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Munsterberg, che nel 1916 scrive uno studio psicologico sul cinema, la cui finalità non è
prettamente psicologica ma estetologica. Nonostante fossa già stato inventato il montaggio
cinematografico (inventato da Griffith, regista di Nascita di una Nazione, nel 1914), ancora non si
capiva se il cinema fosse arte. Per esserlo doveva avere delle specificità che le altre arti non
avevano. Secondo Munsterberg la specificità del cinema è essere analogo alla mente. Cinema e
mente intratterrebbero un’analogia reciproca: molte delle tecniche tipiche del cinema simulano
un modo di lavorare della mente umana. Il cinema rappresenta la realtà e il modo in cui un
soggetto esperisce la realtà. Le stesse tecniche del cinema sono esteriorizzazioni dei processi con
cui noi percepiamo, ricordiamo, anticipiamo, ci rapportiamo attraverso le nostre facoltà psichiche
alla realtà.
La memoria nel cinema diventa flashback, l’attenzione diventa zoom, iride, primo piano. Nel
cinema vengono esteriorizzate anche le immagini del sogno, infatti il cinema fantastico si era già
sviluppato ai primi del ‘900 (Melies, fantasmagoria). Il cinema esteriorizza anche tutta la
dimensione emotiva (primi piano, espressioni e gesti, effetti sonori, inquadrature soggettive ecc.).
Esteriorizzazione della mente da parte del cinema.
Le Mystère des Roches de Kador (1913) di Lèonce Perret
In questo film è rappresentato profondamente il rapporto tra psiche e cinema. È uno dei primi
esempi di film dentro al film.
Suzanne ha un’assicurazione sulla vita per cui se muore i soldi vanno al cugino. Lui cerca di
ucciderla ma ammazza il suo fidanzato. Lei assiste alla scena, perde la memoria e diventa afasica.
Si rivolgono a uno psicanalista, che suggerisce di ricostruire la memoria dell’evento attraverso il
cinema, filmarla e sottoporre il soggetto alla visione.
Il cinema è presentato come un farmaco che può avere effetti terapeutici agendo direttamente
sull’inconscio, riattivando alcuni meccanismi. Prima di Munsterberg c’è l’idea del cinema come
esternazione della memoria anzi, come protesi della memoria che aiuta a Suzanne a recuperarla.
La paziente della psicanalisi corrisponde in tutto e per tutto all’immagine che nelle riviste
scientifiche di fine ‘800 viene data dell’isteria.
Perché è importante rivolgersi alla psicologia del XIX secolo per comprendere il processo di
esteriorizzazione del mentale?
Deleuze scrive due volumi sul cinema molto complessi, i cui riferimenti filosofici più importanti
sono Bergson e Pierce. Costruisce una tavola delle immagini cinematografiche che hanno anche
una dimensione storica. Il primo volume è infatti dedicato al cinema fino agli anni ’40, fondato
sulla trasparenza, sull’azione, sui montaggi brevi, mentre il secondo è dedicato al cinema
moderno, che rappresenta proprio il tempo. Deleuze scrive che l’immagine movimento è
comprensibile solo grazie alla frattura nella psicologia, avvenuta nel XIX secolo, che coincide con
il momento in cui non fu più possibile tenere la posizione che vedeva le immagini come
appartenenti solo alla dimensione psichica e il movimento come qualcosa che riguardava solo la
dimensione fisica. Questa crisi della psicologia corrisponde all’atto cinematografico di mettere le
immagini nello spazio e i movimenti nella coscienza. Per cui è necessario studiare questa frattura
prima della filosofia del ‘900. Deleuze dice che questa frattura porta a due posizioni filosofiche:
Husserl, che dice che ogni coscienza è coscienza di qualcosa, e Bergson, che dice che ogni
coscienza è qualcosa (il cervello è solo un’immagine al centro di altre immagini).
Due problemi del XIX secolo riguardano le due condizioni utilizzate nella psicologia dell’‘800
per visualizzare le immagini mentali:
- Ipnosi: secondo la scuola di Charcot funziona solo su soggetti isterici. Ai clinici basta dare
un input al soggetto ipnotizzato affinché le memorie del soggetto si presentino ai loro
occhi.
- Isteria: Charcot estende il concetto anche all’uomo, non solo alla donna.
Janet scrive L’Automatisme Psychologique (1889), che si basa su un lavoro costante sulle cliniche che
lo porterà a collaborare da filosofo con Charcot e Freud. L’idea dell’automatismo è molto
importante per comprendere l’esteriorizzazione del mentale. È un’idea che arriva nella cultura
francese dall’Inghilterra, in particolare da Hughlings Jackson, che crede che il cervello sia
composto sia da impulsi che da una dimensione motoria, che farebbe sì che l’organizzazione della
coscienza vada vista in senso evoluzionistico, come un’evoluzione rispetto a una sua base
elementare fatta solo da automatismi (dimensione primordiale dell’uomo). Nei soggetti affetti da
isteria e debolezza psichica si può tornare all’automatismo con una rivelazione in più:
nell’automatismo non c’è assenza di personalità o pensiero, al contrario c’è una seconda
personalità che emerge solo quando si addormenta quella cosciente. È un soggetto segreto,
complesso.
