzione corrisponde un volume che Niemeyer, come Le Corbusier,
declina in una “creazione” plastica specifica; l’unità
dell’insieme resta comunque fortissima. Al
purismo corbusieriano, tuttavia, Niemeyer
contrappone la vitalità di materiali e colori tutti
interni alla tradizione brasiliana : grandi
raffigurazioni in ceramica smaltata (tipiche delle
chiese coloniali), opera di Cândido Portinari,
occupano l’intera parete esterna opposta
all’ingresso e, all’interno, Le forme spontanee e
sinuose di questa chiesa diventano il paradigma
delle successive opere di Niemeyer, caratterizzate
da calotte, coppe e iperboloidi, tronchi di coni, archi parabolici. Un trattamento delle strutture di tipo scultoreo, fuori
dallo schematismo funzionalista del modernismo, tenta di individuare nella bellezza della forma, una delle funzioni
dell’architettura. Lo Iate Clube (Yacht club) è un’architettura che
mostra ancora altri interessi di Niemeyer.
L’impianto, formato da due ambienti di pianta rettangolare (due
trapezi rettangoli in prospetto), ricorda la casa Errazuris di Le
Corbusier in Cile, del 1930. Anche in questo caso, come per la
copertura sinuosa della casa da ballo, Niemeyer introduce una specie
di icona che diventerà canonica nell’architettura brasiliana tra gli anni
’40 e ’50 : la facciata formata, appunto, da due trapezi rettangolari di
diversa altezza, denominata “telhado borboleta” (telaio a farfalla), di
impiego particolarmente appropriato in ambiente tropicale, a
differenza della
copertura piana di stretta osservanza del movimento moderno.
5- Edificio Copan (San Paolo 1951-56) nel 1951 la Compagnia
Nazionale di Investimento e la Compagnia del Turismo COPAN,
affidano a Niemeyer l’incarico di progettare un edificio per
appartamenti con zone commerciali ai primi piani e un cinema e
un teatro. La commissione doveva rispettare i tempi previsti per
la consegna, entro il 1954, anno della commemorazione del
quattrocentesimo della fondazione della città. Il progetto
originario di Niemeyer prevedeva di articolare l’edificio in un
basamento con funzioni commerciali e in due torri, una di
appartamenti e l’altra con camere d’albergo. L’auspicio di
completare l’edificio entro il 1954, fallì. Per massimizzare i
guadagni non vennero realizzati gli appartamenti più grandi, sostituiti da monolocali da immettere facilmente nel
mercato. Niemeyer sottopone la stecca multipiano ad un processo di torsione che sconvolge l’ortogonale assetto.
La planimetria sinuosa è stata spesso giustificata come un tentativo di adeguarsi alla forma irregolare del sito, o
come adeguamento strutturale, atto a conferire maggiore rigidezza all’alto blocco. E’ più probabile che la forma
derivi da scelte puramente formali dall’architetto. A rafforzare l’effetto prodotto dall’andamento curvilineo del
blocco, inserisce un brise soleil su tutto il fronte principale, costituito da lamine in cemento orizzontali di 1,50
metro di profondità e 10 cm di spessore a distanza di circa un metro tra loro e rivestita con tessere di mosaico in
vetro.
6- Immobile Montreal (San Paolo 1950-61) è un edificio residenziale situato nella città di San Paolo, composto da
spaziosi monolocali con un imponente facciata ; anche in questo alto edificio l’architetto usa un sistema di
frangisole in cemento armato con lame piatte orizzontali. L’edificio parte da una pianta trapezoidale trasformata
da un fronte curvo, caratterizzato proprio dal brise soleil.
7- Parco Ibirapuera (San Paolo 1951-58) è il maggiore parco urbano della città di San Paolo, Brasile. Consta di una
vasta area a scopo di svago, sport o semplicemente per camminare, oltre che ad essere un centro congressi. La
sua importanza per San Paolo è comparabile a quella del Central Park
a New York City. Il progetto del parco risale agli anni ’50 per la
celebrazione del quattrocentesimo anniversario per la fondazione della
città. La parte architettonica, curata da Niemeyer, fu affiancata alla
progettazione paesaggistica del giardino tropicale di Roberto Burle
OCA Palazzo delle Arti, con
Marx. Al suo interno l’architettò realizzò L’
una forma a calotta, molto amata dall’architetto, bucata alla base da un
oblò. La calotta ha una quota interna più bassa rispetto a quella del
parco raggiungibile da un complesso sistema di rampe, tema
corbusieriano portato all’esasperazione.
