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LICENZIAMENTO INDIVIDUALE

Disciplina costituita da stratificazioni successive.

Premessa: parleremo in particolare di rapporti di lavoro subordinato ed a tempo indeterminato.

La domanda che ci porremo è in quali casi il datore può mettere in atto il licenziamento?

In secondo luogo cercheremo di capire quale sia la disciplina sanzionatoria da mettere in atto qualora il licenziamento sia illegittimo.

Parleremo solo delle norme vigenti attualmente, ma faremo riferimento a norme risalenti le quali, in parte, sono ancora in vigore oggi.

Artt. 2118/2119 CC; L. 604/1966; Art. 18 L. 300/1970; L. 108/1990; L. 92/2012 (Legge Monti-Fornero); D.Lgs. 23/2015 (Jobs Act); D.L. 87/2018 convertito in L. 96/2018 (decreto dignità o decreto Di Maio).

L'insieme di queste discipline, interpolate tra loro verranno affrontate per problematica, non cronologicamente. È fondamentale osservare come dal Jobs Act la disciplina si sia biforcata. Sono in vigore due discipline parallele. Ad

alcuni lavoratori assunti prima di una certa data viene applicata unacerta disciplina la quale è differente per i licenziamenti di lavoratori assunti dopo quella data. Si farà un cenno finale al fatto che, nell'attuale situazione di emergenza sanitaria, è stato previsto dal legislatore, in via straordinaria, il cosiddetto blocco dei licenziamenti. Ciò, in ogni caso, non intacca la disciplina dei licenziamenti. Partiamo dal Codice Civile. Esso detta alcune regole molto generali le quali, oggi, non hanno più una portata così estesa come allora.

Art. 2118: recesso. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato dando preavviso nel termine e nei modi stabiliti dagli usi e secondo equità. Si fa riferimento sia all'licenziamento, sia alle dimissioni. Ci concentriamo sul primo ovviamente.

Preavviso significa che, dal momento in cui viene adottato l'atto di recesso ed esso vienecomunicato, l'effetto giuridico non è immediato, ma successivo ad un determinato periodo di tempo. Il preavviso viene stabilito dagli usi o secondo equità. Oggi non è più così, esso è stabilito dai contratti collettivi di lavoro. Di solito il preavviso è commisurato all'anzianità di servizio del lavoratore (termine più lungo se il lavoratore è più anziano) ed in secondo luogo all'inquadramento (più il lavoratore occupa cariche importanti più il preavviso deve essere lungo). Nei modi significa che il recesso deve essere comunicato attraverso forma scritta. È un atto di natura recettizia e produce i suoi effetti nel momento in cui il destinatario ne viene a conoscenza. Nel periodo di preavviso è dovuta la retribuzione. In tale periodo il lavoratore può o meno lavorare. Ma il datore è tenuto a far lavorare il lavoratore in questo periodo? In materia di preavviso vigono due

discipline contrapposte. La prima tesi, dell'efficacia reale del preavviso, diffusa in dottrina, afferma che il preavviso sia un vero e proprio diritto del lavoratore il quale ha diritto a lavorare.

La seconda, oggi ritenuta prevalente, è una tesi cosiddetta dell'efficacia obbligatoria. Durante il periodo di preavviso il lavoratore ha diritto alla retribuzione, ma se il datore liquida la retribuzione pari al periodo di preavviso ed il lavoratore accetta questa somma, il rapporto di lavoro si ritiene concluso senza preavviso. Il lavoratore non avrà più la possibilità di svolgere la propria mansione.

Che differenze ci sono allora? In caso di malattia ad esempio il licenziamento è vietato e non produce i suoi effetti. Ci si può trovare in una situazione paradossale nella quale il lavoratore in malattia, passato il periodo di preavviso, non può essere comunque licenziato. Per questo motivo ci si orienta verso la seconda tesi. Questo

orientamento è rafforzato dal fatto che il lavoratore licenziato, in periodo di preavviso, può lavorare in maniera non ottimale, magari nel caso in cui ritenga che il licenziamento sia ingiusto. È possibile escludere il diritto di preavviso in caso di giusta causa di licenziamento. Art. 2119: ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Siamo nel caso di fatti gravi che fanno cadere la fiducia reciproca che sta alla base dei rapporti di lavoro. Ad esempio nel caso in cui il lavoratore venga colto in sottrazione di beni aziendali. Esistono casi (specifici ed in eccezione) in cui il licenziamento non debba essere per forza giustificato. Siamo nel caso del recesso ad nutum. Ci riferiamo alla categoria dei dirigenti. Il

Il dirigente è un alter ego dell'imprenditore. Se viene meno la fiducia tra i due non serve giustificazione al recesso. I dirigenti sono assoggettati ad una disciplina specifica a loro tutela. Tale disciplina collettiva afferma che il dirigente può essere licenziato senza giustificazione, ma se manca la giusta causa egli ha diritto alla liquidazione di una certa somma.

Il licenziamento del dirigente può tradursi in un costo per l'azienda.

