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Estratto del documento

Altra questione delicata sottoposta ai giudici negli ultimi anni è poi stata quella relativa alle

union shops closed shops,

cosiddette e molto diffuse in Inghilterra ancora non molti anni fa (sono

divenute illegittime in tale Paese solo nel 1971).

Originariamente esse erano vere e proprie clausole contrattuali che prevedevano o che un lavoratore

iscritto ad un sindacato dovesse impegnarsi, una volta assunto, a rimanere in quel sindacato (closed

shops), oppure che un lavoratore non iscritto ad alcun sindacato, una volta assunto, dovesse

shops).

iscrivere al tal sindacato (union

Con il tempo esse sono divenute ovunque illegittime, poiché non spetta certamente ai sindacati

intervenire nei meccanismi di domanda ed offerta di lavoro*, essendo per altro gli stessi

regolamentati dai centri per l'impiego o dalle agenzie del lavoro, ma per quanto non più

formalizzate nei contratti capita, che vengano comunque applicate da imprenditori succubi delle

pressioni di uno o più sindacati, che premono per far assumere lavoratori propri iscritti o per far

iscrivere i neo assunti non ancora tesserati al fine di mantenere un ruolo predominante in azienda.

Casi simili sono percepiti come di condotta antisindacale, e rientrano dunque anch'essi nell'ambito

della tutela dell'Art. 28 dello Statuto dei lavoratori.

*[Va detto, a dire il vero, che prima della regolamentazione del mercato del lavoro i sindacati

svolgevano legittimamente intermediazione lavorativa].

L'efficacia del contratto collettivo

Ambito privato

Come visto in passato, i contratti collettivi nascono come evoluzioni dei contratti corporativi in

vigore nel periodo fascista, gli ultimi dei quali erano stati redatti nel 1943.

Per quanto originati in un contesto storico infelice, tali contratti corporativi presentavano notevoli

pregi, in quanto disciplinavano questioni importanti in materia di lavoro, e rimasero dunque

parzialmente in vigore anche dopo le vicende del '43 e del 45.

Nel 1959 il legislatore si pose dunque il problema di attualizzare tali contratti (ormai “vecchi” di 16

anni), e delegò di conseguenza il Governo a fissare degli standard minimi di trattamento economico

e retributivi. Il Governo, tuttavia, rifiutò la regolazione diretta delle condizioni di lavoro, ed affrontò

il problema trasformando i contratti collettivi “di diritto comune” sino ad allora sviluppatisi tra le

legem, contra legem,

parti sociali senza regolazione (praeter non come già visto) in decreti

legislativi, definendo dunque in tal modo in base ai contratti collettivi sottostanti i livelli minimi di

retribuzione, ferie, ecc. erga omnes,

Tali decreti legislativi, avendo forza di legge, risultavano applicabili dunque ogni

decreto legislativo divenne applicabile a tutti i lavoratori del settore cui quel decreto faceva

riferimento, e si pose di conseguenza una questione di armonizzazione tra tale previsione ed il

dettato costituzionale in base al quale soltanto con una legge sindacale rispettosa del modello

erga omnes.

dell'Art. 39 si sarebbe potuti giungere all'applicazione

I sindacati di minoranza (non firmatari dei contratti collettivi trasformati in decreti legge)

impugnarono tali decreti di fronte alla Corte Costituzionale (non direttamente, poiché non c'è

possibilità di ricorso diretto), e la stessa emanò in tale occasione una sentenza-monito, salvando la

norma, ma avvertendo il legislatore di non riproporre mai più provvedimenti simili.

Dimentico di tale pronuncia, tuttavia, il legislatore ripropose l'anno successivo (1960) dei nuovi

decreti di medesimo stampo e la Corte Costituzionale dovette dunque intervenire con pronuncia di

completa incostituzionalità.

Naufragò così l'ipotesi di un sindacalismo “di diritto”, che non poté che lasciare spazio al diritto

sindacale di fatto, con conseguente necessità di porre relativamente ai contratti collettivi le questioni

dell'efficacia (a chi si applicano?) e del tipo di efficacia (definito a chi si applicano, come si

disciplinano eventuali contrasti tra la legge, il contratto collettivo nazionale, o aziendale ed il

contratto individuale?).

La risposta alla questione in tema dell'efficacia sta nella previsione del Codice Civile secondo cui

“il contratto ha forza di legge tra le parti”.

Se dunque il contratto collettivo del settore chimico dovesse essere firmato da Federchimici (per

conto di Confindustria) e dalle sigle CGIL, CISL e UIL del settore chimico (es. FEMCA-CISL),

esso sarebbe innanzitutto applicabile a tali enti firmatari. È chiaro tuttavia come questi redigano il

contratto affinchè sia applicabile ad altri, non a loro stessi; ci si appoggia dunque per risolvere tale

questione all'istituto della rappresentanza, disciplinato all'Art. 1387 del Codice Civile, assumendo

che i firmatari siano rappresentanti di coloro ai quali dovrà essere realmente applicato il contratto, e

che la delega di rappresentanza da parte di questi ultimi ai firmatari consista nell'iscrizione al

sindacato od all'associazione imprenditoriale firmataria.