8- Ospedale Sud America (Rio de Janeiro 1952-69) per questo progettò
Niemeyer abbandona le forme curve per ispirarsi al sistema dell’Unitè
d’Habitation, un alto blocco rettangolare, sorretto alla base da un evoluzione
dei pilastri a Y di L.C. Alla quota stradale affianca un edificio più piccolo dalla
forma sinuosa.
Casa dell’Architetto (Rio de Janeiro 1952-53) la piccola abitazione costruita per se
stesso vicino a Rio, rappresenta il vero manifesto della prima fase dell’architetto
brasiliano. Voleva progettare questa casa in completa libertà, adottandola
all’irregolarità del terreno senza modificarlo e
rendendola curva, così da permettere alla vegetazione
di penetrare. Divisa su due livelli leggermente sfalsati,
la casa usa elementi tratti dal vocabolario moderno. I
pilotis di metallo sono distribuiti senza ordine
apparente, seguendo il contorno curvilineo,
l’aggettante copertura piana ha un contorno irregolare
curvilineo, le pareti sono quasi interamente vetrate e
incurvate. La pianta è il risultato di un processo di
astrazione del contorno del paesaggio e delle forme
della vegetazione, una fusione tra natura e costruito(
la roccia entra dentro la casa). Accanto alla piscina è possibile ammirare delle sculture realizzate da Alfredo
Ceschiatti, amico dell'architetto brasiliano; le ondulazioni eleganti dei corpi femminili s'inseriscono perfettamente nel
contesto di forme fluttuanti. Invece, risulta molto diverso il rapporto esistente tra la casa ed il paesaggio, se ci
spostiamo nella zona notte: qui Niemeyer ha progettato gli spazi come rifugi, dotandoli di piccole finestre, le quali
mostrano solo un pezzetto del lussureggiante verde esterno. Le forme concave degli elementi architettonici, quasi
tutti realizzati in cemento armato, generano una spazialità plastica che favorisce la fusione armonica tra ambienti
interni ed esterni ed evidenzia il senso di appartenenza alla natura. Anche il tetto sinuoso, sorretto da pilotis,
contribuisce a sottolineare l'andamento dell'abitazione, enfatizzato dal ritmo fluente della facciata di vetro, che, tra
l'altro, permette di godere un'incantevole vista sul mare.
L'intento di Niemeyer era quello di progettare la sua residenza in assoluta libertà, plasmandone morbidamente i contorni
ed adattandola alle irregolarità del terreno: solo in tal modo si poteva consentire alla vegetazione di penetrarvi. La sua
opera è stata definita un'architettura di sogno e di fantasia, di emozioni e spazi liberi; tra l'altro, egli stesso ha ammesso
di aver scoperto l'origine della bellezza nella contemplazione delle curve della natura. Tutti gli elementi costitutivi della
casa di Canoas rappresentano il trionfo dell'architettura plastica, che risente in particolar modo dell'influenza di Le
Corbusier; in ogni progetto realizzato, l'architetto brasiliano si abbandona alla massima libertà creativa, riprendendo
l'andamento curvilineo delle montagne del suo Paese.
9- Villa Cavanelas (Rio de Janeiro 1954) la casa fu progettata insieme all’architetto paesaggista Marx, con cui
collaborava già dal 1936, anno in cui progettarono insieme il Ministero dell’educazione. Da allora i due
collaborarono in diverse occasioni, ma il loro rapporto si interrompe
bruscamente quando l’edificazione di Brasilia era ormai in fase
avanzata. A prima vista una tenda, un velo pizzicato e tenuto su per
le quattro punte da quattro appoggi massivi triangolari. La
costruzione è simile ad una tenda sospesa su 4 montanti verticali, ai
vertici di un rettangolo che copre uno spazio vetrato in buona parte.
La prima impressione che si ha osservandola è quella di una forma
definita da una curva. Dal punto di vista strutturale la copertura è
supportare da una trama reticolare, formata da 4 travi longitudinali (2
esterne e 2 interne) e 15 travi secondarie trasversali. Le travi
longitudinali interne si configurano come travi a 3 campate sorrette da 4 appoggi. Le travi longitudinali esterne
da cui la costruzione trae l’effetto ottico, sono a due campate su 3 appoggi. L’effetto illusivo prodotto dal fatto che
gli appoggi aggiuntivi sono nascosti, è quello di una copertura sostenuta da soli 4 elementi d’angolo triangolari.
Sotto la copertura si trova la zona di soggiorno e il patio con pareti vetrate; seguono altri ambienti e i servizi più
chiusi verso l’esterno. Il setto murario, che separa le due zone della casa, non sostiene le due travi di bordo. La
zona circostante la villa è fittamente alberata e con una vegetazione lussureggiante. Il giardino di Marx appare
come un interazione della natura spontanea con una distesa di tappeti di erba a trama geometrica (scacchiera di
erba). E’ un elogio alla casa e alla natura.
