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I-U);
la coppia G-U può formare interazioni ad idrogeno (ma vacillanti).
Se uno stesso anti-codone può essere utilizzato per il riconoscimento ugualmente efficace di più codoni non
è necessario possedere 61 tRNA corrispondenti ai 61 codoni codificanti. La cellula può economizzare il
numero di tRNA complessivi per garantire comunque lo stesso risultato (nei batteri per esempio non esistono
più 31 tRNA mentre negli eucarioti superiori non superano i 48). Mantenendo costante la terza base di un
codone lo stesso codone potrà essere riconosciuto da tRNA differenti che in terza posizione variano e questi
tRNA sono caricati con il medesimo amminoacido. Questi tRNA in questione vengono definiti isoaccettori.
Le coppie vacillanti non sono isomorfe rispetto alle coppie W-C e questo dipende da variazioni degli angoli di
legame dei legami glicosidici che si ripercuotono sulla morfologia della coppia stessa e sulle dimensioni delle
coppie wooble.
La tio-uridina, come già detto precedentemente, può far parte in
maniera costitutiva dell’anticodone e quando ciò si verifica la
presenza di tio-uridina può essere discriminante nella scelta delle
interazioni con il codone. La tio-uridina infatti presenta un atomo di
zolfo legato tramite un doppio legame al carbonio in posizione 4
dell’uridina ed è in grado di formare 2 ponti ad idrogeno,
esclusivamente, con l’adenina. Quando ciò si verifica viene esclusa la
possibilità di formare coppie G-U. Quando questo evento si verifica
in posizione 3 dell’anticodone (corrispondente alla posizione 1 del
codone) allora può essere determinante. 137
ARS
Sono gli enzimi coinvolti nel caricamento degli amminoacidi sui
tRNA (e ne esistono tante quanti sono gli amminoacidi). Questi
enzimi presentano un sito di legame per il tRNA, un sito di
legame per l’amminoacido e un sito di legame per l’ATP. Questo
caricamento si realizza attraverso 2 tappe consecutive:
Attivazione dell’amminoacido: l’amminoacido deve
essere legato covalentemente all’AMP (derivato dalla
rottura del ponte fosfodiesterico tra il gruppo fosfato α
e β dell’ATP).
Acilazione: l’amminoacido attivato viene
successivamente legato covalentemente al nucleotide
3’OH (che rappresenta l’estremità del tratto
protrudente in cui è sempre presente un’adenina). In
base a questo legame si possono distingue 2 possibilità:
o Legame al gruppo ossidrilico in posizione 2’ (ARS
di classe I). Queste ARS agiscono sotto forma di
monomeri.
o Legame al gruppo ossidrilico in posizione 3’ (ARS
di classe II). Queste ARS agiscono sotto forma di
dimeri o di tetrameri.
In entrambi i casi si forma un legame acilico ad alta
energia che verrà usata durante la sintesi proteica (in cui
sarà necessario interrompere questo legame per trasferire l’amminoacido alla catena polipeptidica
in formazione e liberare il tRNA scarico).
Le ARS sono in grado di riconoscere i tRNA isoaccettori e questo gruppo di tRNA sono tutti attivati e acilati
dalla stessa ARS. Le ARS, però, non sono enzimi infallibili (ogni 1000 eventi di caricamento ne sbagliano 1) e
l’eventuale errore si ripercuoterà sull’evento di sintesi proteica. E le cause di questo errore sono 2:
Inadeguato riconoscimento dell’amminoacido
(la causa con peso maggiore). Ciò accade
perché gli amminoacidi sono estremamente
simili tra loro in composizione chimica, in
dimensioni e in proprietà chimico-fisiche.
Nonostante ciò le ARS hanno evoluto un
meccanismo di controllo definito “modello del
doppio setaccio” che prevede l’esistenza nelle
ARS di 2 siti distinti a capienza differenziale: il
sito catalitico (il sito sintetico) e il sito di
correzione. Questi due siti sono in adiacenza
spaziale. La prima discriminazione che attuano
le ARS è sulla base della capienza del sito
catalitico che può accogliere solo un
determinato amminoacido che abbia una
determinata dimensione (questa operazione
rappresenta il primo setaccio di questo modello). L’amminoacido specifico per l’ARS in questione è
l’unico che può entrare nel sito catalitico ed essere successivamente attivato e caricato. Le
dimensioni dell’amminoacido specifico per questa ipotetica ARS attivato e penetrato nel sito
catalitico non permettono l’ingresso al sito di editing (o di correzione) allo stesso e dopo essere stato
caricato sul tRNA viene rilasciato (questa operazione rappresenta il secondo setaccio del modello).
Un amminoacido con una struttura quasi identica e più piccolo in dimensioni rispetto a quello
specifico può penetrare nel sito catalitico dove può essere attivato e caricato e può anche entrare
nel sito di correzione (essendo più piccolo). L’evento di caricamento in questo caso sarebbe errato
138
(dato che non si tratta dell’amminoacido specifico) ma grazie al fatto che l’amminoacido più piccolo
in dimensioni può compenetrare fino al sito di correzione proprio a livello di questo sito viene espulso
dal tRNA (nel caso in cui fosse stato attivato e caricato erroneamente).
