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Il tema della discriminazione per orientamento sessuale e transessualismo

Il tema della discriminazione per orientamento sessuale e transessualismo ha fornito alla Corte di giustizia l'occasione per affrontare la questione del rapporto tra uguaglianza e tutela della dignità e dei diritti fondamentali. Ovviamente, questo cambiamento di prospettiva della Corte è stato determinato dai mutamenti sociali che, mettendo in luce nuove fattispecie meritevoli di tutela e i limiti del diritto antidiscriminatorio vigente, hanno condotto all'adozione della Direttiva 2000/78/CE e all'inserimento dell'orientamento sessuale e del transessualismo tra i motivi di discriminazione vietati dal diritto sovranazionale. La prima volta che la Corte di giustizia ha avuto modo di applicare la Direttiva è stata in occasione del caso Maruko, che riguardava il rifiuto di riconoscere al partner di unione solidale una pensione di vedovo a titolo di prestazioni ai superstiti previste dal regime previdenziale obbligatorio di categoria al quale era iscritto.il reato di pedofilia. Questa disposizione discriminatoria è stata oggetto di critiche da parte di organizzazioni per i diritti umani e di numerosi ricorsi alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Inoltre, l'Italia non ha ancora approvato una legge che riconosca le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Nonostante alcuni progressi in termini di diritti LGBT, come l'introduzione delle convivenze di fatto nel 2016, l'Italia rimane uno dei pochi paesi europei che non ha ancora legalizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Questa mancanza di protezione legale per le coppie omosessuali ha conseguenze negative sulla loro vita quotidiana. Ad esempio, le coppie omosessuali non hanno gli stessi diritti di visita in ospedale o di eredità dei loro partner. Inoltre, i figli delle coppie omosessuali non hanno gli stessi diritti di quelli delle coppie eterosessuali. In conclusione, nonostante alcuni progressi, l'Italia ha ancora molta strada da fare per garantire l'uguaglianza e i diritti delle persone LGBT. È necessario che il legislatore italiano riveda le leggi discriminatorie e approvi una legge che riconosca pienamente le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Solo così l'Italia potrà davvero essere un paese inclusivo e rispettoso dei diritti di tutti i suoi cittadini.

Con la sentenza 9/2/2015, n. 2400, la Corte di cassazione ha riconosciuto che l'unione omosessuale affettiva riceve comunque un diretto riconoscimento costituzionale dall'art. 2 Cost., e che può acquisire un grado di protezione e tutela equiparabile a quello matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una disciplina legislativa determina una lesione dei diritti fondamentali. Importanti conseguenze ha poi avuto anche la sentenza di condanna della Corte di Strasburgo nei confronti dell'Italia, colpevole di aver omesso di adottare una legislazione diretta al riconoscimento e alla protezione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Sulla scia di questo monito, l'Italia ha finalmente approvato la l. 20/05/2016, n. 76 ("legge Cirinnà") sulla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e sulla disciplina della convivenze. In essa troviamo la c.d. clausola di equivalenza che afferma che

“Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni concernenti le parole coniuge, coniugi o altri termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi, si applicano anche a ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione, che realizza una significativa ma ancora parziale equiparazione tra coppie eterosessuali unite in matrimonio e coppie omosessuali unite civilmente, non si pone solamente quale strumento necessario di adeguamento dell’ordinamento in relazione al nuovo istituto introdotto, ma anche come estensione del divieto di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale.

Età

L’età ha avuto un ruolo importantissimo nel diritto antidiscriminatorio. Il divieto di discriminazione in base all’età

è stato però sottoposto anumerose deroghe legate ad obiettivi occupazionali. Un trattamentodifferente in ragione dell’età ora è permesso a patto che la differenza ditrattamento sia motivata dal perseguimento di obiettivi meritevoli ditutela connessi all’occupazione e al mercato del lavoro.

Con riferimento alle caratteristiche correlate all’età, la Corte prevede cheuna differenza di trattamento basata su una caratteristica correlata all’etànon costituisca discriminazione laddove questa caratteristica rappresentiun requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attivitàlavorativa.

