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MALEVENTUM
come un brutto presagio, oppure per ricordare la vittoria.
I cognomi italiani sono patronimici, indicano la discendenza; in generale erano nomi propri, nomi
arcaici o anche soprannomi, spesso i nomi seguono addirittura le mode (come al tempo del
fascismo, dove vi erano molti bambini con il nome Benito). Problematico era per i bambini
abbandonati, ai quali venivano dati cognomi fissi, come Proietti, Innocenti o Esposito (a seconda
dell’area in cui venivano ritrovati).
Alcuni cognomi sono trasparenti, come Ferrari, ovvero colui che lavora il ferro, o molti altri, che
sono adattamenti dai mestieri e dai loro nomi in dialetto, oggi opachi perché è passato del tempo
(macrodiacronia) e si sono persi questi termini.
L’Italia ha infatti avuto un cambiamento radicale in 120 anni, ovvero l’Unità d’Italia, poiché prima
vi era un’alta percentuale di dialettofoni e minima di chi sapeva scrivere in italiano, o anche parlarlo
(gli analfabeti erano circa l’80% della popolazione); questo avveniva per molti fattori, tra cui anche
la mancanza in Italia di un esercito fisso, nel quale, comunque, si parlava in dialetto (fino al 1906,
quando poi si stabilì l’obbligo, almeno per gli ufficiali, di dare gli ordini in italiano). L’italiano
diventa la prima lingua solo dopo il 1970, mentre prima era il dialetto: la prima lingua era il dialetto
e la seconda l’italiano; in seguito la prima lingua divenne l’italiano e la seconda il dialetto, a queste
spesso si aggiunge la terza lingua (straniera).
Prima dell’Unità gli italiani non avevano bisogno di sapere l’italiano, anche per via della bassa 4
scolarizzazione. Nel 1911 il 51% della popolazione sapeva, però, parlare e scrivere in italiano,
anche perché per lavorare per lo Stato se ne aveva la necessità, e lavorare per lo Stato voleva dire
posto fisso e retribuzione. Da una situazione di monolinguismo dialettale si passa quindi a un’altra
situazione (dal momento che lo stesso Stato aveva creato un nuovo mercato) di bilinguismo.
I geosinonimi, che in altre lingue sono su distanze vaste e in Italia anche tra Sud e Nord, si
riferiscono a oggetti che hanno nomi differenti a seconda del luogo, a volte una differenza può
essere colta anche tra regione e regione; questo capitava spesso con i termini culinari, poi sistemati
con la cucina unitaria.
La radio e il cinema furono molto utili per la diffusione della lingua; confluisce anche il fattore del
periodo dell’emigrazione italiana; tutte cose che spinsero al boom degli anni ’60, ovvero
l’iperindustrializzazione del Nord.
Con la nascita della scuola media unica entra in crisi l’insegnamento dell’italiano, poiché lo studio
delle opere classiche risultava inutile alla vita comune; nasce, dalla riflessione in merito, lo Studio
Filologico che istituisce le 10 regole dell’insegnamento della lingua, dell’educazione dell’italiano
agli stranieri.
29/10/16: Dispense (2).
Alcuni sbagli molto comini che si commettono in dialetto sono:
1. gli usi del congiuntivo, specialmente per la consecutio temporum;
2. l’uso degli articoli, o la loro mancanza: ex. ci vediamo settimana prossima;
3. l’uso di “scende” impropriamente: ex. ti scendo il libro;
4. l’uso delle preposizioni in/a/su: ex visto sulla tv invece del corretto visto alla tv;
5. il numero dei puntini di sospensione, che devono essere solo 3.
Quest’ultima è una convenzione ortografa, la parografia se ne occupa.
Fino al 1860, il dialetto era L1 e veniva usato nel parlato, mentre l’italiano era L2 e usata nello
scritto; una situazione del genere implica diglossia senza bilinguismo.
Tra 1860 e 1960 nello scritto veniva sempre usato l’italiano, mentre nel parlato configurava il
dialetto come lingua primaria, ma anche l’italiano come lingua secondaria; ci si trova dunque in una
situazione di bilinguismo con diglossia; questa situazione venne introdotta specialmente dall’opera
dello Stato e dei suoi impiegati, mandati il più lontano possibile dal luogo di nascita.
Dal 1960 in poi, l’italiano è lingua primaria nello scritto e nel parlato, il dialetto è secondaria;
dunque una situazione di bilinguismo senza diglossia.
All’inizio di questo millennio il centro di fonologia ha compiuto degli studi in cui emergeva che
usando il dialetto e l’italiano si attivano zone differenti del cervello, in alcuni momenti sovrapposte.
L’italiano, durante la seconda fase, era sentito come lingua d’estrazione sociale alta e per questo
appetibile, quindi si è andato a interferire con il dialetto, lingua insegnata fin dall’infanzia, che ha
ceduto il passo all’italiano.
Errori tipici odierni sono causati dall’interferenza del dialetto, specialmente per quanto riguarda
alcune inclinazioni della pronuncia; ma l’italiano ha preso da sempre dal dialetto ciò che gli
mancava. In particolar modo la pronuncia, in parte la morfologia, ma soprattutto il lessico
quotidiano, poiché i vocabolari si incentravano più che altro sulle forme dotte.
In seguito vennero realizzati vari vocabolari, che dovevano essere più prescrittivi che descrittivi.
04/11/16: diatopia, diacronia, diastratia.
