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KUNDA
Secondo Kunda la cultura aziendale è come uno strumento di controllo: le
organizzazioni la usano per assicurarsi autodisciplina e autocontrollo dei dipendenti: si
lascia fuori l’identità personale e si assume quella dell’organizzazione. Le persone
sono quindi allineate agli obiettivi dell’organizzazione, si comporteranno in modo
coerente ai valori dell’azienda, con il risultato di non riuscire a mantenere un confine
tra il Sé reale e il Sé organizzativo.
I PROCESSI DECISIONALI
Riguardano il modo in cui vengono prese le decisioni nell’organizzazione.
La presa di decisioni si distingue in due momenti:
-identificazione dei problemi;
-soluzione (idea del problem solving).
Ogni giorno si prendono molteplici decisioni, che hanno impatto sulla vita, che sia
quella personale o quella organizzativa.
Esistono:
-decisioni programmate o programmabili, ovvero prevedibili e semplici, che
riguardano cose già fatte in passato, per le quali è già stata trovata una soluzione
adeguata. Si tratta quindi di decisioni ripetitive, ben definite, proceduralizzate, che si
basano sull’esperienza. Si ha quindi una certezza.
Es. quando va sostituito un computer, selezione del personale (a meno che si tratti di
una posizione nuova).
-Decisioni non programmate o non programmabili. Si tratta di decisioni
imprevedibili e più complesse, non si hanno punti di riferimento. Sono nuove perché
non ci si basa sull’esperienza.
Es: entrare in un nuovo mercato.
Il numero delle decisioni non programmate aumenta sempre di più nell’ambiente
attuale, in quanto esso complica notevolmente i processi decisionali nelle
organizzazioni.
Esercizio: quali caratteristiche del processo decisionale hai utilizzato per la scelta di
iscriverti a questo corso di laurea?
2. Consapevolezza interiore -1
3. Dati 1
4. Sensazione percepita -1
5. Fatti 1
9. Ragione 1
Punteggio: 1
Il miglior approccio è quello razionale, secondo la scienza, in particolare una
razionalità assoluta verso la quale bisognerebbe tendere. Tale approccio però non è
quasi mai percorribile: le persone prendono le decisioni attraverso un approccio di
razionalità limitata.
L’approccio razionale si basa su 8 fasi, distinte nei due momenti fondamentali del
processo decisionale:
Prima macro-fase: identificazione del problema.
1.monitorare l’ambiente, ovvero comprendere cosa accade al di fuori del contesto
organizzativo;
2.definire il problema, ovvero stabilire quale sia il problema che emerge dall’analisi
dell’ambiente;
3.specificare gli obiettivi, ovvero definire come si vuole intervenire;
4.diagnosticare il problema, cioè stabilire quali siano le cause del problema;
Seconda macro-fase: soluzione del problema.
5.sviluppare possibili alternative di soluzioni al problema;
6.valutare tali alternative, testandole;
7.scegliere l’alternativa migliore tra quelle individuate e testate;
8.implementare la scelta.
Il problema dell’approccio razionale è il fatto che si presupponga che in fase di
monitoraggio dell’ambiente gli individui raccolgano tutte le informazioni disponibili: ciò
non avviene mai, infatti si raccoglie solo una parte delle informazioni, nel modo più
razionale possibile, ma senza mai raggiungere una razionalità assoluta.
La conclusione è che gli individui non utilizzano la razionalità assoluta ma la
razionalità limitata, perché sono soggetti ad alcuni vincoli nel processo
decisionale, che condizionano il grado di razionalità della scelta finale:
-il primo vincolo è costituito dalla stessa razionalità limitata, dettata da limiti di tempo
e risorse a disposizione da impiegare in un contesto complesso;
-limitazioni organizzative: determinate dalla necessità di consenso da parte del
contesto organizzativo, cooperazione, supporto, valori ecc;
-limitazioni personali, ovvero i limiti del singolo, determinati da desideri di prestigio,
sentimenti di insicurezza, soddisfazione di bisogni emotivi, pressioni ecc.
Quindi la decisione finale non è la migliore in assoluto, ma la migliore dati i vincoli a
cui si è sottoposti.
A tali limiti vanno aggiunti:
-intuizione manageriale, infatti i manager prendono decisioni in base al proprio intuito,
portando spesso ad un ulteriore abbassamento di razionalità. Infatti la caratteristica
principale del buon manager è quella di saper utilizzare bene l’intuito, in forza della
necessità ricorrente di dover assumere decisioni efficaci in tempi brevissimi;
-eurismi, ovvero regole e procedure mentali atte a generare o trovare qualcosa che si
sta cercando. Non costituiscono un aspetto negativo, infatti l’eurisma viene utilizzato
per raggiungere risultati soddisfacenti, in quanto deriva dall’esperienza.
Es: scelta del melone al supermercato.
Tuttavia spesso l’utilizzo di eurismi, combinato con elevate limitazioni di tempo e
risorse, può creare distorsioni cognitive, che hanno un impatto negativo sulle
decisioni finali, impattando inoltre sulle varie fasi del processo decisionale. Tali
distorsioni sono:
-errore di framing: (fase 1, 2, 3) significa vedere le cose da un solo punto di vista. La
visione principale del soggetto è sempre dominante e si genera quindi un problema di
rappresentazione del problema, il quale viene osservato da un’unica prospettiva;
-disponibilità: (fase 4, 5, 6) riguarda le informazioni a disposizione, che sono spesso
parziali e determinate da quanto si parla di determinate cose. Non c’è la totalità di
informazioni necessarie.