Inadeguato riconoscimento del tRNA (la causa con peso minore). Il tRNA una volta riconosciuto
dall’ARS viene rimanipolato (piegato per la precisione) più o meno intensivamente per essere
adattato all’interno sito di legame dell’ARS che controlla gli elementi di identità del tRNA stesso. La
piegatura rende riconoscibile l’anticodone che viene captato e riconosciuto da residui amminoacidici
dell’ARS e quindi quest’ultimo è in grado di capire se l’anticodone è quello corretto o meno. In
corrispondenza della fine del braccio accettore in molti casi è presente un residuo ribonucleotidico
detto anche “sito discriminatore” (che varia da tRNA a tRNA) ed è esattamente il quartultimo
nucleotide dall’estremità 3’. Questo sito discriminatore è captato da un sito differente dell’ARS.
Tutti questi controlli che le ARS effettuano sono fondamentali perché dopo questi non ce ne saranno più. Il
ribosoma infatti accetta a scatola chiusa quello che porta il tRNA e se è stato caricato l’amminoacido sbagliato
il ribosoma non è in grado di riconoscere questo errore ma si limita ad utilizzare esclusivamente l’interazione
codone anti-codone e se sussiste una situazione stabile tra codone ed anti-codone il ribosoma continua il
processo sintetico. La dimostrazione di questo principio si può svolgere sperimentalmente se si altera la
natura dell’amminoacido dopo che questo è stato caricato correttamente dall’ARS.
rRNA e ribosomi
I ribosomi sono a tutti gli effetti dei
complessi ribonucleoproteici che possono
essere caratterizzati sulla base del loro
coefficiente di sedimentazione (i valori di
coefficienti di sedimentazione tra
procarioti ed eucarioti sono differenti). I
ribosomi procariotici sono più piccoli di
quelli eucariotici (80S) ed hanno un
coefficiente di sedimentazione pari a 70S.
I ribosomi sono costituiti da 2 subunità
definite subunità minore (30S nei
procarioti e 40S negli eucarioti) e subunità
maggiore (50S nei procarioti e 70S negli
eucarioti). La somma algebrica dei valori di
sedimentazione delle 2 subunità non corrisponde al valore di sedimentazione del ribosoma ricostituito. Ogni
subunità, essendo un complesso ribonucleoproteico, è costituita da una componente di rRNA e da proteine
associate (che sono in numero maggiore per la subunità maggiore e leggermente di meno per la subunità
minore). I coefficienti di sedimentazione dell’rRNA sono 23S e 5S (presente anche negli eucarioti) per la
subunità maggiore procariotica, 28S e 5,8 (oltre al 5S) per la subunità maggiore eucariotica, 16S per la
subunità minore procariotica e 18S per la subunità
minore eucariotica. I ribosomi sono presenti in unità
multiple all’interno della cellula: nei procarioti la
rappresentatività dei ribosomi è importante (qualche
decina di migliaia per cellula) mentre negli eucarioti ce
ne sono di più (essendo le cellule eucariotiche più
grandi in dimensioni) e c’è una variabilità in base al tipo
cellulare e a seconda del momento della vita di quella
determinata cellula. Si può andare infatti da un minimo
di 100000 ribosomi per cellula ad un massimo di quasi
1 miliardo di ribosomi (come accade per esempio negli
oociti di Xenopus). I precursori degli rRNA ribosomali
vengono trascritti, utilizzando la PolI (tranne il 5S che
viene trascritto dall’RNA polimerasi III), da geni che
sono raggruppati in un'unica porzione di genoma che
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durante l’attiva trascrizione prende il nome “albero di natale”
il cui “fusto” è il DNA contenente i loci codificanti i precursori
degli rRNA (DNA ribosomale) mentre i rami (più o meno
lunghi) non sono altro che i precursori degli rRNA in fase di
trascrizione (un ramo corto indica che la trascrizione è iniziata
da poco mentre un ramo lungo indica che la trascrizione sta
per terminare). Ogni ramo è connesso al fusto attraverso
l’RNA polimerasi I. Quella riportata nell’immagine in cui si
possono apprezzare gli “alberi di natale” è una commistione
di loci di DNA ribosomale prelevati da numerose cellule (è
un’immagine ricavata da un microscopio elettronico). Nel
nucleo di ogni singola cellula però, essendo il DNA ribosomale concentrato in punto discreto del genoma, la
trascrizione è concentrata in uno spazio tridimensionale localizzato all’interno del genoma e quando si ha
attiva trascrizione dei DNA ribosomali si viene a formare una struttura chiamata nucleolo (le cui dimensioni
sono particolarmente espanse quando c’è attiva trascrizione di rRNA). La regione di DNA ribosomale che
contiene tutte le sequenze che daranno luogo ai precursori ribosomali viene denominata “regione di
organizzazione nucleolare” (NOR). Il precursore trascritto dalla RNA Pol I presenta, inizialmente, un
coefficiente di sedimentazione pari a 45S. Questo
precursore, negli eucarioti, viene processato per dar
luogo a 3 su 4 delle tipologie di rRNA che sono
rispettivamente il 18S, il 5,8S e il 28S (in quanto il 5S non
fa parte di questa regione genomica ma viene poi
trascritto da una polimerasi differente ovvero la Pol III).
A partire dallo stesso precursore iniziale, il
processamento inizia ad opera di endoribonucleasi che
devono separare le 3 frazioni facenti parte di un’unica
molecola iniziale. Le tre componenti nel pre