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Non è più vissuta come esperienza divina la metamorfosi, ma è una condanna, l’azione
dell’uomo diventa vegetale, diventa “giunco”, tant’è che “giunco” diviene soggetto, si perde
tutta l’umanità
Richiamo al Canto V dell’Inferno; diventa caotica anche la sintassi
Quella che all’inizio era l’ondata della vita, è diventata “antica” perché si è alla fine del libro,
“ti ringhiotte”
“una sola ghiacciata moltitudine di morti” → canto XXXII dell’Inferno, quando Dante
immagina siano conficcati a diversa profondità le ombre dei traditori in un lago ghiacciato
“giunco tu” → canto XIII dell’Inferno, la selva dei suicidi (peccatori trasformati in alberi)
“se un gesto ti sfiora” → tema dell’incontro; “ti sfiora” perché lui è subiectum, passivo
“la porta con la cenere degli astri" → riferimento (attraverso un ribaltamento) ad Orazio,
prima lirica delle Odi, dedicata all’amico Mecenate
Si infittisce la trama delle relazioni intertestuali con Dante (specialmente dall’Inferno),
presente soprattutto nella seconda edizione
Liriche relative alla figura di Arletta, sempre aggiunte nella seconda edizione. Sono inserite
alla fine della prima sezione; Vento e bandiere ad esempio è infatti pessimistica, anche se
pervasa dal ritorno dell’antica memoria del poeta. Duplicità tra attesa positiva verso la
speranza e commento negativo, è posta alla fine della prima sezione Movimenti.
Vento e bandiere
Ci si trova a Monterosso, forse nella casa della dogana, a picco sul mare, battuta dal vento,
dove avvenivano gli incontri tra Montale e Arletta (Anna degli Uberti). Questa situazione
riporta a Montale l’immagine, il ricordo di lei, ma è un passato che ritorna a frammenti, non
sono immagini che si integrano armoniosamente in una storia: tra il passato e il presente è
infatti intervenuta la morte, che ha fatto morire giovane Arletta.
Nella fase commentativa di questa poesia Montale dice come il tempo in realtà non torni mai
identico; non torna la pienezza vitale con cui si ha vissuto per la prima volta quell’esperienza.
La natura funziona così, perché se il tempo tornasse perfettamente uguale, ci sarebbe
l’annullamento della natura.
A un certo punto l’attenzione è curata da un paese che è in festa, e che quindi si sta ornando
di stendardi e bandiere. Lì la vita continua, come se la sua storia non esistesse: il tempo
continua ad andare avanti → riflessione sulla vita che resta nonostante ci sia stata la
percezione della morte. Però, anche in questo momento di festa ( →Il sabato del villaggio,
Leopardi), gli uomini credono che ci sarà un futuro migliore, ma non sarà così.
Sei quartine di endecasillabi variamente rimati, presenza di rime ipermetre. Ci si aggrappa
sempre ad una forma, le cui immagini però rappresentano il rovesciamento della forma
stessa.
All’inizio la solita anafora, elenco dannunziano (“la folata che… la raffica che…”). Nella
prima quartina si usa l’omeottoto, figura retorica che mette insieme due parole che hanno la
stessa funzione grammaticale (“alzò - investì - scompigliò”) , per questo sembra che la frase
non finisce → la principale inizia con “la folata” ma non si conclude. Effetto illusionistico in
cui la sintassi è aperta, non conclusa, è un’immagine che ritorna ma completamente
decontestualizzata, è un “osso di seppia”.
Questo stilema di Montale è stato chiamato elencazione ellittica, frasi che non si concludono.
In realtà non si tratta proprio di ellissi, che invece si può fare quando l’ascoltatore sa quale
parola viene ellissa. Qui non si può finire la frase perché non l’ha scritta, non l’ha inventata.
“imagine” → termine dannunziano aulico, segna che sta tornando il ricordo, forse il tempo
perduto ritorna, usa quindi accorgimenti simbolistici, ma finisce le frasi con parole che non
c’entrano nulla, attraverso iperbati, spezzando così la sintassi.
“i grani del tempo” → Bergson
“sgorgo” → verbo trasformato in sostantivo; non torna mai qual era
“il mondo esiste” → il tempo continua ad andare avanti indifferente alla nostra vita
“uno stupore arresta/il cuore” → viene anticipato il male di vivere, la “triste meraviglia” di
Meriggiare pallido assorto
“gli uomini affamati” → anche questo termine è filosofico (come “configura”), questo
momento di felicità non tornerà nemmeno per loro
Incontro
Parla del tema del contatto con l’altro come possibilità di conoscere se stesso.
Sei strofe diseguali, ed anche qui si parla di versi liberi, poiché si hanno una serie di strofe ma
ciascuna di queste è eterometriche (versi di diversa misura), non omorometriche.