Il primo atlante del dialetto fu quello svizzero, il dialetto arcaico era quello associato alla vita di 5
campagna.
Il capitolo 7, ovvero Il dialetto e il continuum, dovrebbe invece riferirsi alle differenze e al tempo in
relazione al dialetto. Si dice Repertorio tradizionale linguistico italiano, poichè se non si annettesse
tradizionale si dovrebbero includere le varietà straniere che influiscono sull’italiano o le varietà
degli stranieri e dei nuovi italiani.
Il continuum del dialetto si nota, per esempio, con il salto generazionale, e con le modificazioni che
avvengono nel giro di pochi anni.
Si pensa spesso che la lingua sia un qualcosa di statico, di chiuso; osservando la frase
“Stamani debbo aver visto tuo padre”
si nota che le varianti possono essere molte, come per “stamani”, che potrebbe essere cambiato in
sta mattina, stamane, questa mattina; per “debbo” si può usare devo, per “visto” “veduto”.
Con quest’ultima si hanno dei problemi poichè poco apprezzata, come debbo, ma comunque
risultano termini sullo stesso piano.
Anche con “padre” vi sono varianti, come “papà” o “babbo”; ma questi due termini non sono
equivalenti, infatti hanno diversa connotazione: babbo è una forma toscana originale poi diffusasi
verso Napoli e Sicilia, mentre a Roma, seppur toscanizzata, si è preferito il francesismo papà (sulla
base di mamà, francese), quando prima si usava “tata”. Padre è formale, mentre papà /babbo è
medio-formale, sicuramente un modo affettuoso.
La mancanza del possessivo può suggerire familiarità, in italiano, infatti, il possessivo va prima
della parola che determina, ma per affettuosità dopo.
La frase indicata, contando tutte quelle possibili, conterebbe 144 varianti, a dimostrazione del fatto
che la lingua non è un complesso chiuso; le varianti sono legate a casi specifici, a usi diversi della di
quelli della lingua, usi reali.
La differenziazione non dipende troppo dalle grandi distanze, infatti vi sono differenze anche tra
centro e periferia di una stessa città (microdiatopia, già individuata da Dante).
Ovviamente vi sono varianti sia a livello temporale che geografico, con confini marcati dalle
isoglosse; anche in quest’ultima si nota, ovviamente, un continuum, poiché non si può distinguere
in modo certo quando termina un dialetto e ne inizia un altro (eccetto in casi particolari), come
anche nel tempo (qui ancora meno per via delle lunghe distanze).
Le differenziazioni hanno inizio con macrodiatopia in praesentia, poi in absentia; con un
interlocutore si ha un vero e proprio scambio, costruendo una visione del mondo. In praesentia si
possono studiare gli interlocutori, quindi in piccoli lassi temporali; in absentia, invece, no e si parla
di lembi bassi temporali e dello spazio.
Vi sono differenziazioni anche in merito alla cultura, differenze di tipo diastratica, a seconda
dell’estrazione sociale del parlante.
Diacronia, diatopia e diastratia sono interindividuali, nel senso che differenzia un individuo, poiché
si nasce in un determinato tempo, luogo ed estrazione sociale (ricordandosi che non è detto che solo
perché si è nati in un posto si parli la lingua del posto).
08/11/16: MANCANTE
12/11/16: Continuum e Discretum.
Nel continuum vi è un andamento ad arco, quindi il cambiamento avviene alla fine, mentre nel
discretum a ogni strato avviene un cambiamento, risultano quindi isolati uno con l’altro.
Il purismo della lingua nasce da determinate circostanze, ma eliminare determinate parole, per
esempio il francese o il greco dall’italiano, dalla lingua causa dei grossi scompensi, nel caso citato 6
addirittura un’eliminazione della metà dei termini esistenti.
Si hanno 5 macro-fattori di variabilità, di cui quattro identificati da Eugenio Coseriu e il quinto da
Mioni; sono diacronia, non tenuto da conto dalla sociolinguistica (perché prende in considerazione
fattori in praesentia); diatopia; diastratia; diafasia quindi il registro adottato; diamesia, quindi
scritto/parlato, che sarebbe anche la particolarità dell’italiano poiché nasce come lingua scritta,
mentre le altre nascono come lingue parlate.
Manca una vera e propria definizione dello standard italiano, poiché chiamarlo “toscaneggiante” è
limitativo, anche se molto si riprende dal toscano; vi sono molte altre definizioni, come neo-
standard.
L’italiano colloquiale è una colonna, fa parte della varietà diamesica, è informale ma non troppo, in
cui sono presenti anche i suoni omeofrastici (tipo i grugniti); nasce nella seconda metà del ‘900 (a
livello diffuso), quindi in seguito alla diffusione dell’italiano come lingua parlata (dopo 1960).
L’italiano informale trascuro è quello sciatto, non curato nella norma e nelle comprensibilità; fa
parte della varietà diafasica e di una parte innata della nostra comunicazione.
L’italiano popolare è introdotto (come terminologia) negli anni ’60, non è troppo corretto come
termine, è un francesismo (nel senso che viene ripreso dall’uso francese, estremamente
standardizzato, dunque quando si parla di francese popolare ci si riferisce al francese parlato, non
formale) in riferimento a una varietà bassa, della plebe.
La varietà regionale bassa è sciata, ma non allo stesso modo.
Rari sono i testi in dialetto, dal momento che i semicolti sono coloro che imparano a leggere e a
scrive