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Manzoni rappresentava molto bene e personalmente questa convivenza e commissione di lingue:
la madre era madrelingua francese, ma Manzoni, nato e cresciuto a Milano, parla il dialetto
milanese e sa studiare e parlare molto bene l’italiano. Quando si mette nell’idea di scrivere il suo
romanzo, ha a disposizione queste tre lingue. Decide di raccontare la storia di personaggi del
popolo, di raccontare la vicenda in modo verosimile, facendo parlare verbalmente questi 15
personaggi. Si chiede quale fosse il modo migliore per rendere lo scambio verbale linguisticamente
credibile. Bisogna trovare una lingua adatta e definire un genere, poiché il romanzo italiano ancora
non esisteva. Il lettore medio si doveva riconoscere nei personaggi del suo testo. Sono tre le
versioni del romanzo: da Fermo e Lucia a I promessi sposi, edizione ripulita dai lombardismi e
dove viene sintetizzata la storia della Monca di Monza. Tra il 1827 ed il 1840, Manzoni riscrive I
promessi sposi in relazione a quello che trova nel vocabolario dell’Accademia della Crusca. Il
romanzo di Manzoni diventerà il modello italiano per la nuova Italia. Nella ricerca della lingua
dell’uso, Manzoni infranse alcune regole grammaticali nette.
Manzoni modifica l’uso del soggetto della terza persona singolare Manzoni sostituisce usa lui, lei,
loro come soggetti invece che egli, ella, essi. Inoltre usa gli al posto di loro, più bene al posto di
meglio. Questi casi sono simulazioni di parlato: attribuisce dei tratti meno formali nel parlato dei
suoi personaggi perché vuole dare l’impronta di un vero e proprio parlato.
Manzoni fu chiamato dal ministro dell’istruzione Emilio Broglio a far parte di una commissione che
doveva prendere provvedimenti per rendere universale la diffusione della buona lingua. Manzoni
scrive una relazione al ministro che s’intitola Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, dove
descrive la forma unitaria dell’italiano e propone nei modi per diffonderla. Per Manzoni la lingua
unitaria doveva essere il fiorentino colto ottocentesco e doveva essere diffusa attraverso le scuole.
La situazione delle scuole e dei piccoli centri era aleatoria: alcune famiglie utilizzavano i bambini
per aiutare la famiglia nel lavoro e non rispettavano l’obbligo scolastico. Manzoni propone
un’operazione di formazione degli insegnanti che dovevano realizzare nell’arco della loro carriera
un soggiorno a Firenze per immergersi in questa lingua, impararla e riproporla in aula ai propri
allievi. Ciò avviene in maniera abbastanza ridotta e complicata. Manzoni sostiene che bisognava
redigere e preparare grammatiche e vocabolari che seguissero i criteri manzoniani (fiorentino colto
ottocentesco) che fossero di riferimento per gli studenti e per le scuole.
Manzoni non ha in mente di escludere ed abolire i dialetti, anzi, sostiene che sono molto utili per
l’esperienza formativa ed espressiva di una persona. Si ha quindi una grande fioritura di dizionari
in modo che l’acquisizione della lingua da parte dei ragazzi fosse mediata tra lingua scritta e
parlata.
Strumento fondamentale è il Novo vocabolario della lingua italiana secondo l'uso di Firenze del
1870. E’ il cosiddetto Giorgini Broglio: Giorgini è l’autore e Broglio sottoscrive ciò che viene
pubblicato. Esso è il modello dell’idea manzoniana di lingua che viene pubblicata.
Questo vocabolario è il primo esempio di vocabolario sincronico, cioè è stato compilato seguendo
un modello di lingua che non è né scritto, né antico. In esso si seguono i criteri manzoniani e
riproduceva il repertorio musicale e fraseologico tipico del fiorentino parlato della seconda metà
dell’Ottocento. Questo vocabolario si dichiara italiano ed è stato usato recentemente per ricostruire
e vedere la varietà fiorentina che nel tempo ha perso la sua connotazione dialettale. Nel Giorgini
Broglio, ci sono delle forme molto locali che si sono conservate nel fiorentino contemporaneo, ma
che non sono entrate nell’italiano standard. Il Giorgini Broglio ha scatenato una discussione sul
modello proposto da Manzoni: nel titolo, novo è la forma fiorentina senza dittongamento che marca
questa opera come fiorentina.
Nel primo numero del 1873, il Giorgini Broglio esce con un proemio in cui parte dall’aggettivo novo
sentito come troppo marcatamente fiorentino e vuole esporre le sue idee in maniera linguistica. In
questo intervento polemico, Ascoli non condivide il modello proposto e ha ragionevoli dubbi sulla
modalità proposte da Manzoni per diffondere questo modello. Ascoli parte da un principio
abbastanza comune e diffuso: ogni paese, per darsi una lingua nazionale, deve scegliere una
varietà tra le lingue proposte sul territorio. Quella lingua scelta diventa la principale.
Ascoli individua due fattori fondamentali per cui l’Italia non ha raggiunto l’unità politica, nazionale e
linguistica. L’unità linguistica è una conseguenza dell’unità nazionale e se non c’è la prima, non c’è
la seconda. I due fattori sono:
1. la scarsa densità della cultura, che non vuol dire scarsa cultura, ma che la storia della cultura
italiana è stata un concentramento di cultura in alcuni punti e che complessivamente il popolo
che ha abitato l’Italia in questi anni è stato un popolo incolto, nel senso culturale del termine.
