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Estratto del documento

Prima di morire lui curò una raccolta chiamata “ ” in cui raccolse tutte le

poesie che aveva scritto e anche le 3 raccolte poetiche, ognuna preceduta da una

prefazione che lui stesso scrisse.

Ungaretti scrisse una lettera a Giuseppe Prezzolini (fondatore del “La Voce”), in cui scrisse

che non sapeva chi fosse e quale fosse la sua identità, non sapeva dire a chi appartenesse e

non sapeva collocare la sua esistenza in un posto.

Lui nacque 10 febbraio 1888 ad , nonostante i genitori fossero

della provincia di Lucca (lui non verrà mai in Italia, se non da grande).

Nacque qui perché non c’era lavoro in Italia, mentre in Egitto si stava scavando il canale di

Suez, quindi il padre lavorava come operaio. Nel frattempo, però, aprirono anche un forno

gestito dalla madre. Il padre muore quando Ungaretti aveva 2 anni.

Qui frequenta scuole francesi prestigiose perché i genitori erano benestanti e fu attratto fin

da subito da un poeta simbolista chiamato Mallarmé, che parlava di analogie tra le cose e

corrispondenze.

Alessandria d’Egitto in quel periodo era il luogo in cui si rifugiavano tanti intellettuali

esiliati o scappati dalla propria terra, tra cui Costantino Kavakis, fuggito dalla Grecia

durante gli anni del regime o anche Enrico Pea, un italiano che si era stabilito ad

Alessandria e aveva cerato un luogo chiamato “ ” in cui ospitava tutti

gli intellettuali del tempo.

Alessandria d’Egitto era la “ ” e i rumori della notte, il canto del

muezzin, il deserto saranno presenti nella poesia. Inoltre lui conobbe due fratelli ingegneri,

i quali lo portarono in un luogo vicino al mare in cui dicevano ci fosse il

. Lui era affascinato da questo “ ”.

Ungaretti elaborerà la sua

diceva che il poeta è come un palombaro che va giù ne fondo di sé stesso,

pesca una parola, la porta alla luce e infine la disperde agli altri.

Tutto questo fa parte del concetto di ,

ma un’intuizione che ha a che fare con la purezza dell’animo.

Suggestionato da questo “Porto sepolto” chiamerà così la sua prima raccolta poetica.

Nel 1912 andò a Parigi e per la prima volta passò dall’Italia, anche se aveva già studiato

bene la storia della letteratura italiana ed europea e aveva letto Leopardi, Dante, Petrarca.

Parigi era in piena Bell’Époque e quindi in fermento culturale. Nel 1914 ritornò in Italia e

scoppiò la ° e lui decise di come soldato semplice.

Viene mandato ai confini orientali sul (sul Carso), e qui vive

un’esperienza in cui e in cui capisce la fragilità di

un essere umano che da un momento all’altro può morire.

La guerra lo invita a riflettere sulla condizione dell’uomo e iniziò a sentire la

, dappertutto, su qualsiasi pezzetto di carta che avesse a disposizione, per poi

mettere tutto del taschino della divisa.

Un suo collega di nome capì il bisogno di Ungaretti e quando poteva gli

strappava anche lui dei pezzi di carta per permettergli di scrivere.

Nel 1916, in un momento di tregua, Ettore Serra gli sovvenzionò la pubblicazione della sua

1° raccolta che uscì con il titolo “Porto sepolto”, ed era un .

Questa raccolta, 2 anni dopo, cambiò il titolo con “Allegria di naufragi”, e, infine, l’edizione

definitiva è “Allegria”. Sono tutte poesie legate alla guerra ed è un diario di guerra in cui

racconta la sua esperienza.

Questa raccolta si chiama “ ” perché dice che di fronte alla morte ha trovato lo

slancio vitale di essere vivo ed era allegro perché si era salvato.

Quando finì la guerra ritornò a Parigi e qui conobbe Jeanne Dupoix, la donna che sposerà

con cui si stabilirà in Italia e .

Forse, però, la sua non fu un’adesione dettata da una decisione politica,

ma più da un bisogno di ordine e sicurezza, di cui lui aveva bisogno dopo la guerra.

La 2° raccolta poetica si chiama “ ” in cui c’è un ritorno all’ordine

anche dal punto di vista stilistico, ritorna alle forme tradizionali perché è come se volesse

avere ordine anche nella scrittura.

Successivamente gli venne offerta una cattedra universitaria a San Paolo in Brasile per

insegnare letteratura italiana e si trasferì con la famiglia: lui aveva una figlia, Ninon, e un

figlio, Antonietto.

Accadono, però, nella vita di Ungaretti:

Una tragedia personale: la

(quest’ultimo morirà a causa di un’appendicite fulminante a soli 9 anni);

Una tragedia universale: scoppierà la ° .

In seguito a queste vicende tragiche scriverà la 3° raccolta poetica che si intitola

“ ”, la cui parola chiave è meditazione perché non sono poesie brevi, ma sono

prose poetiche

perché è come se avesse bisogno di parlare e di raccontare questa sua esperienza.

Ritornò in Italia e divenne docente di letteratura italiana all’università della Sapienza di

Roma. Qui trascorrerà il resto della sua vita divenendo uno degli intellettuali più conosciuti

in Italia, fino a che nel 1970 morirà.