Brasilia (Nuova Capitale del Brasile) l’intenzione di spostare la capitale del
Brasile, deriva fin dall’ 800 dalla volontà politica di spingersi verso l’interno
del paese alla ricerca di un nuovo centro geografico, capace di articolare
l’insieme del territorio nazionale. Il primo progetto per la nuova capitale,
denominata Brasilia, risale al 1823. Nel 1956 Kubzstschek divenne presidente
e inserì la creazione della nuova capitale nel suo programma politico. A
Kubzstschek si deve la creazione della società statale Nova Cap, con la
direzione architettonica di Niemeyer, e nel settembre del 1956, organizzò il
bando di concorso per il Piano Pilota, vinto dal progetto di Lucio Costa. Il suo
principale pianificatore urbano fu Lúcio Costa. Oscar Niemeyer fu l'architetto capo della gran parte degli edifici pubblici
e Roberto Burle Marx ebbe l'incarico di landscape designer. Il piano urbanistico fu basato sulle teorie di Le Corbusier.
Brasilia fu costruita in 41 mesi, dal 1956 al 21 aprile 1960, quando fu ufficialmente inaugurata. Il piano urbanistico
realizzato da Lúcio Costa era dettagliato e meticoloso. Stabilisce quali zone devono essere residenziali, quali
commerciali, quali bancarie, quali ospedaliere. Limita le aree industriali, le zone in cui certi edifici possono essere
costruiti e quanto questi edifici possono essere alti, ecc. Gli edifici residenziali presenti nel Plano Piloto, per esempio,
possono avere un'altezza massima di sei piani, organizzati in accordo con le coordinate cardinali che fungono come
indirizzo.
Alla base del progetto della città c'era una semplice croce. Citando Costa: il progetto "nasce dal gesto primario di qualcuno
che segna un luogo per prenderne possesso: due assi che si incrociano ad angolo retto, il segno stesso della croce".[2]
Tuttavia, la croce dovette essere adattata alla topografia del luogo, poiché erano già previsti progetti per un lago artificiale,
e la città assunse la forma di un aeroplano. Il Piano di Costa deriva dall’accostamento di una maglia ortogonale di quartieri
residenziali e una zona celebrativa e governativa, disposta assialmente, che nell’insieme dà luogo ad una figura a farfalla,
dagli evidenti intenti allegorici. I lavori progrediscono con grande velocità, nonostante le difficoltà legate all’isolamento
geografico; nel 1960 la nuova capitale fu inaugurata con l’asse monumentale, quasi completamente terminato.
10- Catetinho (1956) Niemeyer progettò e fece costruire in 10 giorni
una residenza provvisoria per il presidente, affinché il presidente
potesse svolgere i propri compiti di governo anche durante le sue
visite al cantiere della nuova città. Il piccolo edificio,
soprannominato Catetinho (catete era la residenza presidenziale
a Rio) nasce dalla fusione di criteri moderni e tradizionali con un
recupero di elementi popolari. Nel 1958, quando fu completata la
residenza definitiva, non avvenne ciò che di solito accade alle
strutture provvisorie dei cantieri, ovvero la demolizione; al contrario
si dichiarò il Catetinho patrimonio storico nazionale, come opera capace di esprimere l’essenza politica e culturale
dell’epopea di Brasilia. Proprio in questo senso si può affermare che l’architettura di Brasilia è monumentale,
esprimendo materialmente l’evento. Nella progettazione di numerosi edifici ministeriali e residenziali Niemeyer
adotta una soluzione standard ripetuta serialmente, secondo uno schema fedele ai dettami di Villa Radiuse.
Accanto alla sequenza di stecche, tutte uguali, che scandiscono i larghi viali della città, i palazzi del potere e le
architetture di rappresentanza stabiliscono un rapporto comparabile a quello istituito agli edifici di L.C. a
Chandigarh.
