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PABP
(poli A binding protein), che ne
permettono il suo
mascheramento.
Si parla di 200 nucleotidi perché
la coda poliA va a chiudersi su
sé stessa, formando un nodo di
quella lunghezza.
Splicing
L’RNA trascritto in realtà è un premRNA che dovrà subire una serie di
modifiche per la maturazione.
i geni negli eucarioti contengono porzioni codificanti (esoni) e porzioni
non codificanti (introni). Questo concetto, però, non riguarda soltanto
gli eucarioti: in misura minore si trovano anche introni in batteri e
virus.
La scoperta dei geni “interrotti” risale al ’77 ed è stata fatta
ottimizzando le condizioni dei reagenti formando degli ibridi RNADNA
(r-loop). Facendo questi ibridi si osserva che si ha solo una
parziale sovrapposizione tra le parti mentre che sono delle anse che
rimangono fuori (introni).
La conoscenza attuale ci dice che le cose cambiano da specie a specie ma in genere si vede che la
maggior parte dei geni sono interrotti. Gli esoni sono rappresentanti con parallelepipedi più spesso e
gli introni sono delle linee. Il processo di maturazione vede il taglio degli introni e il riattaccamento
degli esoni (splicing: taglio degli introni e ricucitura esone-esone).
Nel corso dell’evoluzione l’importanza degli introni è sempre stata maggiore in quanto sono
fondamentali per il trascritto perché consentono la corretta maturazione e hanno ripercussioni su
maturazione di premRNA, trasporto, controllo di bozze ed efficienza.
La presenza di introni, inoltre, è un’opportunità di avere isoforme dei geni (splicing alternativo).
Un’ulteriore ragione evolutiva degli introni è quella che li vede come elementi mobili fondamentali
per la creazione di nuovi geni.
Nel gene ci sono meccanismi di
lettura per far si che il macchinario
che catalizza la reazione di splicing
possa agire correttamente. Un
minimo shift di lettura può causare
gravi conseguenze, quindi, è
necessario avere un meccanismo
controllato. Il meccanismo avviene
principalmente a carico dell’introne dove riconosciamo una serie di elementi:
• Sito donatore (splicing al 5’): GU è estremamente conservato ma non è sufficiente per il
riconoscimento, quindi, è fiancheggiato da altri nucleotidi con un certo livello di
conservazione. IMPO: i siti di splicing non sono tutti uguali, c’è motif che è conservato ma
variabile quindi ciò che da la forza di un sito di splicing è una sequenza consenso. Il sito di
splicing più si avvicina alla sequenza consenso più forte sarà. Questo è vero anche al 3’.
• Sito accettore (di splicing al 3’): AG+sequenza molto conservata con tratto ricco di
pirimidine (elemento di lettura).
• Branching point: è sempre presente una A che si trova all’interno di un motif ricorrente
Questi tre elementi sono elementi in cis
che vengono riconosciuti dal macchinario
di splicing che è lo splicesosoma che deve
fare due reazioni di trans-esterificazione.
Parte tutto dall’A nel branching point che
fa un attacco nucleofilo con il suo gruppo
ossidrile al gruppo fosfato di GU al 5’.
Si viene a creare un lazzo e l’A viene
coinvolta in un triplice legame
fosfodiesterico.
Nell’esone che si trova a monte a questo
punto si è liberato un 3’OH che è in grado
di fare un attacco nucleofilo all’AG.
Si ha un legame fosfodiesterico tra l’esone
che si trova a valle e quello a monte che
viene ora linearizzato.
Dal punto di vista energetico è a bilancio energetico nullo ma consuma energia utilizzata per portare
le parti nel sito catalitico e a fare questo è lo splicesosoma. L’ATP serve a garantire il corretto
assemblamento dello splicesosoma.
Lo splicesoma è costituito da 5 RNA e 200 proteine che si assemblano un una seria di fattori. Questi
fattori sono costituiti da un RNA e un set di proteina. L’RNA è uno smaller nuclear RNA che si
associa con un certo numero di proteine per formare un complesso ribonucleoproteico che si chiama
SNURP (smaller nuclear ribonuclear protein particle).
La parte proteica è formata da 7 proteine comuni (SM), le altre sono accessorie quindi ogni fattori
avrà le proprie.
Lo splicesosoma:
• È un complesso dinamico: la sua composizione durante le reazioni non è sempre la stessa:
1. Il primo a entrare è il fattore U1 che è un lettore della sequenza. A leggere la sequenza è
la parte a RNA
2. Interviene la branch point binding protein che recluta l’U2 ausiliary factor costituito da
una subunità 65 lettrice del tratto di
polipirimidine mentre l’altra legge
l’inizio della parte al 3’
3. Interviene un trimero di fattori
U4,U5 e U6. U4 e U6 hanno
interazioni proteina-proteina che
stabilizzano l’interazione. U4
interagisce con U2 e U6 con U1.
4. C’è una giustapposizione dei
componenti (fondamentale perché
le trans-esterificazioni avvengano)
5. Il complesso prende il nome di
complesso B1
6. U6 scalza U1 che viene eliminato
grazie a prp8 che è una subunità di
U5 che facilità questo processo.
