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ES SUPER-IO (EGO) E IO (EGO)
ES è il pronome di terza persona singolare neutro.
Es è la parte oscura della nostra personalità. Ignora le leggi del pensiero logico e in esso non
esiste spazio e tempo, non per nulla gli eventi dell’infanzia influiscono negli anni successivi.
E’ sede degli istinti primari e delle pulsioni e non conosce distinzione fra bene e male, fra
ciò che è morale e ciò che è immorale. Comprende:
Le
EROS pulsioni non sono solo quelle sessuali, ma anche quelle che provvedono
all’autoconservazione.
Vi
THANATOS sono poi le pulsioni di morte, rivolte verso l’esterno e il soggetto
stesso.
SUPER-IO Comprende i cosiddetti kantiani imperativi categorici. Svolge una funzione di
controllo e limitazione delle pulsioni. Se questo non avviene correttamente si genera una
nevrosi, stato di disagio più o meno profondo nei confronti di se stessi o dell’ambiente
circostante. Esso è l’erede del complesso di Edipo. Freud ci dice che il Super-ego nasce
come introiezioni dei divieti che in infanzia sono stati posti dai genitori. Nella fase edipica il
bambino prova odio per il genitore dello stesso sesso e amore per quello di sesso opposto.
Questi sentimenti sono accompagnati da una forte ambivalenza, perché c’è anche desiderio
di identificazione con il genitore del proprio sesso. A livello emozionale si ha una
regolamentazione degli impulsi mediante la figura dei genitori, che rappresentano autorità
e coscienza morale.
L’EGO deve mediare le funzioni che vogliono essere soddisfatte a tutti i costi, le esigenze
della realtà e convivenza civile con gli altri, il principio di realtà e i comandi del super-ego.
Fa da mediatore fa pulsioni, esigenze sociali e i comandi del super-ego. Esso non va
identificato con la coscienza, perché i suoi processi mentali sono INCONSCI.
Il problema è l’Es. Che cosa si riesce a conoscere dell’Es? E come si fa? Come tutti i processi
inconsci non può essere conosciuto mediante un atto volontario, ma solo mediante l’analisi del
sonno e della nevrosi.
Nel sogno Freud distingue due tipi di contenuti: il contenuto manifesto (ciò che il sognatore ricorda
ed è in grado di riferire al risveglio) e il contenuto latente, cioè il contenuto che è costituito dai
desideri rimossi che hanno trovato la via per una loro seppur mascherata manifestazione e la via
per un loro appagamento, ma anche le angosce, le intolleranze, le insofferenze che nella veglia
rimuoviamo, tornano in forme mascherate nel sonno.
Lo psicanalista si fa raccontare il sogno e riesce a decifrare le maschere. Lo scopo è quello di
rendere consapevole il paziente dei suoi conflitti profondi, aiutarlo e guidarlo a convivere con le
sue pulsioni.
Noi tuttavia ci troviamo a Trieste, capitale mitteleuropea crocevia di migliaia di culture e
innovazioni. La psicoanalisi in Italia si afferma definitivamente solo dopo la caduta del Fascismo,
poiché 1) L’uomo freudiano è agli antipodi dell’uomo promosso dagli ideali fascisti 2) La
psicoanalisi è di fatto una scienza semitica.
Fu Edoardo Weiss a portare a Trieste la psicoanalisi. Egli aveva frequentato Freud a Vienna. Tornato
a Trieste ne parla con gli amici e i letterati della città, tra cui Saba.
L’espressione degli occhi di Svevo non era quella aggressiva di Saba o pungente di Weiss, ma
avvolgente, sebbene denunciassero una profonda amarezza.
Vi erano delle differenza psicologiche fra ebrei orientali e occidentali.
L’ebreo occidentale era meno vicino alla tradizione, al costume e alle usanze ebraiche. Tuttavia
anche l’ebreo occidentale aveva delle peculiari caratteristiche psicologiche che lo distinguevano dai
non ebrei: nella loro storia secolare di emarginazione e persecuzione sono sopravvissuti solo
mediante l’autocontrollo.
Non è un caso che la psicanalisi sia nata in ambito ebraico. In virtù delle loro esperienze gli ebrei
hanno dovuto abituarsi a giudicare gli altri senza farsi illusioni e a valutare e giudicare se stessi con
lo stesso sguardo disincantato con il quale giudicavano gli altri. Si sono dovuti abituare alla
insofferenza verso gli atteggiamenti umani e si sono fatti anche interpreti della sofferenza degli
altri, un’attenzione simpatetica. Gli ebrei hanno dunque saputo dimostrare una indulgenza ed
empatia verso le persone e l’ambiente circostante. Gli ebrei avevano dunque una straordinaria
sensibilità verso il prossimo. Zeno incarna questi ideali. Un altro elemento tipico degli ebrei è
l’ironia.
Bisogna ricordare che quando Svevo nasce i ghetti sono stati aperti da poco.
Il fratello della moglie di Svevo (cognato) soffriva di nevrosi e andò in cura da Freud, ma non ne
guarisce, anzi ne esce distrutto.
Svevo traduce Il sogno, una sorta di compendio della opera principale di Freud. Aveva già letto
opere di psicoanalisi: La psicopatologia della vita quotidiana e Il motto di spirito.
L'interesse di Svevo per Freud è testimoniato anche dall'opera della moglie, Livia Veneziani
Svevo che, nell'opera Vita di mio marito, cita la traduzione del marito.
Svevo conosceva personalmente anche uno dei seguaci più importanti di Freud, un certo dottor
Steckel.
