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DIRITTO ALLA RETRIBUZIONE
Se il lavoratore viene meno agli obblighi esaminati prima, l’art 2106 prevede il diritto
per il datore di lavoro di irrogare sanzioni disciplinari allorquando il lavoratore venga
meno ai suoi obblighi contrattuali. Detta così sembra che sia un potere discrezionale,
ovvero il datore può scegliere; questo diritto di irrogare sanzioni disciplinari deve avere
dei limiti, che sono stati introdotti nell’art 7 dello Statuto dei Lavoratori. Dal combinato
disposto dell’art 2106 e dell’art 7 dello Statuto si evince una regolamentazione
piuttosto pregnante del potere disciplinare, il quale deve sottostare a dei presupposti
sostanziali e formali:
- presupposti sostanziali: 1) sussistenza e imputabilità del fatto, cioè il fatto deve
esistere in concreto e deve essere colpevole, imputabile al lavoratore, non può
discendere da causa di forza maggiore; 2) adeguatezza della sanzione, deve
esserci una proporzionalità tra la gravità del comportamento colpevole del
lavoratore e la punizione che gli viene irrogata dal datore di lavoro. Vige il
principio di predeterminazione delle sanzioni dell’art 7 dello statuto: bisognerà
mettere nero su bianco quali comportamenti sono colpevoli e a ciascuno di essi
riagganciare una sanzione disciplinare. La sanzione disciplinare è di tipo
conservativo, non tendono a eliminare il rapporto di lavoro ma a conservarlo e
sono: 1) il richiamo verbale; 2) l’amonizione scritta; 3) multa; 4) sospensione dal
lavoro e dalla retribuzione per massimo 10 giorni. Ognuna di queste è riferita a
un comportamento specifico, ma comunque il principio da seguire è che non ci
sia una modificazione definitiva del rapporto di lavoro. Diverso è il discorso del
licenziamento, che vedremo che esiste il licenziamento disciplinare come ipotesi
estrema.
Limite alla recidiva: se uno è sventato da porre in essere più di una volta dei
comportamenti colpevoli, trascorsi due anni dal precedente comportamento
colpevole non si potrà tener conto di questo nella somministrazione della
sanzione, non si può fare cumulo. Questi sono i requisiti di legittimità della
sanzione disciplinare.
- Presupposti formali: abbiamo poi delle indicazioni su quello che è il
procedimento di erogazione delle sanzioni. Riguardano due ipotesi: 1)
predeterminazione del codice disciplinare al fine di garantire un principio di
certezza della pena e per evitare soprusi da parte del datore; 2) il datore deve
raccogliere in un codice disciplinare i comportamenti e le relative sanzioni e
questo deve essere pubblico, ovvero deve essere afflitto in un luogo visibile a
tutti. La pubblicità ha effetto costitutivo del diritto del datore di erogare
sanzioni: se non c’è non può erogare la sanzione. Una volta che il datore ha
ottemperato ai suoi obblighi si passa al momento concreto dell’irrogazione della
sanzione:
1) Contestazione dell’addebito: il datore comunica al lavoratore che gli viene
erogata una sanzione e l’art 7 richiede che questa contestazione abbia 2
caratteristiche: sia specifica (ben dettagliata) e immediata (non che dopo 3
mesi dal tuo comportamento ti arriva la sanzione, ma subito). Principio del
contradditorio: entro 5 giorni all’interno dei quali il datore non può
concretamente adottare la sanzione, il lavoratore ha diritto alla difesa per cui
o si presenta (da solo o assistito) dal datore per discolparsi oppure in modo
scritto.
2) Irrogazione della sanzione: il lavoratore ha ancora una possibilità, quella di
ricorrere al tribunale, dal giudice del lavoro oppure può seguire una strada
extragiudiziale per avvalersi di una procedura arbitrale, dove dopo 20 giorni
può essere richiesta la composizione di un collegio arbitrario chiamato a
decidere chi ha ragione tra i due contendenti. Questo collegio di solio è
formato da 3 soggetti: uno che rappresenta il lavoratore, uno il datore e uno
scelto di comune accordo tra i due. Proprio per evitare un peso eccessivo alla
giustizia, si determina la sospensione della sanzione, che rimarrà sospesa
finché il collegio arbitrale non si pronuncerà in tutto.
OBBLIGHI E DIRITTI DELLE PARTI #2
I 2 principali obblighi del datore sono quelli di sicurezza e alla retribuzione.
