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PRODOTTI COMPLEMENTARI
Il modello di Porter non considera i prodotti complementari, ossia i prodotti il cui uso,
congiunto a quello del prodotto di riferimento, aumenta l'utilità per il consumatore e
determina un valore superiore al valore dato dall'utilizzo disgiunto dei due prodotti. Si
tratta per esempio delle cartucce per le stampanti o dei detersivi per le lavatrici.
Quando i prodotti complementari tendono a identificarsi con il prodotto complessivo,
essi hanno poco valore per i clienti come prodotti separati, in quanto i clienti
tenderanno a valutare l'offerta nel suo insieme. Peraltro se un'impresa è in grado di
proporre congiuntamente dei prodotti complementari, è in grado di rafforzare la
propria posizione competitiva e la propria redditività, come nel caso di Nespresso e
Illy, che propongono macchine elettriche che utilizzano capsule speciali.
In alcuni casi la maggior parte dei profitti deriva dal prodotto complementare più che
da quello di riferimento; Nintendo ha risolto questo problema rilasciando licenze agli
sviluppatori e controllando la produzione e la distribuzione del software.
Secondo i critici di Porter i prodotti complementari dovrebbero essere considerati come
una forza aggiuntiva, la sesta, rispetto a quelle considerate dal suo schema per
l'analisi della concorrenza. Essi influenzano la situazione competitiva in maniera
opposta rispetto ai prodotti sostitutivi; mentre questi ultimi riducono il valore del
prodotto, i complementari lo aumentano. In realtà appare condivisibile quanto obietta
Porter a questa critica, e cioè che il complementare influenza la domanda dei prodotti
del settore, ma l'effetto che determina sulla redditività delle imprese del settore
dipende dall'impatto che produce sulle cinque forze competitive.
INSTABILITA' DEL SETTORE
Porter sostiene che la struttura del settore determina la concorrenza; Schumpeter
(1912) e la scuola austriaca ritenevano invece che fosse la concorrenza a trasformare
la struttura di un settore. Un settore che preveda un monopolio dell'offerta è molto
appetibile e spinge le imprese a entrare, alternandone la struttura originaria.
In generale si distinguono settori consolidati in cui le nuove entrate avvengono in
maniera lenta e i cambiamenti non sono così distruttivi come vorrebbe Schumpeter; e
altri settori, detti invece “Shumpeteriani”, caratterizzati da rapide innovazioni di
prodotto e ripide curve di esperienza, come nel caso del settore dei telefonini. In
questi settori di ipercompetizione, i concorrenti devono muoversi rapidamente per
costruire i propri vantaggi e intaccare quelli degli avversari, ma il vantaggio acquisito è
transitorio e bisogna crearlo e rinnovarlo continuamente.
Le critiche al modello di Porter postulano spesso una visione statica della struttura del
settore da lui proposta, che in realtà non corrisponde a quanto proposto da Porter
stesso.
CONCORRENZA DINAMICA E TEORIA DEI GIOCHI
La principale obiezione posta allo schema di Porter è che esso non tiene conto delle
effettive interazioni tra le imprese: esse, infatti, non sempre assumono un
atteggiamento competitivo; a volte possono essere disponibili a una cooperazione,
anche tacita, o a una coalizione.
La teoria dei giochi è un modo singolare per affrontare il tema della concorrenza,
paragonandola a un gioco a cui partecipano dei concorrenti-giocatori che possono
effettuare delle azioni scegliendo tra alcune opzioni. Uno dei vantaggi di questa teoria
è la sua capacità di considerare i rapporti tra imprese concorrenti non solo sul piano
della competizione pura, ma anche sul piano della cooperazione; per questo fu coniato
il termine “co-opetition”, combinazione di “cooperation” e “competition”, a
sottolineare che i rapporti tra imprese hanno carattere dualistico, fatto di
collaborazione e competizione che spesso coesistono per spinta di natura
esogena(legate a trasformazioni regolamentari) o endogena.
Spesso le imprese realizzano che la possibilità di raggiungere un accordo è più
conveniente che competere. Infatti una guerra dei prezzi tra due concorrenti lascia
pressoché immutate le quote di mercato, ma abbassa
i profitti per tutti gli attori; in tal caso diventa più conveniente accordarsi per un prezzo
comune.
Gli ambiti competitivi si trasformano sempre più velocemente nel mondo degli affari e
questo fa sì che le relazioni inter-organizzative siano considerate un patrimonio
strategico e una fonte di vantaggio competitivo.
Capitolo 5 – Catena del valore e vantaggio competitivo
5.1 Il dibattito teorico sulle determinanti dei risultati di impresa
La teoria economica si è da sempre confrontata sui fattori che determinano il successo
di un'impresa, misurato attraverso i risultati economici realizzati nel medio termine.
L'interpretazione dominante, quasi esclusiva, era quella dell'Industrial Organization
(IO) che proponeva una spiegazione strutturale per valutare l'attrattività dei settori e,
determinando il grado di intensità della concorrenza, per predire le performances
attese dalle imprese del settore.