Steckel era uno dei fondatori della prima società psicoanalitica e si era conosciuto con
Svevo nel 1911 presso Bad Ischl. Alcuni critici pensano che la figura del dottor S. si possa
ritrovare nel personaggio storico in questione.
Svevo considerava la psicoanalisi uno straordinario strumento di conoscenza per aiutare a studiare
e capire noi stessi. Tuttavia dissentiva da Freud circa le effettive capacità terapeutiche della
psicanalisi, secondo Svevo era meglio non sottoporre un paziente alla cura psicoanalitica. Nel 1917
definì Freud un grande uomo per i romanzieri, ma non per i malati, facendo riferimento al caso del
cognato. La psicoanalisi era dannosa e distruttiva per scopo terapeutico.
Il rilievo assunto dalla componente freudiana non deve mettere in ombra altre influenze, come
quella del filosofo Otto Weininger. 8 aprile 2016
www.iodeposito.org
La grande guerra di Mario Puccini, letterato e combattente nel primo conflitto mondiale
Mario Puccini – edizione critica curata da Tancredi Artico – era un intellettuale vicino al circolo
della "Voce".
Egli è nato nel 1887 a Senigallia da una famiglia piccolo borghese, studia Giurisprudenza e lavora
per la tipografia del padre Puccini & figli.
Nel 1908 Puccini pubblica una raccolta di novelle Foville, essa verrà stroncata sulla rivista Lingua e
letteratura. Fu recensito in modo molto acido da Boine, le modelle sono considerate mediocri e a
metà tra la psicologia e il verismo. Lo stile di Puccini viene considerato molto rigido, solo le
intenzioni possono essere considerate "appena lodevoli".
A partire da questa recensione, Puccini verrà tenuto ai margini: egli stesso assorbì tale stroncatura
in modo molto complesso. Puccini produrrà inoltre traduzioni spagnole.
Nel 1913 si trasferisce a Milano, dove lavora come giornalista e dà vita a numerose collane per la
casa editrice del padre. Tale lavoro gli serve come mezzo per entrare in contatto con i letterati
come Verga, De Roberto, Capuana, e con il circolo della Voce, in particolare come Papini e Soffici.
Puccini entra in contatto sia col verismo che col futurismo: egli inizia a pubblicare precocemente e
nel 1916 si arruola come soldato semplice. Tra '16 e '17 sarà attivo in guerra, mentre in seguito
starà tra le retrovie.
Opere sulla guerra
Dopo l'arruolamento Puccini trova il tempo di pubblicare Dal Carso al Piave (1918): racconto della
disfatta di Caporetto. La conclusione del libro porta con sé un auspicio di vittoria.
Emerge una impronta verista in questo romanzo: ha un approccio ottocentesco, ma anche
innovativo. All'inizio del testo viene descritto l'arrivo del duca d'Aosta sulle posizioni occupate dalla
terza armata di Puccini.
Abbiamo la descrizione di un castello che ricorda la formazione medioevale: manca in tale testo il
dato cronachistico, l'autore preferisce concentrarsi sulle descrizioni, esse sono "messe lì a far
parata" secondo Boine.
Questa opera verrà rimaneggiata dall'autore anche dopo la stampa: abbiamo alcuni incisi che
spostano il focus sull'azione del soldato e non sul castello medioevale. Viene aggiunto un dato
cronachistico specifico: ciò che era fondamentale nella prima redazione, viene tralasciato a
discapito di altro.
Come ho visto il Friuli e Davanti a Trieste (1919) sono i testi che vanno a comporre un trittico sulla
Grande guerra.
Nel primo l'autore traccia all'interno di quadri di descrizione antropologica e paesistica il suo
sentimento personale. La guerra risulta quasi ovattata all'interno di questa descrizione continua:
ogni capitolo si riferisce ad una città e ad un luogo, come ad esempio Gorizia.
"Specchi su cui cercare con occhi attenti le rughe della guerra": ideale psicologico mutuato da
autori ottocenteschi, insieme al tratto diaristico.
Nel secondo l'autore elabora una raccolta di episodi legati da una cronologia consequenziale:
emergono vari episodi riguardanti i sottoposti di Puccini. Tale testo si può studiare per stratigrafie:
12 capitoli su 18 escono su rivista e vengono rielaborati in seguito con una serie di aggiunte e
correzioni. Ciò dà l'idea del passaggio da una scrittura giornalistica a quella che è una meditazione
successiva all'evento.
Puccini alterna una sintassi lunga e distesa, portata all'artificio, ad una sintassi movimentata e
veloce che riflette la concitazione del momento.
Il suo capolavoro è Cola (1927) un lunghissimo romanzo di guerra che parla delle avventure di un
soldato semplice toscano. 14 aprile 2016
Svevo è molto scettico in merito alla psicoanalisi, ma ritiene che, letterariamente, essa sia molto
interessante. Essa permette di analizzare e descrivere le sfumature più oscure e contraddittorie
dell’animo umano.
Nella Coscienza di Zeno la malattia è una condizione privilegiata, una condizione che permette di
penetrare nella realtà più intima del mondo. L’essere affetto da quella che dai sani è considerata
una malattia, consente una predisposizione all’introspezione e allo scandaglio psicologico nei
meandri più cupi dell’animo umano.
Profonda critica da parte dello Svevo del concetto di superuomo l’uomo non è padrone dei
propri istinti, è in balia dell’es. Ciò si ricollega alla crisi dell’uomo contemporaneo.
Svevo si chiede se valga la pena guarire dalla “malattia”, guarire significa in fondo rinunciare alla
propria vitalità: &e