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L’enrichment familiare è una forma di intervento familiare relativamente recente che ha l’obiettivo di
potenziare le competenze e abilità specifiche delle coppie coniugali e genitoriali, per migliorarne
ulteriormente il funzionamento e prevenire eventuali sviluppi problematici, che potrebbero compromettere la
qualità e la stabilità delle relazioni.
Gli interventi preventivi di enrichment non terapeutici sono molto variegati. È un modo di intervenire
abbastanza giovane.
Per molto tempo è stata considerata una forma di intervento di serie B. Veniva squalificata l’idea di un
intervento che non fosse di cura in senso stretto. Negli anni questa idea è stata soppiantata.
Vi è un passaggio da un’ottica terapeutico-riabilitativa ad un’ottica preventiva. Ci collochiamo nel post ’68,
periodo in cui l’idea di dare potere al soggetto, e di trattarlo come colui che possiede delle risorse era
predominante. Sono gli anni in cui nasce la psicologia di comunità. Si comincia a pensare al professionista
come facilitatore, come persona capace di far emergere le risorse.
Ecco che cominciano a nascere termini fino a qualche anno prima impensabili, come “enrichment”.
Enrichment è il corrispettivo sul versante familiare del concetto di empowerment.
A questa definizione di enrichment in senso lato, come scuola dell’Università Cattolica di Milano ci si arriva
negli anni 2000. Di enrichment si parla solo in senso di lavoro con le coppie. Il lavoro ad esempio con i
genitori avviene all’interno di quelli che vengono chiamati Parent training. Essi appartengono alla grande
categoria degli interventi di enrichment.
Ciò che caratterizza le forme di enrichment è il fatto che la centratura è sostanzialmente sulle risorse
familiari più che sui bisogni, il che non vuol dire che i bisogni non si vedano. La consapevolezza che c’è una
parte più in luce e una più in ombra spiega perché lavorare sull’enrichment significa avere una resource
orientation.
Risorsa è possibilità di ridare vita a qualcosa.
La prospettiva da cui noi guardiamo le risorse parte dall’idea che bisogna attraversare il dolore.
Le risorse familiari sono tutte le forze individuali, di coppia, della famiglia nucleare, della famiglia estesa o
della società che sono disponibili per aiutare la famiglia a superare una situazione di difficoltà, ricostituendo
o consolidando una situazione di benessere.
Antonovsky definisce l’approccio salutogenico: un approccio che passa dall’idea che il focus nei nostri
interventi debba essere messo soprattutto sugli aspetti di bisogno, di fatica, di sofferenza, a quelle variabili
che permettono alle persone (o alla famiglia) di recuperare una condizione di benessere anche in situazioni
di particolare stress.
Si parla di variabili di resilienza.
Quando parliamo di prevenzione in campo familiare dobbiamo pensare che nella storia di prevenzione si è
assistito ad una sorta di distinzione tra due orientamenti di fondo che hanno parlato di prevenzione a volte
come pura riduzione del rischio, altre volte come promozione di competenze.
La prima, che forse appartiene alla prima fase degli studi sulla prevenzione (fine anni ’60), risente ancora di
un orientamento medico. Negli anni, diventando questo tema sempre di più molto caro al mondo sociale,
prende la connotazione di promozione delle competenze.
Gli orientamenti non si escludono vicendevolmente, ma si è sempre più orientati verso un’ottica di
promozione di competenze: il primo approccio è un approccio centrato sulla risorsa, che poi porta a sua
volta ad una riduzione del rischio.
Regoliosi nel 2004 fece notare i rischi presenti in entrambe le prospettive.
Il rischio nella seconda prospettiva è il rischio della promozione nel vuoto. Bisogna avere una teoria di
riferimento. Quello che è un po’ tipico ad esempio dell’approccio dell’empowerment è che va benissimo il
promuovere le risorse, la facilitazione di ciò che emerge ecc., ma il rischio, soprattutto in ambito familiare, è
quello che tu fai emergere ma non orienti perché non hai una teoria di riferimento. Il rischio è che qualsiasi
cosa emerga va bene. Un conto è l’empowement sociale, per esempio nell’ambito lavorativo dove
veramente lasciare aperto è anche una possibilità di creatività. Ma in ambito familiare è molto rischioso. Se
non ho chiaro che la relazione genitori-figli è gerarchica e non paritetica mi andrà benissimo che mi si dica
“mio figlio è il mio migliore amico”. Se non si ha una teoria, soprattutto in ambito familiare, il rischio è che
avalliamo tutto.
La nostra prospettiva dell’enrichment si inserisce dentro l’idea di prevenzione, ma con una chiara
connotazione familiare della prevenzione: promuovere le risorse avendo chiaro che c’è una certa idea di
famiglia e di funzionamento familiare che è orientata a degli obiettivi generativi o degenerativi. Con
quest’ottica, è più facile fare prevenzione.