Dagli anni Ottanta si afferma, però, una prospettiva teorica, la “resource based view”
(o RBV) che considera l'utilizzo delle risorse specifiche, e talvolta esclusive delle
imprese, come fattore esplicativo del loro successo. Questa impostazione parte da una
critica del paradigma strutturale, stabilisce un legame con il contributo di Penrose
(1959), la quale spiegava la crescita delle imprese con le risorse da esse detenute, e
sposta la spiegazione del vantaggio competitivo e, di conseguenza, delle performance
delle imprese, sul ruolo critico di risorse scarse e difficilmente replicabili.
La RBV si è affermata con difficoltà in ambito strategico; il motivo è riconducibile sia a
un'oggettiva iniziale mancanza di chiarezza nelle basi concettuali, sia a una relativa
minore definizione delle condizioni di applicazione rispetto al modello dominante
“porteriano”. Secondo la RBV, se i risultati economico-finanziari di un'impresa sono
soddisfacenti e se sono migliori di quelli dei concorrenti è perché essa dispone di
risorse e di competenze che hanno saputo coltivare e impiegare in ambiti competitivi
favorevoli.
Una terza più recente prospettiva teorica, detta “relazionale”, a partire da Dayer e
Singh individua nelle relazioni inter-organizzative e nelle capacità organizzative
necessarie per coordinare questi sistemi complessi, una fonte primaria di rendite e
quindi di vantaggio competitivo. Numerosi contributi che si collocano in questo filone
di studio enfatizzano la rilevanza strategica delle relazioni di collaborazione inter-
organizzativa, evidenziandone il ruolo svolto nel condizionare le dinamiche aziendali
rispetto all'influenza esercitata dall'ambiente esterno e nel condizionare l'accesso delle
imprese alle risorse materiali e immateriali necessarie per competere efficacemente.
Inoltre le relazioni di collaborazione inter-organizzativa si ritengono risorse difficili da
imitare.
In questo capitolo si analizza come l’impresa configura e svolge le sue attività e quindi
come crea valore; di qui il concetto di catena del valore viene usato come strumento
per svolgere l’analisi.
L'analisi del valore si basa sul presupposto che l'obiettivo di un'attività sia quello di
creare valore per i suoi clienti e che il valore che l'impresa ha saputo creare per il
cliente si traduca in redditività.
5.2 Catena del valore
Secondo la definizione che ne ha dato Michael Porter (1985) e che adottiamo, la
catena di valore è il modo in cui l'impresa svolge le singole attività, attuando una
certa strategia che risente della sua storia e delle specificità economiche dell'attività
stessa.
La catena del valore disaggrega l'impresa nelle sue attività strategicamente
rilevanti allo scopo di comprendere cosa determina l'andamento dei costi, le fonti e
i potenziali di differenziazione esistenti. L'analisi della catena del valore diventa la
base per identificare la natura del vantaggio competitivo che l'impresa intende
perseguire e conseguentemente per sviluppare la strategia.
La catena di valore rappresenta graficamente il valore totale generato
dall'attività dell'impresa in un determinato business e mette in evidenza due
componenti:
1. attività generatrici di valore: attività fisicamente e tecnologicamente distinte,
svolte dall'impresa;
2. margine: differenza tra valore totale e costo complessivo per eseguire le
attività generatrici di valore.
Ciò che è bene tenere in considerazione per utilizzare lo strumento della catena di
valorizzazione è quanto segue:
in termini competitivi il valore è la somma che i compratori sono disposti a
- pagare per quello che l'impresa fornisce loro;
la misura è il ricavo totale;
- nel perseguire un vantaggio competitivo l'impresa deve guardare al valore e
- non al costo, che può aumentare per consentire di spuntare prezzi più elevati.
Per costruire la catena del valore di un'impresa è necessario:
identificare le attività generatrici di valore;
definire i contenuti in relazione al settore nel quale l'impresa opera;
evidenziare i legami verticali e orizzontali tra le attività della catena di
valore.
5.2.1 Identificare le attività generatrici di valore
Con la catena del valore è possibile rappresentare le attività di un'impresa
distinguendo tra:
1. attività primarie o di base, che consistono:
nella movimentazione delle materie prime e dei componenti e nella creazione
fisica del
prodotto/servizio;
nel marketing, nella distribuzione e nella vendita dei prodotti e nel loro
trasferimento al compratore; nell'esistenza post-vendita e, in generale, nei
servizi offerti alla clientela.
Si tratta quindi delle attività che consentono di creare fisicamente i prodotti o servizi
che saranno destinati ai clienti. Più analiticamente, tra le attività primarie, Porter
distingue:
la logistica in entrata, che riguarda le attività della gestione dei materiali,
della gestione di magazzino, del controllo delle scorte, della programmazione
dei vettori di trasporto, della
restituzione ai fornitori dei prodotti acquistati non conformi agli ordini;
le attività operative, che consistono nella trasformazione degli input nel
prodotto/servizio finale; la logistica in uscita, che riguarda la raccolta,
l'immagazzinamento e la distribuzione del prodotto agli acquirenti. Si fa qui
riferimento alle attività di stoccaggio dei prodotti finiti, alla gestione dei<