11- Piazza dei Tre Poteri come a Chandigarh, è un ampio spazio aperto entro il quale si trovano i tre edifici
monumentali che rappresentano i tre poteri della Repubblica: il “Palacio do Planalto” (esecutivo), il “Supremo
Tribunal Federal” (giudiziario) e il “Congresso Nacional”
(legislativo). La piazza si trova all'estremo est del “Plano Piloto”,
è uno spazio aperto di circa 120 x 220 metri nel quale i tre edifici
rappresentativi non si sovrastano tra loro, a dimostrazione che
i poteri sono indipendenti ed hanno lo stesso peso. Il Palazzo
la Sede del Supremo Tribunale e il Palazzo di
del Planalto,
Alvorada (residenza del presidente) incarnano un unico
carattere e si rifanno
ad un unico
modello, costituito dalla scatola vetrata, chiusa superiormente da una
struttura in cemento, sospesa da pilastri perimetrali lungo i lati
maggiori. Elementi di distinzione sono
proprio i pilastri differenziati per sagoma
ed orientamento, connotati dalla forma a
vela e dal motivo ad arco rovesciato. Il Palazzo del Congresso Nazionale è costituito
da due piastre verticali del Segretariato, inserita tra gli edifici delle due Camere a
forma di coppa, una rivolta verso il basso e una verso l’alto, forme geometricamente
contrapposte una calotta e un coppa che campeggiano nel tetto- terrazzo di un
edificio basso ed allungato, ribassato rispetto alla quota stradale. La calotta contiene
l’aula del senato, la coppa la camera dei deputati. Altrettanto estraneo alla tipologia
convenzionale e prossimo alla concezione dei templi a piramide delle culture
precolombiane, è il Teatro Nazionale, rivestito di altorilievi astratti e geometrici. Ciò che a prima vista potrebbe
apparire come la stilizzazione della forma tradizionale, ad uno sguardo più attento rivela una straordinaria
concretezza : l’inclinazione dei lati del volume è funzionale ad alloggiare due sale di diversa capienza, poste l’una
di fronte all’altra. La Cattedrale Questa struttura iperboloide è costruita in cemento armato, e pare che con il suo
tetto di vetro si alzi svettando verso il cielo. Il progetto di Niemeyer della
Cattedrale di Brasilia si basò sulla figura dell'iperboloide di rivoluzione, in cui
le sezioni sono asimmetriche. Questa struttura è il risultato dell'unione di 16
pilastri ricurvi che verso la sommità si riuniscono, evocando la forma della
corona di spine di Cristo ; essi sono in cemento armato, aventi sezione
iperbolica e pesanti 90 tonnellate ciascuno, che nell'intento originario
rappresentano due mani in movimento verso il cielo. Nella piazza di accesso
alla cattedrale si trovano quattro sculture di bronzo di tre metri di altezza,
realizzate da una collaborazione di Alfredo Ceschiatti e Dante Croce,
raffiguranti gli evangelisti. L’accesso alla chiesa avviene attraverso un cunicolo sotterraneo, che consente di non
infrangere in alcun punto la sottile cortina vetrata e penetrare nell’immenso tendono, invaso di luce. Altre
architetture realizzare a Brasilia sono la Cappella di Fatima, edificio che richiama la soluzione adottata nella Villa
Cavanelas, ma che qui poggia su tre punti; Questa cappella risponde
alle esigenze di avere una chiesa a Brasilia. Essa è collegata a un
terreno pianeggiante, ha la forma di una tenda di cui l’elemento
dominante è il tetto. L’utilizzo del simbolo della tenda serve a
estendere, metaforicamente, il significato della costruzione a luogo di
rifugio.
Il tetto ha la forma di un triangolo di cui una delle punte risulta sollevata
rispetto alle altre, quella in corrispondenza dell’entrata, in corrispondenza
di questa si schiude il muro perimetrale a forma di U, esso risulta essere interamente coperta di azulejos azzurre e
per questo motivo il muro perimetrale risulta quasi cancellato al primo sguardo e grazie a questo, quindi, il tetto ne
risulta ulteriormente esaltato.
Internamente le pareti sono decorate da un affresco di Volpi, a disegni geometrici di colore prevalentemente azzurro,
per conservare l’accordo cromatico con il muro esterno. il Museo della Fondazione Brasilia, edificio con grande
architettura strutturale composta da un blocco rettangolare chiuso e poggiato come un bilanciere ; il Brasilia Palace
Hotel è una semplice struttura a parallelepipedo sollevata su pilotis; la Cappella Don Bosco è una suggestiva piramide
commemorativa; il Quartier Generale dell’Esercito è caratterizzato da un alto obelisco. Altri edifici che imitano la
struttura del Palazzo dell’Alvorado, sono il Palazzo di Giustizia e l’ Itamaraty (sede del ministero degli affari esterni),
dove la struttura in cemento armato non sembra un setto perimetrale forato, ma costituiti da setti trasversali in
successione, ripartiti nel primo in modo irregolari e nel secondo con cadenza costante, che formano una sorta di lunga
loggiata.