Proprio perché prendiamo la letteratura sulla prevenzione e la applichiamo al tema della famiglia, si è
Tolan
provato a declinare la classificazione della prevenzione di alle famiglie:
- Prevenzione universale: rivolta a tutte le famiglie con obiettivo di promuovere aspetti fondativi dell’identità
→
familiare e competenze generali se abbiamo una teoria forte di famiglia possiamo aiutare le famiglie a
riflettere sul fatto che c’è un’identità familiare e delle competenze genitoriali più o meno generative;
- Prevenzione selettiva: rivolta a famiglie che vivono transizioni critiche normative
- Prevenzione su indicazione: rivolta a famiglie che vivono transizioni critiche non normative 21 novembre
Approccio preventivo/promozionale
Punti di forza:
- Risparmio risorse economiche e di tempo
- Meno stigmatizzante
- Aprono ad una domanda
- Possibile creazione di una rete
- Sostegno nelle transizioni normative
Punti di debolezza:
- Scarsa motivazione
- Poco riconoscimento sociale
- Meno effetti a lungo termine? L’Abate,
Gli studiosi che si sono occupati in prevenzione, in particolare erano dei forti sostenitori del fatto
che vi fossero molti punti di forza nell’ambito della prevenzione, fra cui:
- Maggiore facilità di accesso rispetto alla terapia
- Efficacia dimostrata di molti programmi preventivi
- Dimensione sociale dei programmi preventivi
Punti di debolezza riscontrati sono invece:
- →
Problema motivazionale è difficile decidere di farsi aiutare nel tempo del benessere.
- →
Mito del naturalismo “volersi bene è qualcosa di naturale”, “essere genitori è qualcosa di naturale”.
L’idea naturalistica è tipica italiana, la famiglia viene considerata la realtà fondamentale dell’esperienza
umana, dimenticando che spesso è proprio nelle famiglie che si consumano le più grandi tragedie.
Questa imposizione culturale per cui tu se sei un bravo genitore vuoi bene a tuo figlio, ad esempio,
quando una mamma non può più vedere il suo bambino perché è stanca si sente profondamente
inadeguata e non riesce a chiedere aiuto.
- →
Taboo matrimoniali “tra moglie e marito non mettere il dito”, “i panni sporchi si lavano in casa”. C’è
questa mentalità che è dura a morire, dove le cose intime non possono e non devono riguardare gli altri.
Percorsi di Enrichment Familiare (PEF)
Fino a non molto tempo fa erano definiti Percorsi di Promozione e Arricchimento del Legame Familiare
(PPALF), per la necessità di dare un senso forte alla definizione. Il nome è stato cambiato per motivi di
marketing: PEF è più vendibile, e più spendibile in ambito internazionale.
Noi sul libro troveremo il primo nome, perché il testo è del 2007.
I PPALF nascono sulla base della percezione del mondo familiare e della realtà sociale di quegli anni, si
aveva a che fare con famiglie sempre più fragili a livello coniugale e genitoriale.
Da una parte ci si trovava di fronte a coppie sempre più sole ed autoreferenti, sempre più relegate alla
dimensione intima del loro rapporto, con uno scollamento tra la dimensione familiare e quella sociale, ed
uno sbilanciamento sul versante affettivo a scapito di quello etico.
Dall’altra parte i genitori molto più fragili, figli del ’68, mancanti di riferimenti normativi univoci, e la scarsa
incisività di altre agenzie educative nell’educazione le nuove generazioni.
Questi genitori e coniugi in difficoltà chiedono continuamente interventi.
Ma questi genitori non hanno bisogno di una terapia. Hanno bisogno di interventi che supportino le
transizioni normative. Si pensa quindi a degli interventi preventivi che possano evitare esiti patologici o
patologizzanti.
Questa è l’esigenza. Quindi si pensa di inventare qualcosa di più strutturato. Si cominciò a guardare se a
livello internazionale ci fosse qualche idea.
Identificarono in Guy Bodenmann un programma (programma antistress per coppie) di enrichment dedicato
alle coppie. Egli parla di costrutti che per quanto di matrice cognitivo-comportamentale sembrano più vicini
alla loro prospettiva. Parla di coping diadico, di dimensione familiare..
Iafrate e Bertoni sono andate a Friburgo nel 2000. Fanno un corso intensivo dove diventano trainer di
programmi di enrichment di coppia.
Tornano a Milano e chiedono ad un consultorio di poter fare una sperimentazione gratuitamente. Scoprono
che questo metodo molto svizzero e cognitivo comportamentale, molto manual based (c’era un manuale
molto dettagliato) funziona fino ad un certo punto, perché le coppie usavano tutti i momenti possibili per
andare fuori dai binari previsti dal manuale ed introducendo tematiche che il corso non prevedeva (il
Bodenmann
modello di trattava di comunicazione, coping e problem solving).
Forse si poteva umilmente riconoscere che c’era qualcun altro che aveva colto l’importanza di intervenire in
ambito preventivo con le coppie, anche molto intelligente per il contesto svizzero in cui veniva applicato,
ma che non era allo stesso modo applicabile nel contesto italiano.
Nacquero i PPALF, che poi divennero PEF.
Nel 2005 venne pubblicato “L’enrichment familiare” in cui si faceva la disanima della letteratura.
Nel 2007 pubblicarono “Riconoscersi genitori”: una riflessione sui percorsi applicata alla genitorialità. Per
scrivere un libro si comincia a pensare che a quel punto è necessario che l’intervento di cui si vuole parlare
debba avere un rigore: dei fondamenti teorici, delle scelte meto