Esempio: i telegiornali parlano più di omicidi che di polmonite, che sono due cause di
morte. Si pensa che la causa maggiore nell’anno x siano stati gli omicidi, perché oggi
abbiamo più informazioni a riguardo, ma in realtà è stata la polmonite;
-rappresentatività: (fase 4, 5, 6) legata agli stereotipi, che consistono nell’attribuire le
caratteristiche di un determinato individuo/cosa a tutta la categoria di riferimento;
-ancoraggio: (fase 4, 5, 6) è legato alla tendenza ad assumere dei punti di riferimento
(“ancore”) che vincolano le proprie scelte. Se tali punti di riferimento sono sbagliati,
possono essere fuorvianti nel processo decisionale;
-auto-conferma: (fase 7, 8) si basa sulla ricerca di una conferma rispetto a quello che
si pensa, piuttosto che sulla ricerca di una negazione;
-errore di attribuzione: (fase 7, 8) si scarica la responsabilità di ciò che non funziona
non su sé stessi, ma su altri elementi esterni.
Esistono alcuni rimedi a tali distorsioni:
-framing:
-lavorare sui gruppi, perché funzionano meglio dei singoli, dato che si
frame
moltiplicano i (punti di vista);
-moltiplicazione frame, che consiste nello spingere i soggetti ad assumere più
punti di vista;
-utilizzo della comunicazione, soprattutto nei confronti dei dipendenti: si può
uniformarli alla cultura dominante, ma anche indurli a ragionare in determinati
modi.
-disponibilità/rappresentatività/ancoraggio:
-informazioni di sfondo, che vanno fornite in quantità maggiore. Infatti i
manager hanno tante informazioni a disposizione, ma non le condividono con i
propri collaboratori, perché temono un possibile annullamento delle differenze
gerarchiche ed una conseguente maggior difficoltà a gestire il lavoro, dato che
spesso le informazioni sono potere (prospettiva post-modernista);
-check list;
-gruppi.
-attribuzione/auto-conferma:
-sperimentare;
-aumentare teorie ed ipotesi disponibili;
-osservazione dei risultati;
-evidence-based management, ovvero utilizzare molto di più le informazioni a
disposizione dei manager.
Ecc. LE TEORIE MOTIVAZIONALI
La motivazione riguarda insieme delle forze che contribuiscono a determinare l’inizio
del comportamento lavorativo della persona (iniziare a lavorare in una determinata
organizzazione), la sua direzione (obiettivo), il suo livello (livello di impegno/intensità),
e la sua persistenza (durata nel tempo).
Se manca uno di questi elementi, non c’è la motivazione.
Per capire l’importanza della motivazione si può far riferimento alla seguente
formula: P (performance) = A (abilità) x M (motivazione)
Se la motivazione è pari a zero, anche se il lavoratore è molto abile, la sua
performance sarà nulla. Allo stesso modo, se la persona è molto motivata ma poco o
non abile, la sua performance sarà bassa.
Teorie della motivazione
MASLOW – Scala dei bisogni
Secondo Maslow, per motivare un lavoratore, bisogna lavorare su 5 tipi di bisogni,
disposti in scala gerarchica (dalla base al vertice):
-bisogni fisiologici: le persone sono motivate perché alla ricerca di bisogni fisiologici,
cioè la sopravvivenza (avere una casa, cibo, vestiti, curarsi ecc);
-bisogno di sicurezza: avere sicurezza che i bisogni fisiologici saranno rispettati nel
lungo periodo, per sempre, non solo nel breve periodo;
-bisogni sociali: c’è motivazione se il bisogno di sentirsi parte di una collettività viene
rispettato, soprattutto sul posto di lavoro;
-bisogno di soddisfazione dell’ego: significa avere uno status organizzativo di prestigio,
essere Qualcuno nell’organizzazione;
-bisogno di autorealizzazione: sentirsi realizzati come persone, che si sta arrivando
verso i propri obiettivi.
Un bisogno inizia a manifestarsi solo quando è soddisfatto il bisogno inferiore.
I MODELLI DI COORDINAMENTO
I modelli di coordinamento identificano possibili soluzioni per coordinare le attività
degli attori all’interno di un contesto organizzativo (azienda, ospedale, università ecc),
ovvero ricercare la modalità migliore per regolare l’attività tra gli attori del contesto
organizzativo.
Non esistono modelli perfetti, infatti esistono solo i modelli migliori secondo il
contesto, ovvero quelli che meglio si adattano all’ambiente di riferimento (teoria
contingente, a seconda dell’ambito organizzativo esiste un modello di coordinamento
migliore).
I principali modelli di coordinamento sono:
-il mercato, dove avviene l’incontro tra domanda ed offerta e il coordinamento è
assicurato dal prezzo.
Es: venditore e potenziali acquirenti in un’asta: il loro punto di incontro è il
raggiungimento del prezzo;
-autorità, dove il coordinamento è assicurato dall’esistenza di una gerarchia (poteri
attribuiti ad una autorità, il capo).
Es: impiegati amministrativi che sono coordinati dalla figura del capo contabile;
-agenzia, dove c’è un agente che, tramite un contratto di agenzia,