Sede della Casa Editrice Mondadori (Segrate, Milano 1968-75 Il progetto della casa della fu voluto da Arsolo e Giorgio
Mondadori per nuovi spazi dedicati agli uffici e alla redazione della
casa editrice; scelsero Niemeyer in quanto Giorgio rimase folgorato
dalla vista del palazzo degl’esteri realizzato in Sudamerica.
Il progetto prevede una laguna artificiale in cui si specchino i due
edifici dedicati agli uffici dal flessuoso sviluppo longitudinale, integrati
dal corpo fitoforme adibito all’auditorium e al centro della redazione
oltre che alla mensa.
Il progetto inizia a nascere con alcuni schizzi del 1968 e si concretizza
in un progetto accurato l’anno successivo, sfruttando 43.956 metri
quadri per la costruzione dei tre edifici e circa 9.000 metri quadri adibii
invece alla costruzione del lago artificiale e ai parcheggi. Il progetto,
nonostante le insistenze che i Mondatori fecero perché assomigliasse
a quello del ministero degli esteri, rivela però un desiderio di emancipazione di libertà dalle costrizioni del precedente;
infatti l’utilizzo dei fronti in cemento armato con pilastri e archi parabolici e la loro diversa ampiezza rivelano le vere
intenzioni dell’architetto, anche la definizione planimetrica e strutturale dei due edifici ne attesta le differenze.Lo
schema statico di un semplice portale viene reiterato trasversalmente lungo la giacitura dei due corpi principali, resi
indipendenti per permetterne la costruzione frazionata. Per gli edifici bassi delle redazioni e dei servizi generali
vengono invece elaborate delle forme libere e meno audaci (telaio in cemento armato e elementi prefabbricati) anche
se inusuali. La contrapposizione dialettica tra un organismo eminente e un corpo basso, soggetto a diverse geometrie
generative diverse, è ricorrente nelle opere di Niemeyer; nel palazzo mondatori ai volumi principali degli edifici
soggiacciono i bassi corpi della redazione e dei servizi; anche l’idea della sospensione dell’edificio non è un idea del
tutto nuova.
Il dinamismo perduto dell’adozione dell’impianto ortogonale è sublimato dalle diverse luci degli archi, la cui sequenza
induce, grazie anche alla distorta prospettiva, all’illusoria percezione di un andamento sinuoso della facciata. Viene
razionalizzato il sistema statico: i portali in cemento armato corrispondenti a ogni coppia di pilastri (le facciate sono
infatti speculari) reggono due travi trasversali rettilinee, a cui sono agganciati i 56 tiranti che sostengono il corpo
librato, ridotto da 6 a 5 piani, l’ultimo dei quali è stato designato agli uffici della dirigenza.lo stacco tra scocca e corpo
sospeso viene mantenuto con l’arretramento del perimetro vetrato rispetto al profilo di facciata.
La copertura dei cinque piani di uffici è costituita da una doppia soletta di cemento armato innervato da una serie di
travi trasversali, corrispondenti ai portali e da due travi ortogonali a cui sono agganciati diversi tiranti.
Al piano terra vi è un atrio che affianca lo spazio dedicato agli ascensori permettendo anche l’accesso agli altri organi
della redazione e dei servizi generali e della mensa. Gli azulejos di Bulcao rivestono la base delle due torri verticali
tramite un semplice motivo decorativo. La scultura di Pomodoro che emerge dalle acque alla destra della passerella
d’ingresso , inseme alla sistemazione del giardino, completano la sistemazione dell’edificio al quale è annesso un
centro sportivo L’edificio per uffici si configura come un contenitore con i due setti più lunghi in cemento armato,
traforati da archi parabolici di diversa ampiezza. A tale struttura esterna si innesta il solaio, a cui è sospesa il secondo
contenitore in vetri degli uffici. Al rigore geometrico degli edifici si contrappongono le forme libere delle costruzioni
annesse, che emergono dalla distesa d’acqua. La struttura fu voluta da Giorgio Mondadori, affascinato dall’edificio
Itamaraty di Brasilia. Niemeyer elaborò due successivi progetti per Segrate, il primo prevedeva una laguna artificiale,
dove si snodavano due edifici per uffici dallo sviluppo longitudinale curvilineo. I disegni rivelano la volontà di
emanciparsi dall’ Itamaraty, indicato da Mondadori come modello. Entro la metà degli anni ’70 vengono realizzate
nuove tavole, che prevedono un’unica costruzione rettilinea, lunga e stretta. L’ultimo piano, in origine libero e separato
dalla copertura, viene destinato agli edifici di dirigenza, e lo spazio tra le due scatole è mantenuto grazie ad un
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