Il fattore dell’età crea qualche difficoltà interpretativa; la Corte confondespesso l’età con la prestanza fisica, dando per scontato ad esempio chel’avanzamento dell’età significhi diminuzione delle capacità fisiche. Ciòche emerge è la moderazione

mantenuta rispetto alla possibilità dimettere in discussione le competenze dei legislatori nazionali riguardo alladefinizione delle politiche sociali dei rispettivi Stati membri, e che il piùdelle volte si traduce nel superamento del sindacato di legittimità dellafinalità perseguita, che viene quasi data per scontata, e nel sindacare,invece, l’appropriatezza e ragionevolezza dello strumento utilizzato per ilperseguimento dell’obiettivo assunto.

Disabilità

Il fattore disabilità è accomunato in qualche modo al fattore dell’etàperché ha avuto una regolazione particolare.

Il legislatore disciplina la possibilità per gli Stati membri di prevedere delleesimenti speciali, e cioè che la Direttiva non si applichi alle forze armate(a condizione che venga definito il campo di applicazione di questaderoga) e per il legislatore italiano anche ad altri casi, estremamentelimitati e indicati.

La tutela della

La disabilità è garantita attraverso il divieto di discriminazione diretta e indiretta e l'obbligo di adottare soluzioni ragionevoli che consentano alle persone disabili di accedere a un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione; determinante è stato l'inserimento della disabilità tra i motivi di discriminazione vietati dall'art. 19 TFUE, oltre che tra i fattori di discriminazione contemplati dall'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, e il riconoscimento da parte di quest'ultima del diritto dei disabili all'inserimento nella vita della comunità quale diritto fondamentale.

La prospettiva della tutela e promozione dei diritti umani è stata riaffermata con forza dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Malgrado ciò, la Corte di giustizia non sembra aver fatto proprio questo modello sociale.

di disabilità, per il quale la disabilità è una condizione che comprende le difficoltà a partecipare alla vita sociale e non soltanto le limitazioni all'esercizio della vita professionale. In seguito alla ratifica della Convenzione ONU da parte dell'UE, la Corte ha più volte affermato che la nozione di "disabilità" deve essere intesa nel senso che si riferisce a una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, che può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione dell'interessato alla vita professionale sulla base di uguaglianza con gli altri lavoratori. La Corte collega il riconoscimento della disabilità alla piena capacità di svolgere l'attività professionale, invece per la Convenzione la disabilità può essere anche il frutto del rapporto dell'interazione tra menomazioni e barriere di ogni tipo, senza che ne derivino.menomazioni psicofisiche. La Corte si è chiesta se l'estensione della tutela contro il licenziamento dei lavoratori con disabilità impiegati nel settore privato anche a coloro che operano nel settore pubblico. La Corte ha affermato che il raffronto deve essere fondato sull'analisi delle norme di diritto nazionale che riguardano le posizioni dei lavoratori privati con una disabilità e dei lavoratori pubblici con la stessa disabilità. Particolarmente avanzata è invece la posizione della Corte riguardo le discriminazioni per associazione. La Corte ha riconosciuto la discriminazione per associazione affermando che il divieto di discriminazione diretta opera non solo per le persone con disabilità, perché la dignità delle persona, fine ultimo del diritto, che ha determinate caratteristiche "sospette" è lesa tanto nel momento in cui viene discriminata direttamente quanto nel momento in cui vede qualcun altro patire una.discriminazione per il semplice fatto di essere in rapporto con lei. Questa estensione della tutela delle disabilità è stata accolta anche in Italia, aprendo così la strada alla tutela anche di tutti coloro che sono discriminati non solo perché direttamente portatori di una delle caratteristiche considerate, ma perché trattati in maniera differente per ragioni connesse al fattore di discriminazione considerato. Il fulcro della regolazione della tutela dei disabili è rappresentato dall'obbligo di adottare delle soluzioni ragionevoli per i disabili. Le soluzioni ragionevoli sono misure che consentono ai disabili di accedere a un lavoro, svolgerlo, avere una promozione e accedere alla formazione professionale, cioè misure efficaci e pratiche destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell'handicap, ad esempio sistemando i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo mezzi di.
Dettagli
Publisher
A.A. 2021-2022
76 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/08 Diritto costituzionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher bradnill di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto antidiscriminatorio e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Catanzaro - Magna Grecia o del prof Ranieri Maura.