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⁃ fattore V, VII, VII, IX, X, XI, XIII, XII.
Tutti questi fattori, essendo proteine, vengono prodotti dal fegato. Quindi soggetti che hanno
patologie epato-correlate, devono essere monitorati dal punto di vista della coagulazione.
Uno dei modi per diagnosticare una buona funzionalità del fegato è d’altronde proprio andare
a vedere l’efficienze del fenomeno coagulativo.
Fattori vitamina K dipendenti.
I fattori II, VII, IX e X sono definiti vitamina K - dipendenti in quanto necessitano della
vitamina K per svolgere la loro azione biologica; la vitamina K è infatti indispensabile per
l’azione di un enzima epatico (carbossilasi) che rende i fattori suddetti capaci di legare il
calcio e di ancorarsi ai fosfolipidi piastrinici carichi negativamente. In assenza di vitamina K,
questi fattori, vengono ugualmente sintetizzati dal fegato, ma risultano funzionalmente
inattivi.
Fase fibrinolitica.
Il sistema fibrinolitico è fisiologicamente preposta alla dissoluzione dei trombi e dei coaguli
di fibrina. Tale compito è svolto dalla plasmina, un potente enzima (proteasi) che viene
generata da un precursore ematico inattivo, il plasminogeno, attivato da t-PA (attivatore
tissutale del plasminogeno), prodotto dalle cellule endoteliali.
Coagulazione e meccanismo dissolutivo del coagulo coesistono contemporaneamente
all’interno del sangue.
Anticoagulanti endogeni:
⁃ antitrombina III: proteina prodotta dal fegato;
⁃ eparina: attiva l’antitrombina III mediante modifiche conformazionali;
⁃ trombomodulina;
⁃ proteina C;
⁃ proteina S;
⁃ inibitore del fattore tissutale: inibisce l’attivazione dei fattori IX e X da parte del
fattore VIIa.
Sostanze ad azione anticoagulante.
Al di fuori del circolo il sangue può essere mantenuto liquido rimuovendo tutto il fibrinogeno
oppure aggiungendo sostanze anticoagulanti.
Si distinguono due gruppi di sostanze ad azione anticoagulante:
⁃ sostanze chelanti il calcio, che di fatto sottraggono il calcio alla cascata coagulativa
(citrato, ossalato, EDTA);
⁃ inibitori della trombina.
Manifestazioni cliniche associate a deficit dell’emostasi:
⁃ petecchie: piccole emorragie capillari con diametro di circa 1-2 mm di colorito rosso
violaceo, frequenti nelle zone dove maggiore è la pressione idrostatica o dove c’è
pressione o frizione esterna;
⁃ ecchimosi;
⁃ ematosi;
⁃ versamenti ematici in cavità dell’organismo;
⁃ sanguinamenti da determinati distretti dell’organismo.
Il più importante test di screening è la raccolta della storia familiare e personale accurata. E’
noto infatti che i reagenti necessari ai test di screening non sono così sensibili a tutti i difetti
dell’emostasi. Per questo motivo possiamo trovare delle soluzioni nelle quali, per essendo i
test nella norma, esiste una chiara storia emorragica, per lo più in seguito a traumi e/o
estrazioni dentarie.
La raccolta della storia clinica va eseguita sempre a priori.
Una volta raccolta la storia clinica del paziente si può valutare se è il caso lo stato coagulato
del paziente con precisi test di laboratorio.
Test di screening dell’emostasi:
⁃ test di I filtro: classici test della coagulazione (fase piastrina, fase emo-coagulativa);
⁃ test di II filtro: test che si fanno nel caso quelli di I filtro non fossero soddisfacenti o
non dessero informazioni chiare (vanno ad indagare difetti più rari, ma non per questo
meno importanti).
Test di primo filtro: fase vasopiastrinica.
1) Bleeding time.
Il tempo di sanguinamento viene determinato effettuando una piccola incisione superficiale
sulla rete capillare della faccia volare dell’avambraccio, in una zona pulita, esente da malattie
della pelle e lontano dalle vene superficiali, mantenendo una pressione venosa costante di 40
mmHg con uno sfigmomanometro e cronometrando la durate della fuoriuscita del sangue
dalla ferita. Il tempo medio per la coagulazione è di 6 minuti (2-10 minuti).
2) Conta delle piastrine.
Il conteggio delle piastrine diventa obbligatorio quando il tempo di emorragia è prolungato
per stabilire se si tratta di di piastrinopenia o di piastrinopatia.
150.000 - 400.000/mL: valori normali.
3) Platelet aggregation.
Valuta l’aggregazione e l’attivazione delle piastrine.
4) Test di adesività piastrinica.
Il test di adesività delle piastrine di aderire ad una superficie estranea viene effettuato facendo
passare, in condizioni controllate, il sangue attraverso un tubicino di plastica contenente
microsfere di vetro e determinando il numero di piastrine trattenute rispetto a quelle presenti
nel sangue dello stesso paziente non trattato Il risultato viene espresso in percentuale di
piastrine trattenute. I valori normali sono tra 70 e 98%.
Tempo di protrombina (PT) o tempo di Quick.
Questo test valuta l’efficacia della via estrinseca e comune della coagulazione. Si esegue
aggiungendo al plasma-citrato del paziente tromboplastina tissutale e ioni calcio, e
cronometrando il tempo necessario alla formazione del coagulo. Un tempo normale è
compreso tra 11 e 13 secondi.
Tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT).
Questo test valuta l’efficacia della via intrinseca e comune della coagulazione. I valori sono
normalmente espressi in secondi (tra 28 e 40 secondi).
Fase fibrinolitica.