L’incontro s’immagina avvenuto alla foce del Bisagno, in prossimità della casa. Si è al
momento del tramonto, c’è vento ma non tempesta, e questa foce del fiume del torrente
diventa allegoria subito spiegata da Montale, come in Casa sul mare. Qui però c’è una
perfetta compenetrazione della descrizione del paesaggio e l’interpretazione allegorica; la
foce del fiume diventa l’esito di un’esistenza della vita in cui si tirano le somme. Montale è
riuscito ad arrivare quasi alle stesse conclusioni di Essere e tempo (Heidegger) → l’esserci
può progettare autenticamente se stesso anticipando, con la coscienza, il momento della sua
morte. Solo grazie all’angoscia si può arrivare a questo risultato, altrimenti sarebbe il solito
argomento parlato con gli altri → la morte ti mette di fronte a una scelta soltanto quando ti
capita, “ti tocca”, capendo pertanto cosa fare della propria vita. Lo stesso ragionamento si
trova all’inizio di Incontro. Tuttavia, non si può dire che Montale fosse esistenzialista, anche
perché l’esistenzialismo non c’era ancora → Montale pre-esistenzialista.
Egli ad un certo punto sente l’assenza, la mancanza dei rapporti con l’altro → massificazione,
alienazione… termini che vengono introdotti quando esplodono le avanguardie, ma in realtà
sono termini già introdotti nei pamphlet, volantini e giornali antifascisti dell’epoca. Saranno
poi motivi della poesia di Rosselli.
Nella piantina frondosa dà l’impressione del groviglio dei capelli di lei → in questa
percezione torna il ricordo di lei, di Arletta.
180324
Montale si ispira molto a Leopardi → gli Ossi di seppia riflettono molto questa poetica (il
nulla di tipo leopardiano, il frammento di tipo pre-heideggeriano)
Linguaggio dantesco infernale che diventa più aspro soprattutto negli ultimi componimenti
Nel 1933 Montale conosce Irma Brandeis, e questa diventerà la figura principale del nuovo
libro di poesia di Montale, sotto le sembianze di Clizia
“Le occasioni” fanno più diretto e riscontrabile riferimento ad eventi storici dell’epoca
(l’ascesa del nazismo, l’annessione dell’Austria alla Germania, il Patto d’Acciaio…). La
raccolta esce un mese dopo l’esplosione della seconda guerra mondiale → periodo
complesso, anche per Montale perché perde il lavoro
Clizia diviene una Beatrice vera e propria nelle Occasioni; spazza via completamente
Crisalide, il fantasma che salva, e Clizia prende il sopravvento come protagonista
rivestendosi del ruolo di difendere gli ultimi ideali rimasti dell’umanità incarnati nella
letteratura → l’ultima traccia dell’essere umano è dentro la letteratura, che deve essere
salvata e preservata dalla donna-angelo Clizia, dotata di poteri che riescono in qualche modo
a salvare singolarmente il poeta. Quest’ultimo, grazie a Clizia, riesce a non confondersi nella
massa
Al centro delle Occasioni ci sono dei componimenti molto brevi (Mottetti). Poesia proemiale,
sezione introduttiva, sezione dei Mottetti in cui avviene la trasformazioni di Clizia in
donna-angelo: attimilità, istanti, epifanie, precarietà di quest’ultima sezione. Nell’ultima
sezione le tematiche sono analizzate e argomentate quasi a livello narrativo
Perché “Le occasioni” → le occasioni sono momenti, situazioni eccezionali dell’esperienza
che in qualche modo riescono a conservarsi rispetto a tutto quello che della vita di un uomo
va distrutto, va nell’oblio. Non c’è un tessuto connettivo tra un’occasione e l’altra, e questa
presenza dell’implicito quindi è la caratteristica di questo nuovo “romanzo” montaliano →
salto qualitativo rispetto al fantasma che salva, che era preparato, teso, argomentato, voluto.
Le occasioni, invece, sono dei momenti rarissimi ed eccezionali in cui ha avuto ancora luogo
la poesia, sono apparizioni, ritorni improvvisi di ricordi; insieme di caratteri che definisce
queste occasioni come “bagliori”, “barlumi” → sono immagini fondamentali, topiche.
Nelle occasioni meglio si realizza il motivo del correlativo oggettivo (comparso dell’edizione
del 28 degli Ossi di seppia), sono poesie che contengono le loro motivazioni senza
spiattellarle, infatti si caratterizzano per una descrizione allegorica e dettagliata di
microeventi senza che vi siano legami con un contesto più ampio, ma sono descrizioni da cui
già si può intuire il collegamento con le altre poesie.
Lo sfondo degli Ossi di seppia è Monterosso (paesaggistico), ora invece lo sfondo è cittadino,
aperto a un contesto nazionale e sovranazionale: il paesaggio ritorna nei momenti improvvisi
del ricordo del poeta.
“A liuba che parte” già nel titolo si segnala un movimento. Non si sa perché parte, ma lo si fa
intuire
Estrema concentrazione che non ha nulla della concentrazione essenziale ungarettiana, in cui
l’implicito è riempito dalla fantasia del lettore; qui invece il testo è tutto ben saldo, ben
costruito.
“or” → sottolinea l’istante grazie al monosillabo, non “ora” ma “or”
“lare” → divinità della mitologia classica che proteggevano la casa, il focolare domestico, la
famiglia. Quindi, si intuisce che questa lei ha una famiglia, “dispersa” nel senso che molto
probabilmente è straniera, forse di origine ebraica
Indecisione tra la gabbia, dove lei sta salvando il gatto, o la cappelliera, in cui si tengono i
cappelli → si capisce comunque