2. l’eccessiva preoccupazione della forma, che vuoi dire che le discussioni che hanno segnato la
storia della lingua italiana si sono sempre concentrate su elementi formali. Queste discussioni
si sono protratte nei secoli successivi. Ora è il momento in cui l’Italia ha bisogno di diffondere la
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cultura e la comunicazione funzionale. Il problema dell’Italia è quello di trovare un mezzo di
comunicazione che fosse utile alle esigenze reali e pratiche della popolazione.
Per questo Ascoli vede improbabile il tentativo di Manzoni di diffondere un modello attraverso
grammatiche, dizionari, la formazione di alcuni insegnanti in Toscana e così via. Ci vorrà un secolo
per cui in Italia ci sia una situazione socioculturale per poter permettere una lingua nazionale.
In questa sua analisi, Ascoli era stato molto più realistico di Manzoni.
I fattori che hanno favorito l’italianizzazione sono stati molti. Innanzitutto l’obbligo scolastico con la
Legge Casati e la Legge Coppino, anche se la scuola fino ai primi del Novecento non è stato un
canale omogeneo: in alcune zone l’obbligo scolastico è stato più efficace, in altre meno. Per
quanto il modello di Manzoni sia stato applicato, oggi I Promessi Sposi è l’unico testo che viene
fatto in tutte le scuole superiori. Questo perché c’era la convinzione che proprio questo testo
rendeva possibile l’italianizzazione della nostra nazione.
Oltre e accanto l’obbligatorietà della scuola abbiamo l’urbanizzazione e le emigrazioni, cioè grandi
spostamenti di popolazioni dalle aree rurali verso i centri urbani. In questi spostamenti sono
previsti molti casi di emigrazioni verso il nord Italia o verso l’estero.
Le migrazioni prevedono tre fasi. La prima va dall’unità al periodo fascista, in cui le migrazioni si
hanno verso l’estero e in particolare verso l’America. Si pongono però limiti che sono volti a
favorire la produzione nazionale e a rilanciare l’economia rurale che permette a chi non è inserito
nelle aree urbane di tornare a lavorare e a produrre in ambito agricolo. Poi, dopo la seconda
guerra mondiale riprende l’emigrazione dal sud al nord Italia e verso l’estero, ma ciò non è
sufficiente a rilanciare l’economia del mezzogiorno. L’effetto linguistico delle migrazioni all’estero è
soprattutto indiretto: chi parte è perlopiù dialettofono. All’estero accade che si riformano delle
comunità di italiani migranti che fa siche in gruppi di italiani provenienti da zone diverse, si trovi il
modo di comunicare grazie ad un adattamento del proprio italiano diverso perché non tutti
emigravano dalla stessa regione e quindi non tutti avevano lo stesso dialetto. Altro elemento che
produce una forma di italianizzazione indiretta è l’effetto che le migrazioni hanno su chi resta. Le
famiglie che emigrano hanno come obiettivo quello di non far rivivere la propria situazione ai loro
figli: i figli devono andare a scuola, devono imparare l’italiano e si dà quindi un valore all’istruzione.
In questo modo si indeboliscono i dialetti locali: chi torna trova delle varietà nuove chiamate italiani
regionali.
Le migrazioni interne, cioè da una regione all’altra, mettono in contatto parlanti di regioni molto
diverse fra loro. L’impatto era di assoluta incomunicabilità: era come andare in un paese dove si
parlava un’altra lingua. Altro ambiente in cui gli italiani si trovavano a comunicare provenendo da
tutt’altre parti era la leva obbligatoria: fino a qualche decennio fa, i ragazzi maschi erano tenuti a
prestare un servizio miliare obbligatorio a partire da una certa età. L’incontro per così tanto tempo
di ragazzi ventenni induceva a trovare un modo per comunicare anche perché in caserma non si
potevano usare i dialetti.
I mezzi di comunicazioni di massa, in ordine cronologico il cinema, la radio e la televisione, hanno
contribuito all’italianizzazione della nostra nazione. In un paese che aveva un grande percentuale
di analfabeti, la stampa aveva una diffusione molto contenuta. Cinema, radio e televisione
potevano arrivare anche a chi non sapeva né leggere, né scrivere: l’ascolto accompagnato dalle
immagini facilitò la comprensione di chi, ascoltando, non capiva perfettamente cosa veniva detto.
Ruggero Bonghi scrisse nel 1855 un saggio intitolato Perché la letteratura italiana non sia popolare
in Italia. borghi metteva in rilievo una caratteristica unica ma anomala dell’Italia: la letteratura
italiana non era molto diffusa o apprezzata dal popolo italiano, ma era rimasta in una cerchia di
élite da cui non era mai uscita. Il saggio è composto da delle lettere critiche. L’autore cercava di
capire come la prosa italiana avesse un’urgente necessità di dedicarsi alla retorica in modo da
essere più viva e comprensibile.
Luigi Morandi fu uno dei maggiori seguaci di Manzoni. Esso testimonia che nel giro di una trentina
d’anni le posizioni erano cambiate.
Le lettere del Bonghi suscitarono grande clamore e vennero accusate di essere supposizioni
contrarie alla grande tradizione italiana, nonostante fosse un manzoniano. Secondo Bonghi, il
fiorentino doveva essere diffuso e tutti si dovevano adattare ad essa per lo scrivere e per il parlare.
Questo è il modo in cui il fiorentino può arri