Sono poesie scritte tra il 1914 e il 1919, durante la 1° guerra mondiale, per questo è un

. Le edizioni sono 3:

(1916); (1919);

(1931; questa raccolta è tutta compresa in “Vita di un uomo”,

libro uscito nel 1969 e curato da lui).

Utilizza il titolo “ ” perché dice che , e per questo era grato alla

vita.

Lui dice che quando ci si trova a contatto con la morte, quando si vede il proprio compagno

morto in trincea, la poesia che si può comporre non è una ragionata per cui si devono

trovare le rime e le sillabe giuste, ma quello che conta è la “parola”, che si deve fare

portavoce di uno stato d’animo e deve colpire, deve essere presa dal profondo di sé stessi

la si deve portare per consegnarla ai lettori.

In questa raccolta ci sono delle :

• Liriche brevi ed essenziali;

• L’elemento fondamentale è la parola;

• Il verso tradizionale è distrutto e usa il verso libero, dove il verso può essere

rappresentato anche da una sola parola;

• Abolita la punteggiatura;

• Sintassi ridotta all’osso, non è una poesia elaborata;

• Verticalizzazione della poesia (stretta e lunga);

• Spazio bianco;

• Quasi sempre assenza dell’aggettivo e a volte assenza anche del verbo.

(Il prodotto della sua poesia è l’insieme di tante esperienze, anche perché lui a Parigi aveva

conosciuto i futuristi e tante avanguardie).

È un , ma ci sono anche alcune poesie che parlano:

• del concetto di identità;

• dell’assenza di una collocazione precisa in un determinato posto;

• alcune poesie hanno a che fare proprio su che cos’è la poesia.

Molte poesie hanno come 1° verso il luogo in cui si trova (sul Carso) e una data.

È considerata una dichiarazione di poetica in cui lui fa riferimento a

, quell’ perché

in ognuno c’è un .

Quindi lui fa riferimento al:

• porto sepolto di Alessandria d’Egitto;

• il concetto di porto sepolto che ognuno ha dentro di sé;

• il porto sepolto è anche l’esperienza della guerra, della trincea, nella quale si va nel

fondo di sé, a contatto con la morte.

Le parole “disperde”, “resta”, “nulla” le mette isolate.

Secondo lui la poesia non è qualcosa che si può spiegare, ma è qualcosa al fondo di noi a

cui il poeta arriva, prende queste parole e le disperde, non sapendo più a chi

appartengono.

In questa poesia si rivolge ad , il suo collega militare quando si trovava sul

Carso che gli permise di pubblicare la 1° edizione di “Allegria”.

Isola i termini “gentile”, “poesia”, “parola” per dare forza

Ungaretti distingue il termine parola da quello di vocabolo dicendo:

“Ho sempre distinto tra vocabolo e parola e credo che la distinzione sia del Leopardi.

Trovare una parola significa penetrare nel buio abissale di sé senza turbare né riuscire a

conoscerne il segreto. II poeta, come un infaticabile minatore deve scavare nella roccia e,

come un eroe del mito, scendere nell'abisso, nelle profondità insondabili della sua anima,

per raggiungere il porto sepolto dove si cela la parola capace di dare vita al mondo. È un

viaggio faticoso, avvolto nel silenzio, che conduce il poeta vicino alla verità, vicino al segreto

del cuore umano, destinato comunque a rimanere misterioso inafferrabile”.

Per Ungaretti la e si deve essere capaci

di , ma . È come se lo si

afferrasse per un momento ma poi si perdesse. Non è qualcosa di ragionato.

In questa poesia c’è il .

Quando lui da ragazzo era ad Alessandria d’Egitto,

frequentava “La baracca rossa” con un ragazzo di

nome Moammed Sceab.

Quando Ungaretti andò a Parigi, incontrò per

caso questo ragazzo, il quale però non sapeva più

chi fosse, aveva cambiato nome in Marcel e ad un

certo punto addirittura si uccise perché non

aveva più la sua identità e non sapeva chi fosse.

Quando Ungaretti si trova in trincea in un

momento di riposo, ripensa a questo ragazzo e

scrive questa poesia, che è una sorta di

in cui questo ragazzo sopravviverà sempre e

troverà una collocazione che però aveva perso.

Per questo motivo la chiama “In memoria”.

Loro due condividevano una stanza di albergo e

Ungaretti lo trovò morto, e al cimitero lo

accompagnarono lui e la proprietaria dell’albergo.

Stringe la poesia

e la rende

verticale perché

ha a che fare con

il concetto di

trincea:

cosa, posata,

stanchezza, qui,

sto.

Durante un periodo di licenza per il Natale, tornò a Napoli, ospite da alcuni amici.

Nonostante in questa città ci sia tanto movimento legato al giorno prima di natale, lui è

ancora impressionato dalla guerra e non si vuole “tuffare” di nuovo nella vita dopo essere

stato a contatto con la morte, prova un .

Ungaretti era ancora sul Carso in piena 1°

guerra mondiale e accanto a lui c’era un

.

È come se Ungaretti stesse osservando la

morte ed è un caso che sia stato ucciso

questo ragazzo e non lui.

Lui mette isolate parole aspre che sono dei

participi passati: “massacrato”, “digrignata”,

“penetrata” e fanno riferimento al senso

della morte: “congestione”, “silenzio”.

Nell’ulti

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A.A. 2024-2025
24 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

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