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Storia della lingua venisse fondata e che dal Quattrocento, secolo avversato in Italia dagli
studiosi, riemergessero documenti, testimonianze e fonti che mostravano come volgari
d’uso letterario alternativi al toscano e in via di conguaglio in realtà ci fossero stati. La
cattedra sarà istituita nel 1938. La prima antologia di testi di varia natura in volgare è
scritta nel 1958 ed è scritta da Migliorini e Folena. 23/09/2016
Il volgare, nel Quattrocento, si sviluppa molto più intenzionalmente che nelle precedenti
stagioni culturali: ciò dipende dal confronto che il volgare scritto ha con l’emergenza della
cultura umanistica. Tale cultura si votava allo studio delle lingue classiche. Il concetto di
latino trecentesco era diverso da quello quattrocentesco: il latino, durante il Medioevo, è
strumento agli occhi dei trecentisti in età pre-umanistica, è un mezzo che garantisce la
comprensione sulla scala più larga, ma il volgare, se dotato di alcune qualità, è in grado di
competere con il latino in quanto usato strumentalmente. L’elemento culturale intrinseco
alle lingue, ancora per Dante, non costituisce un problema. Nel Quattrocento, il latino è
conosciuto approfonditamente e viene storicizzato dagli umanisti: è una lingua di cui si
scoprono i numerosi risvolti culturali, di cui si riscopre la grammatica, che viene depurata
dalle scorie deposte durante il Medioevo. Lorenzo Valla scrive una grammatica storica e
normativa del latino: idea di sintassi classica e di grammatica nel trapasso dall’età classica
a quella imperiale. Lingua che ha trasmesso l’humanitas complesso di valori che si
impone come alternativa ad un’altra serie di valori culturali. Sul terreno di confronto di
questa lingua, il volgare si rapporta in modo subordinato: esso non ha una grammatica,
questa mancanza è percepita come un’avvisaglia di impossibilità del volgare di tradursi in
lingua culturale. Il volgare è lingua naturale degli ignoranti: non si può scrivere, soltanto
parlare. Ma in volgare la letteratura è stata scritta, dunque va tenuta in considerazione,
basti pensare alla Commedia e ai Trionfi.
Tante distinzioni linguistiche e localismi sono assunti dal volgare: dagli umanisti sono visti
come un segno di debolezza, una mancanza di coesione che viene vista come sintomo di
inettitudine. Il volgare deve dimostrare di poter sussistere come lingua elevata di
un’espressione artistica.
Circa Sessanta anni fa Gianfranco Folena ha dato alle stampe La crisi linguistica del
Quattrocento e l’Arcadia di Jacopo Sannazaro. Ad affrontare la questione è il linguista
Folena: tenta di delimitare un territorio studiato senza contestualizzarlo, nonostante il
crocianesimo abbia bollato il Quattrocento. 9
Folena sceglie un’opera che gli fornisce di esaminare la progressiva gestazione: l’Arcadia
è strutturata in dodici ecloghe in vario metro intervallate in altrettante prose in volgare. Era
nata come una serie di ecloghe (X) nei primi anni ’80, quando Sannazaro aveva iniziato ad
elaborarli, successivamente elaborati da dieci brani in prosa e infine, nel 1504, edizione
autorizzata dall’autore e curata da Pietro Summonte, corrispondente napoletano, che esce
con dodici brani poetici e prosastici. L’evoluzione è anche di carattere diamesico (riguarda
i supporti scrittori): precedentemente c’era stata un’edizione piratesca del 1502 e in
seguito solo edizioni manoscritte. Folena, in questi manoscritti, mostra la progressiva
toscanizzazione di Sannazaro: un’evoluzione percorribile durante l’arco temporale. Folena
insiste sullo sviluppo perché mostra come Sannazaro sia capitolato in una situazione
totalmente pervasiva (la letteratura in volgare), verso cui aveva opposto una resistenza
inizialmente.
Il titolo di Folena mette in luce altri aspetti: l’Arcadia sembra essere sintomatica del
tentativo di risolvere la crisi linguistica quattrocentesca. Folena voleva indicare i problemi
connessi al volgare per mostrare un’espansione evidente chi si occupava delle scritture
in volgare era costretto a sottoporre il fatto al giudizio. Il volgare sarebbe potuto uscire
ridimensionato, oppure con patenti di autorevolezza sufficienti a garantirne gli sviluppi
ulteriori.
Lo scritto di Sannazaro è di genere bucolico: notiamo un’interferenza tra tradizione
umanistica e trecentesca. Le ecloghe di Dante, Petrarca e Boccaccio erano in latino, ma
Boccaccio ha scritto anche il Ninfale fiesolano, un prosimetro in volgare. Sannazaro ha
conosciuto sicuramente l’opera di Boccaccio, ma ricalca le Bucoliche virgiliane. L’Arcadia
è un apparente avviamento alla crisi del volgare letterario, perché continua a conservare in
sé delle criticità. Sannazaro non era l’unico che nel corso del Quattrocento avesse
praticato il genere della bucolica in volgare: uno dei modelli volgari è stata l’antologia di
ecloghe volgari intitolata Bucoliche elegantissime e pubblicata a Firenze da Bartolomeo
Miscomini nel 1482. Questa antologia riunisce il volgarizzamento delle dieci ecloghe
virgiliane ad opera di Bernardo Pulci, parente di Luigi Pulci. Seguono alcune ecloghe
precedentemente scritte da due senesi: Francesco Arzocchi (o Arsocchi), che aveva
composto ecloghe nel primo Quattrocento, e Jacopo Fiorino de’ Boninsegni e Girolamo
Benivieni, un neoplatonico che, nella Firenze laurenziana, era affiliato all’Accademia
neoplatonica di Marsilio. Questa antologia decide di riunire ecloghe e non altri metri o
generi poetici, poiché associa ad una tradizione originale già consolidata ad una
traduzione delle ecloghe virgiliane. Genere letterario corrispondente allo stile umile,
antologia che propone una tradizione formale di scrittura poetica in volgare. La traduzione
di Bernardo Pulci serve a suggellare l’insieme: fa vedere il capostipite della tradizione
letteraria, Virgilio, e il punto d’arrivo in volgare. In mezzo la possibilità di creare opere
originali. Esplicitamente l’antologia, nell’ampia prosa introduttiva, non viene presentata
come un elogio del volgare: non sembra opportuno avviare l’antologia senza preparare il
lettore, poiché egli è ignaro di cultura classica ed è impaziente, poco proclive allo studio.