Cambio di tecnologia tra una rivista e l’altra. Nella prima rivista le fotografie erano semplici e gli
isterici venivano rappresentati in pose cristallizzate, mentre nella Nouvelle Iconographie
Photographique de la Salpêtrière c’è la fotografia istantanea, utilizzata da un fotografo pioniere del
precinema Albert Londe. Con la fotografia istantanea è possibile cogliere ogni frammento
dell’evoluzione di una crisi isterica, perciò alle pose si sostituiscono degli istanti qualunque, che
con la stessa distanza temporale contribuiscono a rendere l’evoluzione della crisi isterica, con un
grandissimo guadagno anche dal punto di vista clinico.
Il divenire non fu più considerato come una serie di pose (danza), ma come una successione di
istanti qualsiasi. È così che si può cogliere la realtà che sfugge alla percezione naturale. Solo le
tecnologie possono farlo, rivelando una nuova dimensione della realtà.
Ad aiutare Charcot ci sono degli elementi molto diversi:
- Paul Richer, neurologo a la Salpêtrière e insegnante di anatomia artistica all’Academie di
Parigi.
- Albert Londe, pioniere della fotografia istantanea, inventore di un nuovo dispositivo di
12 lenti che consente di cogliere ogni istante del movimento corporeo, soprattutto
convulso.
- Gilles de la Tourette, studioso della locomozione degli isterici, inventa dei grafici per
distinguere la patologia isterica da quella organica.
- Georges Didi-Hubarman, scrittore di L’invenzione dell’isteria, iconologo, storico dell’arte ed
estetologo. Ritiene che l’isteria sia un’opera d’arte che come tale va studiata nella storia
dell’arte, inventata da Charcot come dispositivo di visualizzazione.
Idea di vedere la storia antica secondo le teorie della psicopatologia contemporanea: prendono
dei reperti antichi per dimostrare che l’isteria, la loro invenzione, è sempre esistita. Nei reperti
artistici ritengono di vedere che l’artista si è ispirato a soggetti isterici.
Un altro testo filosofico, di Agamben, è un breve iscritto intitolato Note sul gesto, all’interno di
Mezzi senza fine, una condizione ontologico-politica della contemporaneità, la cui archeologia va
vista all’interno di questo stesso orizzonte epistemologico. In particolare, c’è l’idea di
un’archeologia del cinema, non fondata sulla visione, sullo sguardo, sull’immagine, ma che parte
dal gesto. Il cinema è nato dagli esperimenti di Tourette, da un modo particolare di osservare il
gesto, dai suoi esperimenti sulla locomozione. Secondo Agamben sono il sintomo di una società
che ha perso il senso dei propri gesti e cerca di recuperarlo attraverso delle forme di controllo.
La stessa sindrome di Tourette è una perdita di controllo. C’è uno spasmodico tentativo di tornare
al controllo dei gesti, che nella Salpêtrière diventa il paradigma da cui nasce il cinema . Il controllo
5
del gesto è il cinema, la prima tecnologia che riesce a dividere, istante per istante, il movimento,
e poi ricomporlo.
Nel 1895 nasce il cinema, e tutte queste teorie di psicologia sperimentale vengono assorbite e
contemporaneamente occultate dalla nascita contemporanea della psicanalisi. Infatti, nel 1895
Freud trascrive il primo sogno che darà origine al metodo psicanalitico.
26/09/2019
Rapporto tra cinema e teorie psicanalitiche
Il punto di partenza è l’Inconscio ottico di Benjamin. In Piccola Storia della Fotografia (1931) c’è una
ricorrenza di questo concetto: la natura che parla alla macchina fotografica è diversa da quella che
parla all’occhio, specialmente perché al posto di uno spazio elaborato consapevolmente
dall’uomo c’è uno spazio elaborato inconsciamente. Se riprendiamo alcune cose della lezione
scorsa, in particolare la capacità della fotografia istantanea di cogliere dei dettagli del gesto della
convulsione, non comprensibili all’analisi autoptica del clinico, siamo sulla buona strada. C’è una
realtà inconscia che la tecnologia rileva attraverso un punto di vista non umano. Tale realtà deve
essere interpretata come qualcosa di inconscio, che c’è sempre stato e di cui si vedono i sintomi.
La fotografia e il cinema rivelano la dimensione inconscia del reale, il sostrato nascosto. Nel
cinema ciò avviene con degli strumenti che hanno la capacità di cogliere spazio e tempo diversi
rispetto a quelli umani (es. rallenty, accelerazione ecc.), ma allo stesso tempo a questa idea di
inconscio corrisponde un’idea di vaccino. Con la nascita di questi media accade che nasce una
percezione collettiva a cui l’essere umano viene abituato in un’esperienza individuale, l’esperienza
Grossi, Le regole della convulsione
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del sogno, di continua trasformazione delle immagini e di vicinanza delle immagini. Quello che
percepiamo è una psicosi di massa.
Pochi anni più tardi esce un altro testo importantissimo, L’opera d’arte nell’epoca della sua
riproducibilità tecnica (1935), in cui Benjamin dice che il cinema fa venire meno la distinzione tra
sonno e veglia, perché la psicosi diventa di massa, c’è un sogno collettivo. Questa idea è legata
all’idea di un trascendere la divisione tra l’interno e l’esterno.
Ne I ‹‹passages›› di Parigi Benjamin parla di questo sogno della collettività, agli albori della civiltà
delle merci. Questi residui di un mondo di sogni sono i passages, gallerie commerciali ch