Risulta da un simile modello l'applicabilità dei contratti collettivi ai lavoratori iscritti ad un

sindacato firmatario che siano dipendenti di imprese il cui imprenditore sia iscritto ad

un'associazione firmataria; combinazione che, dato il crollo del tasso di sindacalizzazione di cui già

più volte si è detto, vedrebbe i contratto collettivi applicati in un solo caso su dieci. Si tratterebbe, se

così fosse, di un risultato alquanto insoddisfacente; è dunque prevista una soluzione di

allargamento, in base alla quale:

• Se imprenditore e lavoratore sono entrambi iscritti, il contratto collettivo si applica “di

default”, come sopra indicato;

• Se il lavoratore non è iscritto, ma di fatto, per comportamenti concludenti, esprime una

volontà per l'applicazione del contratto collettivo, questo si applica anche in mancanza di

iscrizione.

In quest'ultimo caso, il comportamento concludente cui si è fatto riferimento può risiedere:

• In un rinvio formale al contratto collettivo

Si tratta del caso in cui, al momento della firma del contratto individuale, le parti facciano

esplicito rimando all'inquadramento nell'ambito del contratto collettivo di quel settore, che

risulterà dunque applicabile al lavoratore sia nella forma in vigore al momento della firma

del contratto individuale, sia nelle sue forme successive conseguenti ai vari rinnovi triennali,

anche qualora le stesse risultino peggiorative (poiché il lavoratore, se proprio non volesse

sottostare a tali nuove condizione, potrebbe comunque liberamente dimettersi).

• In un rinvio materiale al contratto collettivo

Si tratta del caso in cui, al momento della firma del contratto individuale, le parti non

facciano riferimento di per sé ad un contratto collettivo, ma ne copino le clausole nel

contratto individuale.

Ciò accade ad esempio quando un imprenditore che operi nel settore chimico non voglia

applicare anche ai suoi dipendenti che si occupano di amministrazione il contratto collettivo

dei chimici, ma ad esempio, il contratto collettivo del settore dei servizi professionali alle

imprese, più conveniente. In una simile situazione tale imprenditore non può fare

riferimento ad un generico contratto collettivo, poiché se lo facesse dovrebbe

obbligatoriamente far riferimento al contratto collettivo del settore chimico (si ricordi

quanto detto in passato riguardo l'applicabilità del contratto collettivo del settore cui fa

riferimento l'impresa nel suo complesso, indipendentemente dalle varie attività in essa

svolte), e provvede dunque alla trasposizione nel contratto individuale dell'addetto alla

contabilità che sta assumendo delle condizioni descritte nel contratto collettivo del settore

dei servizi alle imprese. Naturalmente, così facendo, il lavoratore non è soggetto al

mutamento delle condizioni in seguito al rinnovo del contratto collettivo.

[N.B.: Qualora non vi siano né rinvio formale, né rinvio materiale, ad esempio poiché il contratto di

lavoro non è stato scritto, il lavoratore potrà, in caso di controversia, produrre in giudizio copia del

contratto collettivo che ritiene dovesse essergli applicata, e nel caso in cui il datore non dovesse

mettere in discussione tale fonte, il giudice potrebbe legittimamente ritenerla applicabile.

Ciò implica, di fatto, la possibilità di applicazione dei contratti collettivi a chiunque, tranne nei di

esplicito dissenso, ossia di rifiuto formale dell'offerta di applicazione del contratto collettivo da

parte del lavoratore (es. lavoratore dis-iscritto da sindacato firmatario o lavoratore iscritto a

sindacato dissenziente che facciano azione simbolica di protesta)].

Il contratto collettivo risulta invece inapplicabile in assenza di iscrizione ad un'associazione

imprenditoriale da parte dell'imprenditore: in quanto non iscritto ad un'associazione firmataria, il

datore di lavoro non potrà in tal caso offrire ad alcun lavoratore l'applicazione del contratto

collettivo, e di conseguenza nessuno, iscritto o non iscritto che sia, la potrà accettare (è il caso FIAT,

che da quando non è più iscritta a Federmeccanica, facente riferimento a Confindustria, non offre

più né potrebbe offrire il contratto collettivo firmato da tale associazione imprenditoriale ad alcun

lavoratore).

[N.B.: La presente previsione riguarda i contratti collettivi nazionali, eventualmente firmati

dall'imprenditore per delega, e dunque inapplicabili in assenza della stessa; il problema non si pone

invece con i contratti collettivi aziendali, poiché in tal caso è l'imprenditore stesso ad impegnarsi in

prima persona, potendo offrire a tutti i propri lavoratori tale contratto collettivo aziendale, che sarà

applicabile, di fatto, a tutti, in base alle regole di cui sopra, salvo i casi di motivato dissenso].

Poste tali osservazioni in relazione all'ambito di efficacia dei contratti collettivi può ritenersi risolta

la prima questione posta riguardo gli stessi in apertura del presente paragrafo (a chi si applicano?),

ed occorre dunque passare a considerare la seconda questione di cui si diceva, ossia il tipo di

efficacia dei contratti collettivi (come si disciplinano eventuali contrasti tra la legge, il contratto

collettivo nazionale, o aziendale ed il contratto individuale?).

Va innanzitutto detto che nell'ambito del diritto del lavoro è prevista una riserva di legge soltanto

per quanto riguarda la durata massima della giornata lavorativa; con riferimento a qualsiasi altro

argomento non ci sono specifiche previsioni riguardo quale fonte debba normare quali aspetti, e si

assiste dunque ad un riparto di competenze di fatto: alle leggi

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A.A. 2014-2015
42 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher SimoGR di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Occhino Antonella.