7. Viene eliminato U4
8. Il complesso si chiama ora B2
9. Rimpiazzando U1 da U6, U6
interagisce con U2 che ora è vicino
10. Questo porta la A del branching
point nel sito catalitico
11. Passiamo al complesso C1 che è
propedeutico all’attacco del gruppo
fosfato alla G completando la
seconda reazione di trans-ester
Un meccanismo ben caratterizzato è quello dell’autosplicing cioè introni che sono in grado di
effettuare splicing senza ricorrere a elementi in trans. Questi elementi funzionano da ribozine e sono
• Classe 1: introni di lunghezza tipica tra 250-300 nucleotidi costituita da una serie di loop
structures. I loop conservati sono 9. Ci può essere una certa variabilità e quello che si
osserva è che l’organizzazione in questo sistema di anse divide la struttura in una superiore e
una inferiore. La reazione di autosplicing, in questo caso, richiede un intervento dall’esterno
cioè una guanina fornita dall’esterno. È proprio la exo-G che media l’attacco nucleofilo del
suo 3’ al 5’ fosfato del sito di splicing.
• Classe 2: la reazione è molto simile a quella dello splicesonoma. Questi introni sono dai 500
ai 1000 nucleotidi organizzati in una struttura a raggera con 6 domini di cui il D1 è quello
più grande. In questo caso non serve il ricorso di un nucleotide esogeno ma è la A del
branching point che effettua l’attacco nucleofilo al sito di splicing al 5’. Questa seconda
classe è molto simile nel funzionamento a quello dello splicesosoma e per questo di pensa
che esso si sia evoluto da questi elementi di classe 2.
Questi introni in realtà al loro interno nascondono delle orf che generalmente si trovano nel motivo
ad ansa per non interagire con il resto della struttura.
In vivo, affinchè questo processo sia efficace intervengono delle proteine che non agiscono con
azione catalitiche ma agiscono da chaperonine. Le orf nascoste negli introni codificano per le
chaperonine, proteine che negli introni di classe 1 funzionano anche da endonucleasi mentre in
quelli di tipo 2 funzionano da trascrittasi inverse. La presenza di queste garantisce la funzione di
elementi mobili degli introni.
Lo splicing trattato finora è costitutivo cioè gli esoni sono trascritti nell’ordine in cui appaiono.
In realtà può verificarsi anche lo splicing alternativo in cui può crearsi un’isoforma diversa che
porta anche a una proteina diversa da quella che si avrebbe normalmente.
Questo è un fattore fondamentale per generare isoforme con funzioni diverse.
Lo splicing alternativo però non è l’unico modo di ottenere proteine diverse dallo stesso gene, un
esempio può essere la presenza di diversi siti di poliadenilazione che possono portare a siti di
attacco diversi.
Splicing alternativo
Non tutti i siti di splicing sono
uguali (forti o deboli in base a
quanto sono vicini alla sequenza
consenso).
Ci sono elementi in cis che
funzionano da enhancer e silencer
dello splicing. Questi enhancer e silencer si possono trovare sia su introni che su esoni. ISE sta per
intronic splicing enhancer, poi abbiamo ESS, ESE e ISS.
Gli elementi in trans che funzionano da modulatori positivi sono di solito delle proteine della
famiglia SR che aiutano a raggiungere più facilmente il far si che lo splicesosoma si assembli.
Gli elementi in trans che inibiscono lo splicing sono silencer intronici cioè elementi che legano il
silencer, generalmente si legano al tratto di polipirimidine quindi i fattori di cui abbiamo parlato non
riescono a leggere il branching point e per ingombro sterico inibiscono la formazione dello
splicesosoma.
Editing
Le basi modificate non sono incorporate dalla polimerasi, questa incorpora le basi canoniche che
poi sono soggette a editing che poi va a creare la base modificata. A fronte di poche modifiche
caratterizzate dal DNA, nell’RNA ci sono molte più modifiche.
Il vantaggio dell’editing è generalmente che queste basi editate sono riconosciute come basi diverse
dal macchinario cellulare quindi editarle vuol dire fare una conversione di base potenziando le
capacità del genoma (uscendo dai limiti delle 4 basi).
Un tipico esempio è l’editing da citosina-uracile che avviene da OBE a carico del gene per l’ApoB.
Non tutte le C, chiaramente, saranno soggette a editing ma saranno solo quelle in posizioni
specifiche.
Questo macchinario di editing che si chiama editosoma deve fare due cose: avere un meccanismo di
riconoscimento e lettura e avere un meccanismo di editing.
Nel gene della proteina ApoB
nell’esone 26 ci porta alla
conversione di CAA a UAA.
L’isoforma non editata forma una
proteina allungata preferita nel
fegato, quella editata è preferita
nell’intestino.
Questo accade perché lo scrittore
sarà solo nell’intestino quindi il gene
editato sarà solo lì e si può avere
tessuto specificità.
Un altro esempio è la conversione da adenosina a
inosina a carico di proteine ADAR che hanno come
motivo catalitico una adenosina aminasi.
Si possono formare delle eliche intramolecolari a
livello, ad esempio, delle sequenza ALU. Se si forma
un elica allora la proteina ADAR può leggere,
riconoscere e apporre la modifica. Qui ci sono due
casi di cui il primo è il recettore del glutammato che a
livello di intr