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I prodotti di marca si sono affermati a tal punto che hanno ormai un valore
maggiore di quelli senza marca (unbranded). La loro diffusione è dovuta
storicamente al passaggio da PDV a servizio tradizionale (con dei dipendenti che
“consigliavano” i prodotti) a PDV con libero servizio (i supermercati di oggi,
dove i clienti acquistano liberamente, perché conoscono già i prodotti grazie ai
marchi).
La marca si è affermata anche perché è garanzia di qualità. L’autore Kapferer
propone un modello, insieme a Laurent, ossia una concezione funzionale per
capire a cosa serve la marca. Il brand svolge svariate funzioni, secondo questo
modello:
1) Informativa: il brand veicola informazioni
2) Garanzia di qualità;
3) Identificativa: il brand veicola simboli che arricchiscono la personalità
4) Orientativa: il brand offre trasparenza dell’offerta, perché facilita la
valutazione dei beni
5) Di personalizzazione: la marca è uno stile di vita
6) Comunicativa: il brand comunica il posizionamento della marca
7) Ludica: la marca contribuisce a rendere il consumo gratificante
8) Pratica: consente di risparmiare tempo
9) Fedeltà: la marca fa sì che il consumatore si arricchisca di attributi dei
quali non riuscirebbe a fare a meno, per cui si fidelizza al punto che
percepisce il rischio di perdere quei valori qualora dovesse smettere di
utilizzare quel brand
Brand Equity
- Una definizione banale del brand equity potrebbe essere: quel valore
margine tra il sovrapprezzo di un prodotto branded e un prodotto
unbranded.
- Il valore della marca deriva da dimensioni tangibili (attributi e
caratteristiche tecniche del prodotto), ma anche intangibili e
idiosincratiche. La letteratura tende a dare rilievo a queste ultime, poiché
sono meno facilmente imitabili dai competitors.
- Il valore del marchio deriva anche dalla registrazione legale di questo.
- Il valore del marchio deriva anche dalla vendita dello stesso.
- Il valore della marca deriva soprattutto dalla potenzialità di questo di
essere esteso per diversificare il business.
A proposito di quest’ultimo aspetto, l’estensione si riferisce alla possibilità di
includere altri settori nel marchio, mettendosi a produrre altre categorie di beni
oppure acquistando licenze di altre imprese. L’estensione del brand, o brand
stretching, può essere però un pericolo. Un passo falso in tal senso potrebbe far
perdere valore al brand e al prodotto originale. In genere l’estensione del brand
ha successo quando, pur essendo molto diverse le categorie di prodotti a cui si
estende il marchio, si conserva un’idea, un valore, una narrazione di fondo che
sia coerente coi nuovi business. Generalmente possiamo dire che l’estensione
del brand è più efficace quando gli attributi ad esso legati sono più che altro
intangibili.
Modello di Keller sul Brand Equity
Il modello di Keller prevede che il brand ha un posizionamento peculiare nella
mente del consumatore. Il modello si chiama appunto Customer Based Brand
Equity (CBBE), poiché appunto si basa sul consumatore. Secondo questo
modello il brand equity dipende dal posizionamento del brand nella mente del
consumatore, da come è stato costruito nel tempo e da ciò che il cliente ha
appreso dalla marca. Il valore del brand ha dunque a che fare con
l’apprendimento da parte del cliente. La redditività è infatti basata sulle
componenti cognitive del brand:
1) Brand Awareness (Consapevolezza del brand)
Essa è data da:
a) Riconoscimento (ossia probabilità di riconoscimento della marca)
b) Richiamo (ossia velocità di riconoscimento della marca)
2) Brand Identity (Identità del brand)
Essa è data da:
a) Segni di riconoscimento (nome, simbolo, logo, jingle, slogan, ecc…)
b) Valori (ossia i principi guida delle scelte operative e strategiche
dell’impresa, la filosofia con cui essa nasce)
3) Brand Image (Immagine del brand)
Si articola in una serie di componenti percettive e fiduciarie:
a) Associazioni di attributi (concreti o astratti)
b) Associazioni di benefici (utilità funzionali, simboliche ed emozionali)
c) Associazioni di atteggiamenti (fiducia)
L’ipotesi di Keller è che la marca giochi un ruolo rilevante nel sistema cognitivo
dell’impresa. Ciò significa che un’impresa deve avere un’ottima conoscenza del
proprio business.
Keller inoltre pone l’attenzione sul fatto che il cliente si affida alla marca perché
spera di ottenere sempre lo stesso valore. Si tratta della risorsa di fiducia, che
per l’impresa, oltre ad essere molto remunerativa, è fondamentale per ottenere
informazioni sul mercato.
Segmentazione e posizionamento – Brand
Uno degli elementi che porta a creare nomi di fantasia per prodotti diversi dello
stesso brand è proprio la segmentazione. I nomi associati a questi prodotti in
realtà sono nomi associati al target a cui essi si riferiscono. D’altro canto, la
continua crescita dei segmenti ha inciso proprio sulla crescita del numero di
brand stessi.
Le scelte di segmentazione e brand incidono anche sulla distribuzione.
