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Esametro

Viene comunemente definito “esapodia dattilica catalettica in disyllabum”. E’ costituito dalla successione di sei

piedi (o dodici elementa). Il suo schema è (le arsi sono contrassegnate dai numeri; U = breve):

__ __ __ __ _

1 UU 2 UU 3 UU 4 UU 5 UU 6 U

La lettura metrica si esegue ponendo un ictus su tutte le arsi (o i longa), contrassegnate dal numero, (e solo su

queste): Sìceli- dès Mu- sàe, pau- lò mai- iòra ca- nàmus (Verg. buc. IV,1)

dattilo spondeo spondeo spondeo dattilo spondeo

L’esametro può assumere forme molto varie per la facoltà di sostituire nei primi quattro metri le due brevi del dattilo con una

lunga, cioè il dattilo con lo spondeo (di realizzare i primi quattro bicipitia con una sillaba lunga); gli ultimi due metri (quinto e

sesto) costituiscono la “clausola”, e sono la parte del verso di norma fissa, di schema metrico sempre uguale: dattilo, spondeo

(o trocheo). Raramente il quinto piede può essere costituito da uno spondeo (in tal caso l’esametro è detto “spondìaco”, e di

solito è presente almeno un dattilo nei quattro metri precedenti: per es. Verg., buc. IV,49). L’impiego eccezionale di questo

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tipo di esametro, in una sequenza di versi con cadenza finale consueta (dattilo, spondeo), deve ovviamente avere una

funzione particolare: il verso acquista spicco, e la clausola spondiaca, di andamento lento, esprime solennità, imponenza,

lentezza, sforzo, ecc. Si consideri ad es. la funzione espressiva della clausola spondìaca, che segue a quattro metri dattilici, in

Verg. Aen. II,68: cōnstĭtĭt ātqu(e) ŏcŭlīs Phrygĭ(a) āgmĭnă cīrcūmspēxīt : il verbo, che realizza da solo la clausola, descrive lo

sguardo di Sinone, che lentamente, a lungo, percorre la folla di Troiani che lo circonda.

Meno rari sono i versi, con clausola regolare, che allineano nei primi quattro metri solo dattili o solo spondei: il verso assume,

rispettivamente, un andamento rapido e concitato o un ritmo lento e grave.

dattili āt tŭbă tērrĭbĭlēm sŏnĭtūm prŏcŭl āerě cănōrō / increpuit (Virg. Aen. IX,503, imitazione di Ennio, ann. fr. 451 Skutsch

at tuba terribili sonitu taratantara dixit): dopo la descrizione della disperazione della madre e della pena che coglie tutti per la

morte di Eurialo, lo squillo della tromba nemica, che risuona da lontano, richiama bruscamente alle incombenze della guerra

(si noti anche l’allitterazione).

spondei ādpārēnt rārī nāntēs īn gūrgĭtě vāstō (Verg. Aen. I,118): sguardo desolato del poeta sull’esito della tempesta che

Giunone ha suscitato contro Enea

Sinalèfe

Consiste nell’annullamento prosodico di una sillaba finale in vocale, in dittongo o in vocale+-m davanti a parola

iniziante in vocale, dittongo o h-. Le due vocali a contatto costituiscono un dittongo provvisorio, il cui elemento

sillabico è il secondo: la quantità della sillaba risultante si identifica con quella della seconda sillaba.

quamquam animus meminisse horret luctuque refugit (Verg.,Aen., II,12)

quàm-qu(am) a-ni- mùs me-mi- nìs-s(e)hor- rèt-luc- tù-que-re- fù-git

dattilo dattilo spondeo spondeo dattilo spondeo

Si usa trasformare il dittongo risultante dalla sinalefe in vera propria elisione (non si pronunciano cioè le vocali e

le vocali +-m che prosodicamente si annullano, qui racchiuse tra parentesi).

Sinizèsi

Consente di misurare come una sola sillaba all’interno di una parola due vocali consecutive: per es. deo-rum in

luogo di de-o-rum; eos-dem in luogo di e-os-dem; dein-de in luogo di de-in-de, ecc. La sillaba risultante è lunga se

realizza un intero elemento (arsi o tesi) del verso (per es. Prop. IV,7,7 eòs-d(em) ha-bu-ìt se-cùm qui-bu-s èst- e-là-

ta- ca- pìl-los); altrimenti ha la quantità della seconda sillaba, per es. Verg.Aen. II, 16: la parola ăbĭětě,

quadrisillabo, diventa trisillabo āb-iě-tě; la sillaba risultante dalla sinizèsi, -iě-, costituisce la tesi del quinto piede

insieme alla sillaba -tě; la sillaba ab- è chiusa (e quindi lunga) per la consonantizzazione di -i-.

Afèresi

Consiste nel’annullamento prosodico della vocale iniziale delle voci es ed est di sum precedute da parola

terminante in vocale, dittongo o vocale +-m

Nèc deus hùnc mensà, dea nèc dignàta cubìli (e)st (si legga ‘cubìlist’) (Verg. buc. IV,63)

Iato semplice

Consiste nel mancato verificarsi della sinalefe. Il fenomeno (raro) si individua facilmente basandosi sulla

misurazione del verso: la sillaba che non si annulla in sinalefe è necessaria alla normale scansione.

àddam cèrea prùna: honòs erit hùic quoque pòmo (Verg. buc. II,53)

Iato prosodico

E’ chiamato così lo iato in cui la vocale, oltre a non annullarsi davanti a parola iniziante per vocale (o dittongo o h), si

abbrevia, se lunga (per estensione della norma vocalis ante vocalem corripitur, valida generalmente solo all’interno di parola)

crèdimus? àn qui amànt ipsì sibi sòmnia fìngunt? (Verg. buc. VIII,108)

(la sillaba qui si abbrevia e costituisce insieme alla prima sillaba di amant la tesi del secondo piede dattilico)

Cesura e dièresi.