Altre categorie di lavoratori sottoposti al recesso ad nutum:

  • Lavoratori in prova. Quel lavoratore neo assunto che ha stipulato col datore un patto di prova il quale contiene una disciplina temporale. In questo periodo (massimo 6 mesi) il datore ed il lavoratore valutano le condizioni. Il datore ed il lavoratore possono recedere senza preavviso in questo periodo.
  • Non esiste un rapporto di lavoro in prova. Il lavoratore viene ASSUNTO a tempo indeterminato, ma accanto al contratto è inserito un patto di prova. (NON PARLIAMO
DELLO STAGE)
Lavoratori domestici. Coloro che svolgono attività di cura a servizio delle famiglie. Sono licenziabili ad nutum, previo preavviso se non c'è giusta causa.
Lavoratori ultrasessantenni in possesso dei requisiti pensionistici. Non si scioglie automaticamente il rapporto. Occorre che l'impresa licenzi il lavoratore.
Sportivi professionisti. Legge 91/1981. Essi sono lavoratori subordinati delle società sportive. Lo sportivo che subisca un infortunio in violazione delle regole di sicurezza fa ricedere le proprie responsabilità sulla società.
Apprendisti alla fine del periodo di formazione. Assunzione con causa mista. Retribuzione minore. L'apprendista ha anche diritto a ricevere una formazione. Alla fine di tale periodo il datore di lavoro può decidere se recedere o no liberamente, senza fornire giustificazione. (NEANCHE ORA PARLIAMO DELLO STAGE).
Normalmente il licenziamento esige una giustificazione. Essa può essere di

tre tipi:

  1. Giustificato motivo soggettivo (Art. 3 L. 604/1966): notevole inadempimento degli obblighi contrattuali. Lo abbiamo già incontrato in maniera implicita parlando delle sanzioni disciplinari. Quando si varca la soglia oltre la quale non sia più possibile mettere in atto una sanzione conservativa il lavoratore può essere licenziato, ma con preavviso perché manca la giusta causa.
  2. Giusta causa (Art. 2119 CC): causa che non consente la prosecuzione anche provvisoria del rapporto. Non vi è diritto di preavviso. Differenza sia quantitativa che qualitativa rispetto al giustificato motivo soggettivo. In primo luogo si fa riferimento all'intensità dell'inadempimento. Solo se l'inadempimento è gravissimo si ricade nel licenziamento per giusta causa. Differenza qualitativa: ha un ruolo nell'ambito dell'identificazione della giusta causa anche il vincolo fiduciario. Può ricadere nella giusta causa anche

un comportamento non inadempiente che però fa cadere la fiducia del datore di lavoro nei confronti del lavoratore. Esempio: un lavoratore addetto ai fidi in una banca viene condannato per un suo fatto commesso nell'ambito della sua vita privata, ad esempio per usura. Questo fatto privato non c'entra nulla con lo svolgimento della sua mansione che potrebbe essere sempre stata impeccabile, ma può avere ripercussioni a livello lavorativo in quanto può pregiudicare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. Casi più discutibili sono quelli in cui non vi siano nessi tra l'illecito svolto privatamente e l'attività lavorativa effettivamente svolta (caso del dipendente delle Poste che viene condannato per spaccio). La giurisprudenza degli ultimi anni è piena di controversie su licenziamenti avvenuti a seguito di dichiarazioni pubblicate attraverso i social network.

Giustificato motivo oggettivo (Art. 3 L. 604/1966): ragioni inerenti

all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Il lavoratore è perfettamente adeguato, ma può essere licenziato per ragioni economiche inerenti all'attività. Impresa che ha difficoltà sul mercato, riduzione del personale per riduzione della domanda di una linea. Caso classico è quello che viene chiamato in gergo licenziamento tecnologico. Alcune tecnologie fanno risparmiare lavoro. Sostituzione di impianti ad esempio. I nuovi possono richiedere meno supervisione umana ed alcuni lavoratori possono trovarsi in esubero. Il datore può licenziare per giustificato motivo oggettivo. Non è così facile licenziare per giustificato motivo oggettivo. La giurisprudenza richiede una serie di prove. La prova della giustificazione stessa grava sul datore di lavoro. Nell'ambito del giustificato motivo oggettivo i giudici richiedono tre tipi di prove: sussistenza del fatto postoalla base del licenziamento, l'esistenza di esso; il nesso causale tra il fatto provato e la soppressione dei posti di lavoro; l'onere direpechage ovvero la prova dell'impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre mansioni disponibili in azienda. Questo onere non impone alcun cambiamento da parte del datore di lavoro, ma avviene ad organizzazione costante. Il datore deve verificare la presenza di posti vacanti. Ove il datore fosse obbligato a modificare l'assetto non verrebbe più rispettato quel concetto di libertà di iniziativa economica. Questa è la prova più impegnativa perché, soprattutto in aziende molto grandi, è frequente ritrovare posti vacanti nei quali collocare il lavoratore prima di licenziarlo. Negli ultimi tempi a sostegno di questo apparato probatorio è intervenuto il legislatore. L'Art. 2103 consente l'adibizione a mansioni inferiori come scelta unilaterale ed il demansionamento.

concordato.Sesto comma: accordi in deroga. Con tale norma si può estendere il repechage anche a mansioni di livello inferiore. Avevamo visto che una delle cause di adibizione a mansione inferiore poteva appunto essere la salvaguardia del posto di lavoro.

Dettagli
Publisher
A.A. 2020-2021
56 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher miki20899 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Genova o del prof Novella Marco.