Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
TEORIE DELL'ARGOMENTAZIONE
Il grande cambiamento è quello di un riorientamento di molti studi, inclusi quelli di linguistica, verso la dimensione sociale. La questione sociale non è solo una questione di interesse eminentemente politico-istituzionale, ma diventa una questione che interessa anche il sapere. Si passa da un modello epistemico liberale puro, per cui il sapere sta in una sorta di bolla a cui hanno accesso classi privilegiate, ad un modello orientato o da una visione di tipo socialista-riformista o da una visione di tipo cattolico-sociale, all'idea che la dimensione sociale non è solo un contenuto della conoscenza (così come studio tanti oggetti, uno di questi oggetti è la società e la scienza che ha ad oggetto lo studio della società si chiama sociologia). L'idea è che la società non è solo l'oggetto di uno studio particolare che si svolgerà con i crismi di altre discipline scientifiche.ma è un modo di studiare: cioè studiare da un punto di vista sociale, non è come studiare da un punto di vista che si pretende neutrale, astratto (che era il modello cartesiano). Si tratta di un modo diverso di approcciare le cose. Questo avrà un'importanza molto rilevante per il diritto, ma anche per la linguistica. Viene meno quell'idea di purezza della conoscenza, che invece nel campo giuridico durerà ancora parecchio: si pensi a Kelsen (tutto ciò che non c'entra con le norme è metagiuridico e non ha a che vedere con i giuristi). Invece il trend è diverso: si comincia a capire che la dimensione dell'esistenza non è una dimensione pura, ma impura, compromessa. La vita è un compromesso. Un altro elemento molto rilevante è la diffusione dell'informazione, che inevitabilmente porta il peso della società all'interno del pensiero, poiché l'informazione non circola enon è più destinata solo ad una classe di pochi privilegiati, ma la borghesia amplia il suo spettro di appartenenza. Tutte queste persone leggono e si informano e fanno informazione: questo significa che tutti i loro problemi e difficoltà, aspettative entrano di peso, anche dal punto di vista linguistico, nell'informazione. Cambia la lingua. La lingua non è sempre è lo specchio fedele di un mutamento culturale e sociale; la lingua è anche il medium, il mezzo di un cambiamento culturale e sociale, perché noi agiamo come parliamo e parliamo come agiamo. C'è un rapporto difficilmente distinguibile tra i due. Per questo i Greci parlavano di logos. Questi sono i motivi principali per cui c'è una svolta nelle teorie linguistiche, che porta lo studio della linguistica verso il terreno della comunicazione, cioè di un linguaggio che si misura a partire dalla discussione e dunque anche dalla discussione pubblica: non
è più solo un linguaggio che dice le cose, è un linguaggio che dice le cose nelle cose, è un linguaggio situato. Il filosofo di riferimento in questo caso è ancora una volta Heidegger: non c'è alcun ragionamento giusto o sbagliato sull'essere, che non parta dal dato che noi nell'essere ci siamo in un certo modo. L'essere situati non è una condizione ipotetica, ma è l'unica condizione da cui possiamo partire, dunque anche per la linguistica, ed Heidegger è quello che l'ha messo in chiaro nel modo più profondo, in particolare nella sua opera principale "Essere e tempo". Nasce così una branca apparentemente del tutto nuova degli studi linguistici, che è la pragmatica linguistica. Vediamo la definizione di pragmatica: "La pragmatica è una disciplina della linguistica che si occupa dell'uso contestuale della lingua come azione.reale e concreta (contesto, realtà, concretezza). Non si occupa della lingua intesa come sistema di segni (cioè non è semiotica, non vede la lingua come un codice che serve a comunicare), ma osserva come e per quali scopi la lingua viene utilizzata e in che misura soddisfi esigenze e scopi comunicativi (viene in gioco l'intenzione: noi non agiamo così, ma secondo intenzione). Più nello specifico, la pragmatica si occupa di come il contesto influisca sull'interpretazione dei significati (questa è la via che prenderà la nostra riflessione). In questo caso, per "contesto" si intende "situazione", cioè l'insieme dei fattori extralinguistici (sociale, ambientale e psicologico) che influenzano gli atti linguistici" (Sobrero 1993). C'è una grande filosofa del Novecento, successora alla cattedra di logica e filosofia morale di Oxford, successora di Ludwig Wittgenstein, che si chiamavaMargaret Anscombe, che dice: se noi facciamo qualcosa anche in logica, in matematica, in geometria, lo facciamo per uno scopo, perché ciò non viene mai in rilievo? Perché non c'è un ragionamento di tipo pratico che accompagni questi studi e si pretende invece che questi studi siano sempre neutri? C'è sempre un'intenzione nel fare le cose. E scrive un libro che diventerà un classico della filosofia del Novecento che è "Intention". Quando la Sobrero scrive che la pragmatica linguistica è una disciplina della linguistica che non vede la lingua come un sistema di segni, come un codice, bensì la vede come reale, concreta, governata da esigenze e scopi comunicativi, sta parlando di intention, di intenzioni. La comunicazione ha sempre una o più intenzioni. Entra in gioco un qualcosa che non è un puro ragionamento formalizzato. È il contrario di Kelsen: qui la linguistica, che è una scienza,
Vuole aprirsi ai fattori extralinguistici. Non posso essere una vera scienza linguistica nel chiuso di questa stanza, ma devo aprire le finestre e guardare. E allora sarò una scienza linguistica completa: ho bisogno di capire quali sono i fattori esterni che mi influenzano in quanto scienza. Proprio quello che Kelsen non voleva fare: il diritto poteva funzionare solo a patto che non diventasse sociologia del diritto.
