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La superficie limite è in questo caso racchiusa all’interno di due lobi separati l’uno dall’altro da un piano, detto piano
(0; 0; 0)
nodale, che passa proprio per il punto negato dalla funzione ed è coincidente con il piano (proprio
perché deve dividere i due lobi e impedire loro di dialogare).
Essendo un unico orbitale formato da due pezzi separati da un piano nodale (e non due orbitali distinti) la superficie
2,5%
limite prevede l’esclusione di un di volume dal lobo superiore e di altrettanto spazio dal lobo inferiore, per un
m
5%
totale del che corrisponde alla solita detrazione fatta in precedenza per la definizione della superficie limite.
Gli altri due orbitali e vengono rappresentati come segue:
da Orbitali successivi ni
rdi
sca
Aumentando il numero quantico principale diminuisco la probabilità di trovare l’elettrone a distanze minori ma
aumento l’estensione spaziale degli orbitali.
Infatti, per l’1 il valore massimo risulta essere maggiore rispetto agli altri due, ma va a zero prima: al contrario, a
2 3
differenza del che rimane intermedio, il è quello che ha il valore minore ma si estende più di tutti, andando a
zero per ultimo. o
Gli orbitali con numero crescente si espandono di più; quindi:
• = 1 prevalentemente sul nucleo
• om
= 2 si espandono a distanza maggiore
• = 3 si espande a distanza ancora maggiore, e così via
Anche questo richiama il modello di Bohr, poiché con l’aumentare dell’energia aumentava il raggio; Bohr però diceva
che l’aumento era col quadrato della distanza, mentre in realtà come vediamo la differenza fra uno e l’altro non è poi
così drastica. ian
m
da
Anche per gli orbitali è possibile fare un ragionamento analogo: i livelli energetici con valore massimo maggiore è
quello che va a zero più velocemente, e viceversa. Ad un aumento del numero quantico, indifferentemente dal tipo
di orbitale, corrisponde sempre un’estensione maggiore.
Le superfici limite successive per l’idrogeno sono le seguenti: ni
rdi
sca
• = 3
L’orbitale presenta due piani nodali per quattro orbitali, poiché per ho quattro lobi e due nodi. Vi è
o
poi un quinto orbitale fatto di due lobi simili ad un palloncino ed un terzo di forma toroidale (ciambella)
.
posto sul piano Le superfici nodali, in questo caso, sono sempre due ma non corrispondono a piani: sono
iperboloidi. Queste sono le forme che vengono fuori dalle soluzioni dell’equazione.
om
•
L’orbitale è ancora più complesso: presenta ben otto lobi, quattro nel semispazio superiore e altri quattro
= 4
in quello inferiore. Essendo le superfici nodali sono tre. Anche qui abbiamo un orbitale, il settimo, di
,
forma diversa dagli altri e simile al quinto dei con i palloncini e le ciambelle (che sono ora due).
ian
m
da Riflessione sulla natura dell’elettrone
2
||
Il concetto di orbitale come viene utilizzato per descrivere l’entità dell’elettrone, non come oggetto che si muove
ni
di una traiettoria ben precisa ma come la probabilità di trovarlo in alcune zone attorno al protone. Devo dimenticare il
concetto di pallina che gli orbita attorno: è semplicemente un’entità la cui posizione è descritta dalla funzione d’onda.
Non sappiamo cosa faccia e tantomeno quale sia la sua forma: non abbiamo dimostrazioni che sia una sferetta.
Sappiamo semplicemente che è un’entità dotata di massa e carica elettrica, ma non sappiamo nel profondo come sia
rdi
fatto, così come non sappiamo come sia fatto il protone.
Secondo la teoria dei quark, protone ed elettrone possono essere scomposti a loro volta in queste particelle
subatomiche che li compongono. È il tentativo di immaginarsi veramente come siano, ma è una soluzione che non
porta ad un reale vantaggio, solo “ad altre palline” (il processo di scomposizione non finisce più, non risolve molto).
Il problema nasce dal fatto che non abbiamo la capacità mentale di immaginare un’entità dotata di carica e massa,
ma vogliamo immaginarla, e quindi ci risulta difficile farlo senza attarsi a rappresentazioni così materialistiche, come
sca
quella della sfera. Non so come sia fatto, e nemmeno come esso si muove: so solamente con quale probabilità posso
trovarlo in una certa porzione di spazio. 2:
L’idea della pallina è sbagliata, e questo è dimostrabile anche prendendo in considerazione l’orbitale secondo la
nostra concezione, essendo un unico orbitale diviso in due, l’elettrone per passare da un lobo all’altro dovrebbe
attraversare il piano nodale, che equivarrebbe a dire che deve almeno in un certo istante trovarsi su quel piano (per
attraversarlo).
Si creerebbe una contraddizione, che viene scavalcata se si fa riferimento al concetto di elettrone come onda
o
stazionaria, ovvero a delle oscillazioni, che hanno dei nodi. Somiglia molto più a questo concetto che a quello della
pallina, poiché se lo guardiamo in questo modo tutto funziona.