L’immagine di un brand può essere svilita da una distribuzione massiccia che
porta il brand a essere venduto a prezzi troppo bassi o troppo alti, magari in
store che non sono coerenti con il posizionamento.
All’inizio dell’industrializzazione, il brand costava poco e la segmentazione non
esisteva. L’esempio storico è la produzione standardizzata di Ford, ben presto
battuta dai competitors che segmentarono il mercato e differenziarono i loro
prodotti. È ragionevole pensare che per ogni segmento di consumatori, può
nascere un nuovo brand. Bisogna tenere a mente le differenze tra segmentazione
e posizionamento.
La segmentazione è quasi una condizione naturale del mercato. È un concetto
analitico: identifica gruppi di clienti che differiscono dagli altri gruppi per
ciò che si attendono dall’offerta o per le loro reazioni nei confronti delle
attività di marketing. La segmentazione non va considerata come una
separazione di gruppi, ma come aggregazione di menti diverse.
I criteri su cui si segmenta sono svariati:
1) Socio-demografici;
2) Geografici;
3) Psicografici (Stili di vita)
In merito agli stili di vita, le imprese segmentano i consumatori sulla base
del modello AIO:
a) Attività
b) Interessi
c) Opinioni
Esiste inoltre anche la segmentazione per vantaggi (o benefici) ricercati.
Molti la considerano come una sotto-segmentazione comportamentale, che si
basa sulla fedeltà, ecc… Tale segmentazione consiste nell’aggregare i clienti
rispetto all’omogeneità dei vantaggi che essi ricercano. Si costruisce dunque
un’utile matrice:
Bisogna innanzitutto individuare quali sono i benefici ricercati dai consumatori
nel prodotto. Una volta fatto ciò, è necessario capire la dimensione dei segmenti.
La segmentazione è efficace se:
1) È profittabile;
2) È stabile nel tempo;
3) È misurabile;
4) È accessibile;
La segmentazione è per alcuni un concetto di “selezione naturale del mercato”.
Spesso i brand segmentano solo in una fase di maturità del ciclo di vita del
prodotto, poiché difatti nelle fasi di introduzione esso viene acquistato solo da
un certo segmento di consumatori non particolarmente avversi al rischio.
Ciò che però rende complessa la segmentazione è proprio la dinamicità del
concetto stesso. I consumatori cambiano, e dunque cambia anche la
segmentazione. Prima degli anni ’60, il consumo era molto omogeneo, ma dal ’68
in poi si è assistito a una forte segmentazione della società, a una sorta di
parcellizzazione delle classi sociali: i bisogni sono evoluti e sono diventati
sempre più sofisticati. Per questo il marketing è passato da considerare i
consumatori clienti, e da clienti persone. Il marketing non può più tenere conto
soltanto dei propri clienti, bensì di tutti i portatori d’interesse.
Anche il place deve essere coerente con la segmentazione: bisogna rendere
reperibile il prodotto segmentato nei canali che sono più vicini al target.
Quanto al posizionamento, esso può essere definito come la posizione che un
brand occupa nella mente del consumatore rispetto ai suoi competitors. Il
posizionamento deriva dall’immagine, che è invece un concetto assoluto ed è il
risultato di associazioni (personali o guidate dalla comunicazione).
Una delle basi del posizionamento è il rapporto qualità/prezzo. Infatti, la mente
del consumatore, soprattutto quando il livello di informazioni è molto basso, può
essere orientata sul posizionamento di un brand. Le associazioni però possono
essere fatte anche in base alle caratteristiche del prodotto, ai vantaggi per i
clienti, alle celebrità che sponsorizzano il prodotto, agli stili di vita, al confronto
con i prodotti concorrenti (Ferrero VS KitKat) o con le classi di prodotto
sostitutive (cioccolato vs vaniglia), ecc…
Da questi criteri sorgono diverse tipologie di posizionamento, ad esempio:
- Posizionamento per attributo: si posiziona il brand rispetto agli attributi
del prodotto; gli attributi devono essere pochi e originali, e spesso
riguardano i servizi; un numero troppo alto di attributi (l’automobile che
fa tutto, pure il caffè dallo sterzo) fa perdere credibilità; meglio ancora se
gli attributi sono intangibili e non organolettici;
- Posizionamento per utente consumatore: il brand viene associato a una
tipologia di consumatore per personalità o stile di vita;
- Posizionamento per confronto con i concorrenti: per posizionare un brand
si può sfruttare il posizionamento consolidato di un altro brand nostro
concorrente, al fine di sottolineare le differenze tra il nostro e l’altro; il
rischio però è di fare pubblicità agli altri;
- Posizionamento per classe di prodotto: si sfruttano le associazioni relative
a una classe di prodotti;
Bisogna inoltre ricordare che il posizionamento deve essere semplice da
comunicare e possibilmente unico. Nella comunicazione è bene puntare
all’emotività più che alla razionalità. Inoltre, chi fa retro-marketing, ottiene dei
vantaggi in termini di posizionamento, perché spesso va a recuperare brand o
prodotti già ben posizionati nella mente del consumatore.
Esistono alcuni strumenti utili per stabilire il posizionamento, come ad esempio
le mappe percettive. Per disegnare una mappa percettiva, bisogna prima
identificare l