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[MOB. VERTICALE-JOBS ACT]

Un altro aspetto fondamentale è quello della mobilità verticale o verso l'alto (carriera): in

questo ambito, si disciplina la possibilità per il datore di lavoro di assegnare al lavoratore mansioni

superiori (potere del datore). In generale, si ha mobilità verticale quando i compiti superiori cui viene

adibito il lavoratore non sono previsti nel contratto (sono invece previsti nel contratto quando, ad

esempio, vi è un calo di mansioni vicarie, ovvero quando è prevista la possibilità che il lavoratore

sostituisca il proprio capo --> in questo caso si tratta solo di adempimento del contratto); tuttavia,

nel caso in cui ad un lavoratore di II livello venga chiesto di svolgerne uno di III livello e quindi più

impegnativo, egli non può rifiutare di obbedire al datore di lavoro e, inoltre, se svolge compiti più

elevati, ha diritto a una remunerazione più elevata (stabilito dal nuovo art. 2103 c.c., ma deducibile

già dall'art. 36 Cost.).

Nasce però un problema relativamente al fatto che spesso, nella pratica, il datore di lavoro

sposta il lavoratore a compiti superiori per poi riportarlo a compiti inferiori rispetto a prima, per cui

è necessario tutelare la progressione di carriera del lavoratore; a questo proposito, l'art. 2103 c.c. lo

fa con un particolare meccanismo, quello della cosiddetta promozione automatica, che vale anche

contro la volontà del datore. In altre parole, se il lavoratore svolge con continuità un determinato

lavoro più elevato rispetto a quello precedente, non può più essere spostato al lavoro precedente e

quindi la nuova posizione diventa definitiva (acquisisce di fatto la promozione); la promozione

automatica opera con l'idea che il lavoratore, il quale per un certo periodo svolge compiti superiori,

assuma in modo definitivo tali compiti e non possa più essere declassato, ma resta da definire quale

sia il tempo che fa scattare la promozione. Nel vecchio art. 2103 c.c. questo periodo era normalmente

di 3 mesi, mentre nella nuova disciplina viene attribuito un ruolo privilegiato alla contrattazione

collettiva, nel senso che essa è libera di individuare questo periodo, senza limiti minimi o massimi

(criterio privilegiato: il periodo di tempo è determinato dalla contrattazione collettiva); però, la

contrattazione collettiva non è presente in tutte le aziende oppure non vi opera in modo significativo,

quindi, in mancanza, è la legge che stabilisce la durata di tale periodo di tempo, la quale raddoppia il

termine precedente in 6 mesi continuativi (criterio residuale e suppletivo).

Su questo fronte, è evidente che la contrattazione collettiva non sta utilizzando gli spazi

lasciati aperti dal legislatore in quanto i primi contratti stipulati dopo il Jobs Act si allineano per lo più

sul dato legale, ovvero prevedono che il periodo di tempo necessario per maturare la promozione

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I POTERI DEL DATORE DI LAVORO NEI CONFRONTI DEL LAVORATORE SUBORDINATO

automatica sia di 6 mesi; tuttavia, il datore di lavoro può alzare e abbassare il livello del lavoratore

nel tempo quante volte vuole, evitando la promozione, nel senso che può reiterare nel tempo lo

spostamento a mansioni superiori per periodi continuativi più corti rispetto alla soglia che fa scattare

la promozione. In questi casi, il lavoratore si può rivolgere al giudice denunciando un'ipotesi di abuso

del diritto, ovvero di uso illegittimo dei propri poteri; il lavoratore può chiedere al giudice di sommare

i periodi di svolgimento di lavori superiori, ovvero di derogare alla continuità cumulando i singoli

periodi (vera e propria frode alla legge del datore di lavoro).

C'è però un'eccezione a questa previsione legislativa (deroga alla promozione automatica): in

particolare, non scatta la promozione automatica quando il lavoratore viene spostato a compiti

superiori per ragioni sostitutive di un altro lavoratore in servizio (es. assente per malattia, per

maternità o per infortunio --> posizione temporaneamente scoperto), in modo da evitare il conflitto

tra lavoratori relativamente allo stesso posto di lavoro; normalmente, la mobilità verticale viene

vissuta dal legislatore e dal lavoratore come un evento positivo e desiderato, ma può succedere che

il lavoratore non desideri e quindi non accetti la promozione in quanto ritiene che essa possa

provocargli un maggiore stress oppure la possibilità di trasferimento. Pertanto, la novella del Jobs

Act permette al lavoratore di rifiutare la promozione, ma solo quando essa è maturata, ossia, ad

esempio, il lavoratore entro il sesto mese può rifiutare la promozione automatica e ritornare ai

compiti precedenti. [MOB. VS. IL BASSO – JOBS ACT]

Relativamente alla mobilità verso il basso (novità), infine, il Jobs Act ne prevede in teoria tre

ipotesi, ossia prevede la possibilità di essere adibiti a mansioni di livello inferiore:

1. per effetto dello jus variandi, ovvero del potere del datore di lavoro (jus variandi in peius);

2. per effetto della contrattazione collettiva, che può quindi prevedere la mobilità verso il basso;

3. per effetto dei patti di dequalificazione, ossia degli accordi tra datore e lavoratore.

In realtà, le ipotesi effettive di mobilità verso il basso sono solo due (due fonti diverse), ovvero

le ipotesi che riguardano ragioni del datore di lavoro (casi 1 e 2) e le ipotesi che riguardano ragioni

del lavoratore (caso 3).