Sostanzialmente si passa da una concezione linguistica di tipo descrittivista-cartesiano, molto ingenua e naif, per cui ci sono le cose e ci sono le etichette, ed è quello che i linguisti chiamano il modello del codice, il modello puramente semiotico del rapporto tra un nome e una cosa che non può funzionare, perché noi agiamo sempre a partire da un C, da un qui e ora, che peraltro non è mai solitario, ma è sempre il frutto di un essere assieme. È ingenuo perché pensa che si possa lavorare al di fuori di questo C, di questo contesto.
Noi non possiamo disincarnarci: quindi anche il matematico più astratto ha qualche intention, qualche frustrazione, qualche aspettativa. Si transita da questo modello naif di un rapporto monovalente tra nome e cosa, ad una linguistica, appunto pragmatica, che dà importanza alle intenzioni. Questo modello è chiamato dai linguisti inferenziale. Vi segnalo un termine "implicature", di cui parleremo fra poco. Comunicare delle intenzioni vuol dire usare delle implicature, parola orribile, ma che ha una suo perché: è il calco dell'inglese implicator. Torniamo a Roman Jacobson, il papà dei linguisti contemporanei, la cui opera principale è "Saggi di linguistica generale" (trad. ital. 1966). Jacobson dice che ci interessa una linguistica che sia situata, che tenga conto delle intenzioni, una linguistica dinamica, inferenziale. Ciò significa che devo capire qual è la struttura di questo C.Di questa situazione, nella quale realizziamo la comunicazione. Il modello di Jacobson non è prescrittivo, cioè non dice come si dovrebbe comunicare, ma è descrittivo, cioè dice come si comunica. Jacobson dice che la comunicazione è una situazione nella quale egli ritrova sempre una serie di elementi necessari e sufficienti per dire che è in atto una comunicazione; senza tali elementi, i famosi sei, non c'è comunicazione.
C'è comunicazione quando in un contesto c'è chi emette questa comunicazione (il mittente), che avrà i suoi scopi, le sue intenzioni per comunicare. E c'è un mittente in tanto in quanto c'è o ci sono dei destinatari (e già questo influenzerà il messaggio, ad esempio le parole che userò: se parlo durante lo spritz con i miei amici mi esprimerò in maniera diversa da quella che presumibilmente utilizzerò durante l'esame di Filosofia).
Cambia il contesto e inoltre ci vuole un codice, insomma dobbiamo capirci. E muta anche il contatto: altra è scrivere una lettera, altra cosa è parlare (si pensi all'effetto che fa una trascrizione di intercettazione ambientale decontestualizzata).
Mittente (es. avvocato della difesa) – (funz. emotiva) – "Vergogna!"
- Destinatario (es. giudice) – (funzione conativa) – "Deciditi!"
- Messaggio (es. innocenza del cliente) – (funzione poetica) – "Uauuu!"
- Contesto (es. udienza) – (funz. referenziale) – "Faremo l'appello"
- Codice condiviso (es. italiano giuridico) – (funz. metalinguistica) – "Che intende dire con tutto ok?"
- Contatto (es. frontale: aula del tribunale) – (funz. fatica) – "Ehi, ci sei?"
Cosa cambia più precisamente in relazione a questi elementi necessari e sufficienti per qualificare una comunicazione?
Jacobson ce lo dice. Al mittente pertiene una funzione linguistica di tipo emotivo. L'emozione sarà governata dal mittente. Invece è collegata al destinatario della comunicazione quella funzione del linguaggio che lui chiama conativa (conatus = tentativo, e quindi anche intenzione, volontà). Qui non si vuole soltanto provocare un balzo di tipo psicologico (come nell' emotività), ma si vuole indurre a fare qualcosa di preciso. In relazione al messaggio è la funzione che lui chiama poetica, la quale non è in relazione a quella che noi chiamiamo poesia o lirica, ma è poetica nel senso che può usare delle forme verbali che sono destinate a suscitare uno stato d'animo. Ha la funzione di stimolare un certo stato d'animo che serve a far passare quel messaggio. Non necessariamente può essere un'espressione della faccia, del visto, un gesto, come uno si veste. Tutto entra nella comunicazione. Poi il linguaggio ha
una funzione che ha a che vedere con il contesto: è una funzione referenziale; attraverso il linguaggio ti faccio capire qual è il contesto che devi tener presente per decifrare il mio