D-dimero: è il più piccolo frammento del peso di 182 kDa resistente alla plasmina. Può
essere considerato un indice globale di attivazione emostatica, in quanto è il prodotto finale di
una sequenza di reazioni che portano alla degradazione della fibrina stabilizzata ad opera
della plasmina. Ha un emivita di 4-6 ore.
Esistono diversi modi per andare a valutare il D-dimero (dosaggio immunoenzimatico). Il
significato prognostico negativo: la sua negatività favorisce l’esclusione di diagnosi di
trombosi venosa profonda ed embolia polmonare. Ha una bassa specificità e basso valore
predittivo nella diagnosi dell’evento tromboembolico. Infatti aumenta in altre condizioni
patologiche quali: neoplasie, patologia epatica, sindrome nefritica, insufficienza renale.
Trombofilia.
Tendenza, ereditaria o acquisita, a sviluppare trombosi.
Possibile trapela anticoagulante:
⁃ eparina non frazionata;
⁃ eparina a basso PM;
⁃ anticoagulanti orali: dicumarolici;
⁃ terapia trombolitica con r-TPA.
Dicumarolici:
⁃ sono farmaci anti vitamina K;
⁃ provocano una gamma-decarbossilazione dei fattori II, VII, IX e X che vengono
disattivati;
⁃ il paziente deve seguire una dieta priva di vitamina K;
⁃ monitoraggio di PT, aPTT e INR durante la terapia.
I dicumarolici bloccano la vitamina K inibendo quindi anche proteina C e proteina S,
aumentando quindi il rischio trombotico. Quindi all’inizio della somministrazione si affianca
anche la terapia eparinica (per 4-5 giorni).
Pazienti in terapia con anticoagulanti orali impiegano più tempi per formare un tappo di
fibrina e quindi potrebbero avere complicanze emorragiche durante l’intervento. Tuttavia in
caso di sospensione della terapia anticoagulante, si è visto che aumenterebbe il rischio di
episodi trombotici. Appunti di Patologia Clinica, 29/10/2015
Reazioni allergiche. Appunti di Patologia Clinica, 05/11/2015
14/01 o 21/01.
Patologie immuni di interesse odontoiatrico.
Sindrome di Sjogren (guardare sulle slides)
Donna di 66 anni, carie multiple all’arcata superiore, si lamenta di secchezza della bocca e ha
la sensazione di “sabbia negli occhi”.
La sindrome di Sjogren porta alla produzione di auto anticorpi che attaccano le ghiandole
salivari impedendo la secrezione di saliva.
La sindrome di Sjogren può essere:
⁃ idiomatica;
⁃ secondaria: artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico, sclerodermia, cirrosi
biliare, infezione HIV o HCV.
La terapia non è specifica dell’origine ma si cerca di combattere i sintomi infiammatori.
LES - lupus eritematoso sistemico (guardare sulle slides).
E’ una malattia cronica autoimmune sistemica che comporta infiammazione dei tessuti colpiti
e ha una presentazione e un decorso variabile.
Incidenza annua: 3/100.000 caucasici e 30/100.000 neri. La prevalenza è in aumento con dati
però contrastanti.
Patogenesi del LES:
⁃ formazione di anticorpi contro il DNA a doppia elica (non quando si sta replicando —
> caratteristica tipica del LES);
⁃ alcuni di questi anticorpi sono patogenetici.
La sintomatologia più grave da monitorare nei pazienti affetti da LES è la sintomatologia a
livello renale.
Manifestazioni cliniche:
⁃ costituzionali: febbre, perdita di peso;
⁃ muscoloscheletriche: artrite e/o artralgie, mialgia;
⁃ cardiorespiratorie: pericardite, miocardite, insufficienza cardiaca, valvulopatia,
pleurite, polmonite lupica;
⁃ renali: sindrome nefriosica, sedimento attivo - immunocomplessi ritrovati nelle urine
(sintomatologie più rare ma più gravi);
⁃ cutaneo - vascolari: eritema malare a farfalla (34%), lesioni discoidi, alopecia,
erosioni mucose orali e/o nasali, orticaria, fotosensibilità, Raynaud.
Xerosità (bocca secca):
⁃ patologie autoimmuni: artrite reumatoide, sindrome di Sjogren, lupus, sarcoidosi;
⁃ infezioni: HIV, EBV, HCV.
La xerostomia può essere causata anche da farmaci. E’ la più comune causa di diminuito
flusso salivare soprattutto nei soggetti con più di 65 anni. La chemioterapia antitumorale
modifica sia il flusso che la composizione della saliva.
Fattori causali locali:
⁃ neoplasie delle ghiandole salivari o dei dotti secretoti (es. carcinomi, linfomi);
⁃ rimozione di tumori delle ghiandole salivari;
⁃ disfunzioni funzionali;
⁃ radioterapia neoplastica: trattamento di tumori di testa, collo ed orali (xerostomia da
danno permanente post irradiazione).
Approccio diagnostico xerostomia:
⁃ analisi dei sintomi e segni;
⁃ analisi delle secrezioni salivari;
⁃ diagnostica per immagini;
⁃ scintigrafia;
⁃ biopsia delle ghiandole salivari minori;
⁃ altri esami di laboratorio.
L’esame più semplice è fare una misurazione della produzione salivare del soggetto, facendo
masticare una certa quantità di paraffine e andare poi a misurare il flusso salivare stimolato.
Paziente con flusso salivare in ml/min < 0,7 è a rischio.
Si può procedere poi alla sialografia che è però fastidiosa per il paziente. Un’altra via è
l’ecografia o la risonanza magnetica.
La terapia per la xerostomia si tratta principalmente con farmaci sintomatici.
Bisogna comunque identificare le possibili cause:
⁃ farmaci: sostituire con altri farmaci;
⁃ sindrome di Sjogren: FANS, terapia steroidea, antidrepessivi triciclici, Gabapen