La doppia valenza ondulatorio – corpuscolare della materia venne dimostrata da un’equivalenza matematica scoperta
om
dal fisico De Broglie per cui ad ogni corpo di massa che si muove a velocità si può associare un’onda (una
caratteristica ondulatoria del corpo) la cui lunghezza d’onda equivale a:
=
Tutto nel mondo ha un doppio carattere: delle volte viene mostrato quello ondulatorio, delle volte quello
corpuscolare. La differenza sta nel rapporto fra dimensioni dell’oggetto e quelle della lunghezza d’onda: per il
proiettile studiato per il principio di Heisenberg risulta essere infinitamente grande.
ian
Per l’elettrone invece ha lo stesso ordine di grandezza della dimensione dell’atomo: avendo quindi dimensioni
comparabili a quelle dell’oggetto studiato questa doppia natura influenza molto il comportamento delle particelle, che
è ciò che osserviamo quando le studiamo.
A questo punto i lobi degli orbitali non diventano altro che i punti di massimo della funzione d’onda che descrive
l’elettrone, quindi l’elettrone stesso si traduce in un’onda stazionaria che sta girando attorno. Una sinusoide che vibra
ma sta sempre nella stessa posizione dello spazio.
Questa descrizione, con tutti i suoi limiti mentali (facciamo fatica a staccarci dal concetto della pallina concreta) è
m
vicinissima al comportamento della materia, ed è un modello che funziona.
L’elettrone, dunque, quando sta intorno al suo nucleo, se nessuno lo guarda fa come gli pare. Se lo osserviamo,
qualcosa interagisce per forza con esso e lui manifesta la sua natura ondulatoria, poiché stiamo interagendo con
esso osservandolo all’interno di un sistema atomico, un sistema dove l’ordine di grandezza è uguale a quello della
da
sua lunghezza d’onda.
Se osserviamo invece gli elettroni emessi da un filamento, quindi un fascio di elettroni all’interno di, ad esempio, un
tubo catodico, allora questi non sono più in un sistema atomico, ma interagiscono col mondo macroscopico,
manifestando la loro natura corpuscolare. Anche in questo caso il principio di indeterminazione è valido: so la velocità
degli elettroni lungo il filo, ma non so dove essi siano istante per istante. Tutti i fenomeni hanno in sé la doppia natura,
che viene manifestata a seconda delle condizioni d’osservazione.
Atomi polielettronici
Analizziamo ora i livelli di energia per i vari orbitali dell’idrogeno. ni
rdi
sca
o )
Come si può ben vedere, orbitali sulla stessa riga ma diversi fra loro (hanno differenti ed hanno la stessa energia;
om
livelli energetici degeneri gli orbitali diversi per ed ed aventi lo stesso che hanno la stessa
sono chiamati tutti
energia.
Per l’idrogeno solamente l’1 non è degenere: il motivo è che l’idrogeno possiede solamente un elettrone,
indisturbato dall’assenza di altre cariche negative.
Finora abbiamo studiato solamente l’idrogeno e gli idrogenoidi, dove i risultati di Schrödinger coincidono con quelli di
Bohr (si ottiene la stessa formula); in realtà però, come abbiamo visto, questa è solo una coincidenza di questo tipo di
ian
atomi, poiché le orbite non esistono ed al loro posto abbiamo ipotizzato gli orbitali.
Cosa succede quindi se applichiamo Schrödinger a sistemi più complessi, che presentano più elettroni?
Questo era il punto dove cadeva Bohr, ovvero dove i risultati del suo modello fallivano clamorosamente.
Pur essendo corrette, anche le equazioni di Schrödinger presentano a questo punto una difficoltà: risolvere
analiticamente le equazioni risulta estremamente complesso, tanto che nessuno è mai riuscito a farlo. I risultati li
abbiamo, ma per approssimazione: non riusciamo invece a rappresentarli in maniera analitica.
m
da Risoluzione dell’equazione per atomi polielettronici
()
Partiamo col notare la presenza del termine nell’equazione; questo termine
ni
indica l’energia potenziale del sistema, quindi dell’elettrone, nel volume
selezionato.
Per l’atomo d’idrogeno, composto solamente da due cariche (una positiva ed una negativa) la
formula dell’energia è molto semplice da calcolare: rdi
2
1 −
() = ∙
4
0
Essa, infatti, coincide con la formula dell’energia potenziale elettrostatica, ed è contenuta nelle
funzioni d’onda dell’idrogeno.
Passando all’elemento successivo, l’elio, le cose già diventano più complesse; non
abbiamo più due singole cariche disposte in linea retta che si attraevano l’un l’altra
sca
(di valore uguale), ma tre cariche, una di carica opposta più grande delle altre in
valore assoluto, e due identiche sia in modulo che in segno.
L’idrogeno presentava un solo tipo di interazione: l’attrazione fra due cariche. Qui
invece si presentano ben tre interazioni differenti, che devono essere tutte
considerate:
• Attrazione elettrone e nucleo;
• o
→ () = − − +
Attrazione altro elettrone e nucleo;
• Repulsione fra i due elettroni;
La presenza dell’ultimo termine è fondamentale: gli elettroni, essendo cariche uguali co – presenti in una stessa
om +.
regione di spazio a distanza d