Si chiama cesura o incisione (taglio) il ricorrere di fine di parola all’interno del piede; si chiama dièresi

(separazione) la coincidenza di fine di parola e di fine di piede: cesura e dieresi segnano una pausa ritmica (più

marcata per la dieresi e meno per la cesura) all’interno del verso.

La cesura può spartire il piede esattamente nelle sue due metà, separando arsi e tesi; oppure può incidere la tesi (in

un piede dattilico). Le cesure del primo tipo sono dette maschili o forti, quelle del secondo tipo femminili o deboli,

o trocaiche. In teoria, ad ogni fine di parola (non di piede) può seguire una pausa. Di fatto, nella maggior parte dei

casi nell’esametro assume spicco una sola pausa (qualche volta due), che mette in rilievo le parole che da essa (o

da esse) sono separate.

Cesura pentemìmere. E’ la più frequente, cade dopo l’arsi del terzo piede.

ìnstar mòntis equùm // divìna Pàlladis àrte (Verg., Aen. II,15)

Cesura eftemìmere. Seconda in ordine di frequenza, cade dopo l’arsi del quarto piede.

ìlle deùm vit(am) àccipièt // divìsque vidèbit (Verg.,buc. IV, 15)

Cesura pentemìmere femminile (o del terzo trocheo). Più rara, cade dopo la prima breve del terzo piede dattilo.

càsta favè, Lucìna: // tuùs iam règnat Apòllo (Verg., buc. IV, 10)

Dièresi. Coincide di solito con una forte pausa di senso. Se cade dopo il quarto piede si chiama ‘dieresi bucolica’.

strènua nòs exèrcet inèrtia: // nàvibus àtque (Hor., ep. I,11,28) 5

In aggiunta ad una di queste pause può esservi una incisione secondaria, nel primo emistichio-

Cesura tritemìmere. Cade dopo l’arsi del secondo piede

nòn omnìs // arbùsta iuvànt // humilèsque myrìcae (Verg.,buc. IV, 2)

Cesura del secondo trocheo. Cade dopo la prima breve del secondo piede dattilo

quìd concìnna // Samòs, // quid Cròesi règia Sàrdis? (Hor., ep. I,11,2)

Quasi sempre in un verso coesistono più pause ritmiche e non ci sono regole generali per scegliere a quale, o a

quali, conferire maggior rilievo: si tratta spesso di scelte soggettive, che tengono conto, oltre che della pause di

senso, anche del valore delle parole separate, e quindi messe in risalto, dalle pause.

Allungamento in arsi

Consiste nella possibilità di impiegare, davanti a cesura, una sillaba breve al posto di una sillaba lunga: non si

verifica in realtà nessun allungamento; la pausa della cesura colma il tempo primo (o mora) mancante.

tèrrasquè // tractùsque marìs caelùmque profùndum (Verg., buc. IV,51)

dèsine plùra, puèr, // et quòd nunc ìnstat agàmus (Verg., buc. IX, 66)

Qualche volta si verificano insieme “allungamento in arsi” e iato:

sànct(a) ad vòs animà atqu(e) ìstius ìnscia cùlpae (Verg., Aen.XII,648).

La sillaba finale breve di anima (nominativo) non si annulla prosodicamente fondendosi con la sillaba iniziale di atque (iato),

e costituisce l’arsi del terzo piede (in corrispondenza della cesura pentemimere)

Pentametro

Mentre l’esametro può essere usato in una successione uniforme per una intera composizione poetica (è questo il

suo impiego più tipico: poesia epica, pastorale, didascalica, satirica), il pentametro è usato soltanto in unione con

l’esametro, con il quale alterna formando il distico elegiaco (una brevissima strofa, che ha sempre come primo

verso l’esametro e come secondo il pentametro). Ogni distico tende a formare una unità in sé conchiusa: in

generale, è molto raro l’enjambement fra un distico e quello successivo. Il suo schema è il seguente (le arsi sono

contrassegnate dai numeri; U = breve):

__ __

1 UU 2 UU 3 || 4 UU 5 UU 6

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Nonostante il suo nome , il pentametro è composto di sei metri, ed è definibile come esapodia dattilica catalettica

in syllabam al terzo e al sesto piede. Gli ictus sono sei, come nell’esametro; il verso è diviso in due emistìchi (=

mezzi versi) dalla cesura pentemimere fissa (definibile anche come dieresi, in quanto separa il terzo piede,

costituito dalla sola arsi, dal quarto). Possono esservi anche cesure secondarie. Il primo emistichio è costituito da

due piedi che possono essere dattili o spondei, e da un piede incompleto, costituito dalla sola arsi: la lettura

dunque, fino alla cesura pentemimere, non differisce da quella dell’esametro. Il secondo emistichio è invece fisso:

è costituito cioè sempre da due dattili non sostituibili con spondei, e da un piede incompleto, costituito dalla sola

arsi (che è generalmente una sillaba lunga, raramente breve: ciò non comporta alcuna differenza nella lettura, dal

momento che la sillaba finale è sempre accentata, sia essa lunga o breve).

Esempi di distici elegiaci:

mùnera quànta dedì vel quàlia càrmina fèci!

ìlla tamèn numquàm fèrrea dìxit 'amò.' (Prop. II, 8,1-12)

dùm nos fàta sinùnt, oculòs satièmus amòre:

nòx tibi lònga venìt nèc reditùra diès (Prop. II,15,23-24)

ìbitis Aègaeàs sine mè, Messàlla, per ùndas

ò utinàm m

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
6 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher username_yo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Latino e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Citti Francesco.