Riguardo i motivi del datore, nel caso dello jus variandi devono esserci delle ragioni aziendali

(giustificato motivo oggettivo), mentre nel secondo caso la contrattazione collettiva deve prevedere

tale ipotesi. In entrambi i casi, la legge prevede una fitta rete di tutele per il lavoratore (grossi limiti

alla dequalificazione --> forti garanzie legali, soprattutto di tipo economico, per cui diventa costoso

per il datore di lavoro dequalificare un lavoratore); in particolare il lavoratore può essere abbassato

solo di un livello e senza cambiare categoria legale, deve essere rispettato l'obbligo formativo da

parte del datore, ma soprattutto il lavoratore che è dequalificato conserva il trattamento economico

precedente e il livello di inquadramento precedente (sovra-inquadramento, ossia guadagna di più

rispetto a ciò che fa). Questa dequalificazione deve essere comunicata per iscritto, ovvero è previsto

un obbligo formale alla mobilità verso il basso; il lavoratore viene quindi adibito a compiti più bassi,

ma costa come prima, perciò è probabile che in pratica si tratti una dequalificazione temporanea (per

risolvere emergenze temporanee).

L'ipotesi di cui al caso n. 3 è la più pericolosa in quanto riguarda i cosiddetti patti di

dequalificazione, ovvero quegli accordi tra lavoratore e datore di lavoro per svolgere compiti più

bassi; il lavoratore si trova sempre in una condizione di soggezione rispetto al datore di lavoro e,

inoltre, non sono previste le reti di tutele della professionalità come nei casi precedenti, per cui si

può mobilitare verso il basso anche oltre un livello o la categoria legale di riferimento (inoltre, si può

diminuire la retribuzione --> declassamento integrale del lavoratore). Sono stati quindi previsti dal

69

I POTERI DEL DATORE DI LAVORO NEI CONFRONTI DEL LAVORATORE SUBORDINATO

Jobs Act due nuovi limiti relativi a questa ipotesi per fare in modo che questo non sia un ritorno al

vecchio art. 2103 c.c. di cui alla versione del 1942, in particolare:

1. i patti di dequalificazione possono essere stipulati solo per interessi del lavoratore,

ossia solo per gli interessi indicati dalla legge (per conservare l'occupazione, per acquisire una diversa

professionalità o per un miglioramento delle condizioni di vita);

2. i patti di dequalificazione possono essere stipulati solo in sedi sicure, in cui il consenso

del lavoratore sia genuino, ovvero davanti alle commissioni di certificazione o davanti alle

commissioni di conciliazione (volontà del lavoratore assistita).

Anche il nuovo art. 2103 c.c., nell'ultimo comma (n. 9) ripete la grande novità di cui all'art. 13

dello Statuto dei lavoratori, in base al quale ogni patto contrario è nullo, ma tale nullità non vale nelle

tre ipotesi di legittima dequalificazione (inderogabilità della norma a maglie larghe, molto più debole

rispetto al passato).

Obblighi del lavoratore

Relativamente al tema dei poteri del datore di lavoro nei confronti del lavoratore subordinato,

oltre allo jus variandi, ovvero il potere di modificare l'oggetto del contratto di lavoro (mansioni),

assume rilevanza l'altro lato della medaglia, ossia l'aspetto relativo ai doveri del lavoratore (altro lato

dell'art. 2094 c.c., relativo al lavoro subordinato); lavorare in modo subordinato significa infatti

obbedire a certi ordini (poteri del datore) e avere dei doveri in qualità di lavoratore.

La descrizione dei doveri del lavoratore subordinato è racchiusa essenzialmente in due norme,

ovvero gli artt. 2104-2105 c.c.

In particolare, l'art. 2104 c.c. si occupa di due tematiche molto impegnative, cioè la diligenza

e l'obbedienza del lavoratore subordinato. La diligenza viene definita dal primo comma di tale articolo

come la misura della prestazione dovuta, per cui in concreto il lavoratore subordinato si obbliga a

svolgere una prestazione diligente (il legislatore cerca di individuare il contenuto, la soglia minima di

sostenibilità della prestazione --> la prestazione deve essere diligente come misura normale di

esecuzione dell'attività lavorativa); si tratta di una diligenza di tipo normale, non eccezionale, che

equivale nel rapporto di lavoro alla diligenza classica "del buon padre di famiglia" (traduzione nel

diritto del lavoro). Essa va ovviamente calata nell'ambiente di lavoro, quindi l'art. 2104 c.c., comma

primo, individua tre parametri o criteri per valutare la misura di tale diligenza:

1. essa dipende dalla natura della prestazione dovuta (mansioni che svolge il lavoratore

--> il grado di diligenza dipende dal tipo di attività svolta, diventando più impegnativa man

mano che si sale nella scala di inquadramento professionale);

2. essa dipende dall'interesse dell'impresa (l'interpretazione di questo parametro è

cambiata nel corso del tempo, nel senso che ai tempi del Codice Civile esso veniva declinato

come interesse dell'imprenditore, anche soggettivo, mentre oggi esso viene declinato in

senso solo oggettivo come esigenze dell'organizzazione aziendale --> valutazione calata nel

concreto ambiente di lavoro, non in astratto);

3. essa dipende dall'interesse superiore della produzione nazionale (criterio del tutto

superato in quanto si trattava di un parametro in gran parte colorato dall'ideologia

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
158 pagine
1 download
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher emmaXD di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Udine o del prof Brollo Marina.