Seguirà l’accessus all’autore: presentazione di Virgilio, circostanze di composizione e
chiave allegorica in cui Virgilio aveva declinato la scrittura bucolica. La letteratura ambisce
ad un sovradimensionamento: non è una poesia puramente ricreativa nelle ecloghe di
10
Virgilio abbiamo la descrizione delle solite attività dei pastori, ma dietro alla scorza
letterale occorre considerare un contenuto più profondo. Ricalcando i commenti latini,
Bernardo Pulci recupera il discorso dell’allontanamento di Virgilio dal suo podere, discorsi
sulla letteratura, il puer etc. Egli dice che nel Boninsegni si troverà cantata la venuta del
Cristo, nel Benivieni si troverà della filosofia occultata e nell’Arzocchi elementi relativi alla
crisi del Quattrocento.
Conclusa la prefazione, Bernando Pulci dedica la traduzione a Lorenzo de’ Medici: egli è
definito un “giovane prestantissimo”. Un’antologia sperimentale come questa coinvolge un
uomo di stato: i Medici non si dichiararono signori di Firenze, uscirsene con il nome di
Lorenzo significava benedire questa iniziativa come pubblica. L’opera interessa molto
meno ai lettori dichiarati che ai latinisti, che si sentono insidiati nel loro terreno. Bernardo,
se avesse potuto, avrebbe donato a Lorenzo dell’oro, ma ne ha già, degli altari, etc., ma
ha potuto soltanto donargli questa antologia e il suo volgarizzamento. Pulci sminuisce il
proprio intervento e lo definisce il frutto di alcune ore di ozio. Vediamo materializzarsi
quella crisi del volgare letterario che ha la forza di una sperimentazione innovativa, ma
che, quando esce allo scoperto, deve rivestire panni modesti e non aulici, poiché
l’egemonia culturale è detenuta da altre lingue.
La traduzione è in terzine: l’esametro è reso con il metro della Commedia. Chi l’avesse
letto al tempo avrebbe percepito la spericolatezza dell’operazione, che sta nel fatto di
prendere una lingua, il volgare, dei generi metrici già espressi in quella lingua aventi una
loro tradizione, e contaminarli con altro. Il problema di Pulci è la consapevolezza dello
sperimentalismo della sua operazione, in quanto essa non ha una ufficiale consacrazione
culturale.
Questa edizione è correlata a Sannazaro: la stampa ha avuto grande circolazione e ha
fatto entrare in risonanza circoli culturali che già praticavano la letteratura in volgare ed
erano ricettivi al problema. Se non fosse stato così, nessuno si sarebbe approcciato a tale
antologia. Il volgare, come lingua di scritture, ha una naturale espansione autonoma in
singoli centri della penisola, ma già dotata di circolazione tra varie località. Il percorso è
lento e ci sono molte realtà ancora da studiare e toccare con mano, basti pensare il
volgare impiegato dalla cancelleria veneziana. Dal 1420 si vede che, nei documenti redatti
dai cancellieri veneziani, l’impiego del volgare si va incrementando. Ci si domanda in
quale misura il volgare veneziano vada o non vada nella direzione di una normalizzazione
toscanizzante.
Il volgare come lingua di impiego scritto formale: lingua della diplomazia che nel corso
del Quattrocento non è più la lingua latina.
1) L’incremento dell’impiego si rileva nel Nord Italia grazie alle cancellerie: il volgare
si impone. La cancelleria visconteo-sforzesca, sin dagli anni Trenta del Quattrocento,
sotto Filippo Maria Visconti, fa aumentare il numero degli atti vistosamente. Maurizio
Vitale, linguista, ha studiato il volgare nella cancelleria viscontea: egli suggeriva che
dipendesse dagli interessi per la poesia volgare, ma la documentazione era poco
significativa e scarsa. In epoca successiva, F.M.V muore nel 1447, e presso i signori si
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riuniscono cenacoli letterari coerenti con gli interessi del signore. I modelli elettivi della
poesia in volgare è Petrarca per la lirica, Dante e il Petrarca trionfale per una poesia non
d’amore, ma dottrinalmente impegnata a veicolare significati profondi e di carattere
morale. C’è un’influenza diretta del duca di Milano, cultore di poesia in volgare, ma ciò non
è sufficiente ad influenzare l’uso cancelleresco (anche nel Trecento c’erano famiglie cultrici
del volgare, come i Da Polenta), e delle signorie di Varano e Camerino, di Riario a Cesare,
dei Montefeltro. Nel Nord Italia due epicentri del Rinascimento artistico come Ferrara e
Mantova conoscono le stesse sorti. Alle spalle, come è stato