Obbligo di sicurezza tutela della salute dei lavoratori. L’incipit normativo è costituito
dall’art. della Costituzione e tutela il diritto alla salute come bene individuale e
collettivo. Con il tempo assunse nuovi significati: Mortati estese il concetto di salute al
di là dei limiti espliciti e della mancanza di danno biologico. Il significato nuovo
ricomprende il benessere psichico e fisico. Ciò collega tale norma ad altri valori
costituzionali (es. art 4). L’art 32 Cost. non è immediatamente applicabile nei rapporti
inter privati e quindi occorre una norma: art 2087 codice civile che ci dice che il datore
è tenuto ad osservare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità psico-fisica del
lavoratore. Questa norma forma un tipo di responsabilità a capo del datore che è una
responsabilità di tipo oggettivo: interpretando le parole della norma, viene usato il
termine “misure necessarie”, con il quale si indica che il datore deve analizzare il
posto di lavoro e assumere le misure che possono anche andare al di là di quanto
scritto nei codici di sicurezza; il termine “necessario” lo obbliga ad aggiornarsi e
amplia la sua responsabilità. Questa norma teoricamente ha avuto un tenore
prevenzionistico (per prevenire danni sul lavoro): in realtà per molto tempo è stata
usata ex post, come titolo per risarcimenti al lavoratore infortunato. Questo perché la
visione della tutela era diversa. Durante il periodo dell’Autunno Caldo si è superata la
monetizzazione del rischio (= allor quando c’erano rischi per la salute, il datore dava
soldi e si metteva in riparo da eventuali responsabilità). Questa impostazione venne
superata e nel 1970 (emano lo Statuto dei Lavoratori) con la norma (art 9 Statuto) che
riguarda questa problematica:
1) Superare la dimensione economicistica della salute;
2) Sposta il baricentro da un piano individuale a uno collettivo: prevede che
vengano costituite delle rappresentanze per la tutela della salute, che dovevano
verificare l’applicabilità delle norme e dovevano avanzare proposte al datore per
migliorare le condizioni di sicurezza esistenti.
In applicazioni di una direttiva comunitaria ( n° 321 del 1989) si è dato mano a una
nuova legislazione che ha cambiato le regole del gioco del 1994 n° 626 e
legge
completata nel 2008 con un testo unico. È cambiata la filosofia di approccio: hanno
iniziato a circolare 3 parole importanti: partecipazione, informazione e formazione. Con
il termine partecipazione si intende che la materia della salute è un problema del
datore e del lavoratore, il quale deve attivamente partecipare a migliorare le
condizioni di lavoro attraverso l’informazione, ovvero devono essere informati su
problematiche inerenti alla sicurezza sul lavoro. Poi devono essere formati, posti in
condizione di partecipare attivamente alla tutela della salute.
Questo programma si è attuato attraverso la procedimentalizzazione. Chi riguarda la
normativa? È diretta a tutti i settori di attività e ad ogni tipologia di rischio e riguarda
tutti i lavoratori, autonomi e subordinati. Il soggetto responsabile della esatta
applicazione della normativa è il datore, perché lui è uno dei soggetti titolare del
rapporto di lavoro, e i dirigenti e i preposti (= forniti di potere gerarchi e sovraintende
all’attività lavorativa e ne garantisce l’esatta attuazione).
Il testo unico del 2008 per la prima volta parla di esercizio di fatto dei poteri direttivi: è
responsabile anche colui che concretamente eserciti poteri giuridici in materia,
nonostante sia sprovvisto di una regolare investitura formale.
Concretamente le misure vengono adottato con una procedimentalizzazione. Significa
prevedere step che andranno seguiti dal datore. I 2 step fondamentali sono la
conoscenza, poi la valutazione del rischio. Si devono conoscere gli elementi di criticità
in relazione a vari fattori (fisici, stress, differenze di genere, ecc.). l’altro step è quello
della valutazione dei rischi, si stila un documento. Il testo unico parola anche della
posizione dei lavoratori, riconoscendo degli specifici diritti in caso di pericolo grave e
immediato: si prevede il diritto del lavoratore di abbandonare le proprie mansioni e
l’obbligo per il datore di non richiamarli finché persiste il pericolo. Questa tutela è
stata rafforzata con la creazione di un soggetto specifico preposto alla tutela della
salute sul posto di lavoro. Questo soggetto è il rappresentante per la sicurezza, che
esplica questa funzione di controllo e informazione e non può subire pregiudizi per
l’esercizio della sua attività da parte del datore. Viene eletto in ogni azienda: nelle
aziende con più di 1 dipendenti, viene eletto nell’ambito delle RSA/RSU.
C’è un aspetto particolare (non contenuto in nessuna normativa): il tema del mobbing.
Nel corso dei decenni è cresciuto nelle aziende; quando ci sono episodi di vessazione
nei posti di lavoro si ha il mobbing, che può esser verticale (se avviene tra datore e
lavoratore) o orizzontale (se avviene tra lavoratore e lavoratore). Affinché
effettivamente si realizzi mobbing devono esserci degli elementi: deve esserci
continuità nel tempo dell’attività vessatoria verso una persona. Non c’è legge sul
mobbing e se ne sono occupati diversi comitati; cosa si può fare? Occorre distinguere
tra mobbing orizzontale e verticale:
- se ci troviamo di fronte al mobbing verticale, occorre capire la fattispecie da
quali comportamenti è composta e solitamente si utilizza il demansionamento:
si utilizzano, dunque, l’art 13, che vieta il demansionamento, oppure l’art 2087,
che parla di integrità fisica e morale che il datore deve tutelare.
- Per il mobbing orizzontale, interviene il principio secondo il quale non dobbiamo
ledere a nessuno oppure si fa ricorso al 2087, perché il datore deve vigilare i
rapporti all’interno dell’azienda.
L’altro obbligo è l’obbligo alla retribuzione. La Costituzione disciplina con l’art 36, il
quale è una norma precettiva, su cui non si possono fare rinunce e transazioni. La
norma di che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e
qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia
un'esistenza libera e dign